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Slađana Nina Perković anteprima. Il funerale di zia Stana

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Deposizioni che toccano: “– Signor comandante, noi, la famiglia, non vogliamo che il caso dell’impiccamento di nostro zio Radomir venga registrato in nessun documento – ha detto tutto d’un fiato zia Mileva, e il signor comandante ha sbadigliato afferrandosi la mascella inferiore quasi a volersela sistemare un po’ meglio. Non riusciva ancora a stabilire con certezza se fossimo frutto della sua immaginazione, così ha preso un pacchetto di sigarette dal cassetto della scrivania e si è messo a frugare piano tra i fascicoli davanti a sé fino a trovare una scatola di fiammiferi”.

La solita attualità: “Un pensionato si getterà dalla finestra del proprio appartamento, un marito strangolerà la moglie, degli studenti delle superiori picchieranno a sangue un loro compagno di scuola, e i lettori, come sempre, schiumeranno di rabbia e scriveranno commenti sui social tipo: “lui almeno se l’è vissuta”, “non è una grossa perdita”, “la stronza se lo è meritato”, “rimettete la pena di morte!”, “devono essere tutti impiccati”, “siete voi i responsabili della guerra”, “è tutto un grande complotto giudaico-massonico””.

Il logorio della corruzione: “– Ascolta, Mileva, ne ho le scatole piene di tirare fuori soldi – ha detto togliendosi la polvere dalle dita. – Quando avremo corrotto e allungato mazzette a tutti, dalla vendita ci rimarrà appena il necessario per comprare un rotolo di carta igienica!”.

È in libreria Il funerale di zia Stana di Slađana Nina Perković (Voland 2024, pp. 224, € 19 con traduzione di Marijana Pulijć).

Slađana Nina Perković ha lavorato come corrispondente per i media nell’ex Jugoslavia e i suoi articoli sono apparsi anche su molti organi di stampa europei. Ha pubblicato la raccolta di racconti Kuhanje [Cucinare] e il romanzo Il funerale di zia Stana (titolo originale U jarku) – già uscito in Francia e in fase di traduzione in Bulgaria e Germania – insignito di una menzione speciale dal Premio dell’Unione Europea per la letteratura 2022. L’autrice è una degli ospiti dell’edizione 2024 del festival veneziano Incroci di civiltà e interverrà a Venezia il 13 aprile alle 10:30 presso la fondazione Querini Stampalia.

Una trentenne, delusa dai suoi fallimenti e con un’unica passione per le serie poliziesche, si trova costretta dalla madre a recarsi in un remoto villaggio per partecipare al funerale della zia Stana. La zia muore soffocata da un pezzo di pollo, mandando all’aria i piani di vendita della casa e del terreno di famiglia e gettando la nipote in una serie di situazioni folli.

Tra strade di campagna fangose, tentativi di suicidio, infermiere infuriate, poliziotti apatici e riserve segrete di alcol, si dipana una cronaca familiare rocambolesca che riflette in modo tagliente e critico la società bosniaca del dopoguerra.

Con ogni pagina, Slađana Nina Perković crea un mondo romanzesco unico, che si basa sull’esplorazione della vita quotidiana.

Questa quotidianità, resa con un linguaggio affilato e intriso di umorismo nero, viene spinta quasi ai limiti dell’assurdo e del grottesco offrendoci una narrativa sdrammatizzante.

Un modo straordinario di narrare una famiglia balcanica.

Carlo Tortarolo

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Se per qualche combinazione fossi nata negli Stati Uniti, avrei fatto il dito medio a tutti, sarei montata in sella alla moto e sarei filata verso il tramonto, su una strada che si allunga in una linea retta infinita. Oppure, se avessi avuto la fortuna di nascere nei paesi scandinavi, avrei girato i tacchi, imbrigliato le renne e mi sarei diretta a nord, in direzione della terra dei ghiacci e delle nevi perenni. Là dove è possibile imbattersi solo in qualche volpe artica o in un orso polare. In Giappone mi sarei barricata nella mia camera. Ho visto un documentario sui giovani giapponesi che in questo modo cercano la salvezza dagli obblighi sociali imposti. Esiste un nome per questa roba, ma l’ho dimenticato. Comunque, tutto quanto sopra citato è bello e meraviglioso, ma nel mio caso anche completamente impensabile. E come potrebbe non esserlo! Questa storia è ambientata in Bosnia.

Se avete presente come funzionano le cose in Bosnia, allora vi sarà chiaro che è inutile mostrare il dito medio e girare sui tacchi. Mamme, papà, nonne, nonni, fratelli, sorelle, parenti stretti e lontani, vicini di casa e amici, una volta che vi hanno preso tra le fauci, difficilmente vi risputano fuori tutti interi. La missione della loro vita è quella di fottere la vostra. Semplicemente, vi stanno col fiato sul collo e non vi lasciano respirare.

E a dire il vero non mi capacito proprio di come i giovani giapponesi riescano a barricarsi così. Non ce l’hanno una madre? La mia avrebbe già trovato un modo per irrompere in camera, anche a costo di arrampicarsi sul tetto e di sfondare la finestra come un membro di un’unità speciale antiterrorismo. E mi avrebbe pure buttata fuori casa assegnandomi qualche commissione, come ad esempio andare fino alla previdenza sociale per il rinnovo della tessera sanitaria. E non c’è modo di dirle di no. Nemmeno il tempo di aprire bocca che lei si sarebbe presa la testa fra le mani urlando che sono “una mocciosa pigra e viziata” oppure che “sarebbe stato meglio partorire un gomitolo di filo” e altre frasi simili. Mia madre riesce a neutralizzare in due minuti ogni tentativo di ribellione. Sul serio, giuro.

Però devo ammettere che provo spesso pena per mia madre. Dev’essere incredibilmente deludente quando tuo figlio non è come lo avevi immaginato. E la mamma aveva grandi progetti per me. Ricordo quando è stato sottoscritto l’accordo di pace. Il vicino si sporgeva dal balcone e per la gioia sparava col kalashnikov. Eravamo distese sul pavimento del soggiorno, dietro alla poltrona, cercando di ripararci dai proiettili vaganti, quando mi ha guardata seria dicendo: “Ora che le cose sono tornate alla normalità, hai tutte le opportunità a disposizione.” Fino a che il vicino non rimase a secco di proiettili, continuò a elencare tutte le opportunità che avevo a disposizione. “Puoi perfino diventare ingegnere aeronautico” concluse, anche se non era certa che esistesse qualcosa del genere.

Per mia fortuna, dopo l’entusiasmo iniziale, la mamma venne schiaffeggiata dalla realtà. È vero, non si sparava più, ma la pace in cui vivevamo non aveva portato nemmeno alla “o” delle opportunità. Sembrava quasi l’interminabile corsa di un autobus puzzolente su una strada dissestata. Con il passare del tempo, la mamma si era scocciata e le sue ambizioni si erano rapidamente smorzate. Smise di tormentarmi con la matematica, con i verbi inglesi irregolari, e nei fine settimana non dovetti più andare nemmeno al centro anziani per giocare a scacchi e sviluppare il pensiero logico. Solo anni dopo, quando mi iscrissi alla facoltà di Lettere, qualcosa tornò ad accendersi nel suo petto, come quella volta sul pavimento del soggiorno. Iniziò a frullarle per la testa quest’immagine di me riverita professoressa. E il fatto che non riuscissi a laurearmi rappresentò per lei un colpo basso.

Però vabbè, adesso questo non è così importante ai fini della storia. A dire il vero, ormai conta ben poco. La mia posizione attuale mette tutto in secondo piano. Se solo mi vedeste, sono distesa in una fossa fangosa in uno sperduto posto del cazzo. Da quanto tempo sono qui? Non saprei, da diverso tempo, forse anche mezz’ora. Forse di più. Non ne ho idea. Non penso di essermi rotta qualcosa, però non riesco a muovermi. Cioè, non è che non posso. Sarebbe meglio dire che non ho né la forza né la volontà di fare alcuno sforzo, compreso quello di salvarmi. Preferisco pensare invece a come sarebbe questa storia se la stesse raccontando qualcun altro e tornare a parlare della mamma e delle delusioni della sua vita.

E come ci sono finita qui dove sono finita? Be’, correvo. La strada era ripida, piena di fango e di buche. Ho inciampato contro un sasso, sono caduta male sul piede destro, sono scivolata e ho fatto un volo di almeno tre metri prima di atterrare in questa fossa. È stata davvero una caduta spettacolare. Peccato che non ci fosse nessuno a riprendermi. Già me lo vedo il video che diventa virale in rete. Sarebbe condiviso fino allo sfinimento sui social, riceverebbe milioni di like, e i media locali lo trasmetterebbero con un titolo bomba tipo: “Il video che ha fatto morire dal ridere il paese!”

E come ci sono finita in mezzo al nulla, su una strada fangosa, ripida e piena di buche? Vi interessa saperlo? Davvero? Va bene. Allora ve lo racconto dall’inizio, dal momento in cui, appena due giorni fa, sono tornata a casa dal centro sotto un terribile acquazzone. Vi racconterò che i miei stivaletti erano completamente zuppi, mentre dalla cucina veniva il rumore della pentola a pressione, perché la mamma stava cucinando i fagioli per pranzo. E, ancora, che sono sgattaiolata nella mia camera, mi sono buttata sul letto infilandomi sotto alle coperte e ho acceso la televisione. Vi racconterò come sono arrivata giusto in tempo per l’inizio della mia serie poliziesca preferita. C’era un bel caldo e si stava bene. Ma la sensazione di beatitudine è durata poco perché, come potete immaginare, la mamma mi ha fiutata ed è piombata in camera. Ecco come comincia questa storia.

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