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Virginie Grimaldi anteprima. Quel che resta

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Il litigio per un appartamento: “«Ma che cazzo, c’ero prima io» mugugnò il giovane. La donna giovane scosse la testa. «Mi dispiace, ne ho davvero bisogno». «Lasci stare, sono abituato a farmi inculare»”.

Un lessico fin troppo familiare: “Un giorno entrando nel suo studio l’ho trovato con i piedi sul tavolo. «Sai perché sono seduto così?» mi ha chiesto. «No». «Perché ho foruncolo sul culo»”.

Quando ci si intende: “Leïla ride e fa da sé. Non mi serve più un defibrillatore, mi serve un miracolo. Le dico che è bellissima, lei dice che mi ama, io dico che la amo anch’io e, dopo aver superato la prova dei jeans da togliere, facciamo l’amore senza passare dalla casella del via.”

È in libreria Quel che resta di Virginie Grimaldi (Edizioni E/O 2024, p. 240, € 18,00 con traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca).

Virginie Grimaldi è l’autrice francese più letta nel 2019, 2020 e 2021 (classifica Le Figaro littéraire/GFK) e vincitrice del Livre favori des Français (France Télévisions) nel 2022. Nel 2023 due suoi romanzi sono stati in top ten per mesi. Le Edizioni E/O hanno pubblicato anche il suo ultimo romanzo, Una vita bella.

A 33 anni, Iris mette la sua vita in una valigia. Théo, 18 anni, ha pochi sogni perché, quando si infrangono si riversano ovunque. A 74 anni, Jeanne guarda la sua vita nello specchietto retrovisore.

Niente avrebbe potuto farli incontrare. Quando il caso li fa incontrare sotto lo stesso tetto, queste tre persone danneggiate dovranno imparare a convivere. La giovane donna misteriosa, il ragazzo sfacciato e la signora discreta si ritrovano in un appartamento condiviso che riserva molte sorprese.

Questa è la storia di tre solitudini che si scontrano, di incontri inaspettati che diventano una fonte inesauribile di eventi divertenti o commoventi, ma comunque importanti, che cambieranno la vita dei tre protagonisti.

Un bel libro che racconta tre esistenze che trovano un posto da chiamare casa nella stupenda atmosfera di Parigi.

Carlo Tortarolo

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Era il grande giorno. Quella notte Jeanne non aveva dormito. Si aggiustò lo chignon e vi spillò il velo, operazione resa complicata dalle mani che le tremavano un po’. Aveva voluto organizzarsi da sola nonostante tutti avessero insistito per accompagnarla. Era consapevole dell’importanza del momento, uno di quei momenti chiave che si incidono in profondità nella memoria e non la lasciano più, e ci teneva a dedicarsi in pieno ai preparativi, senza distrazioni. Dalla finestra il sole di giugno macchiava di luce il parquet di quercia della camera. Quella chiazza dorata era il punto dell’appartamento che preferiva. Appariva a fine mattinata, quando i raggi si aprivano un varco tra i camini dell’edificio di fronte. Niente le piaceva tanto quanto mettersi lì con entrambi i piedi immersi nel piacevole calore. Un giorno Pierre l’aveva sorpresa di fronte alla finestra con gli occhi chiusi e le braccia larghe, inondata di luce, completamente nuda. Dalla vergogna avrebbe voluto sparire tra le tavole del parquet, ma Pierre si era messo a ridere.

«Ho sempre sognato di sposare una suricata».

Era una proposta di matrimonio improbabile, originale, un po’ pazza. La quarta, da quando erano andati a vivere insieme. Strenuamente attaccata alla sua libertà, Jeanne aveva declinato tutte le altre, ma in quella chiazza di sole, conquistata dalla fantasia dell’uomo che accettava la sua, aveva detto di sì.

Sentì il rintocco dell’orologio del salotto, era in ritardo. Dette un’ultima occhiata allo specchio e uscì.

Aveva deciso di andare in chiesa a piedi, visto che distava solo due isolati. Durante il tragitto molte teste si voltarono a guardarla, una ragazza la filmò con il telefonino. Il suo abbigliamento non passava inosservato. Jeanne non si accorse di niente perché aveva un solo pensiero in testa: di lì a pochi minuti sarebbe stata con Pierre. Probabilmente lui era già sul posto con il bel vestito grigio che gli aveva scelto lei.

Il sagrato era vuoto, tutti erano dentro. Jeanne si allisciò la stoffa del lungo abito cercando di dominare il tremito. Le gambe la sostenevano a stento. Si stampò un sorriso sulla faccia e varcò le porte di legno.

La chiesa era gremita. Le panche non erano bastate, avevano aggiunto sedie sui lati, ciò nonostante molta gente era in piedi. Gli sguardi di tutti convergevano su di lei, ma Jeanne non ci fece caso, risalì la navata a passo lento senza staccare gli occhi da Pierre. Per un attimo si domandò se il petto avrebbe resistito agli attacchi del cuore. L’organo stava suonando un brano che non conosceva, eppure lei aveva scelto un pezzo di Leonard Coen. Il prete era dietro l’altare con le mani giunte.

Un gesto sulla destra attirò la sua attenzione. Suzanne le indicava un posto libero sulla prima panca. Jeanne sorrise e continuò a camminare verso l’uomo che amava.

Quando arrivò da lui l’organo tacque. Il silenzio era totale. Jeanne osservò a lungo il viso di Pierre, le ciglia lunghe, il mento rotondo, la fronte dritta. Non si era mai stancata dei suoi lineamenti, erano diventati il suo paesaggio, il suo sfondo.

Come avrebbe potuto farne a meno? Il prete si schiarì la gola, la cerimonia doveva cominciare. Lei gli rivolse uno scarno sorriso ripensando a padre Maurice, che in quella stessa chiesa li aveva uniti in matrimonio cinquant’anni prima, poi sollevò il velo nero, si appoggiò alla bara per piegarsi e depositò sulle labbra del marito un ultimo bacio.

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