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Milagros Branca inedita. Eau sauvage

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Dopo aver festeggiato i 20 anni di attività di Satisfiction insieme a scrittori come Enrico Remmert, Stephen King, Vitaliano Trevisan, Raul Montanari ed Enrique Vila Matas, in occasione dei 22 annni della rivista pubblichiamo i racconti di autori che da anni contribuiscono a creare Satisfiction.

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Paul lasciò che il cameriere della steakhouse gli indicasse il tavolo per due. Era stato sempre il loro posto preferito per questo lo scelse,  anche se non era il luogo più elegante per il loro primo incontro dopo – quanti anni? – nemmeno se lo ricordava. Si erano visti la sera del suo ventesimo compleanno e poi mai più. Ne aveva trentacinque adesso. Quanto era cambiato da allora? Non gli sembrava di aver subito dei grandi cambiamenti dal punto di vista fisico. Forse quello più palese era il fatto che non aveva la folta capigliatura della gioventù, ma il corpo era ancora molto tonico per lo sport quotidiano che non aveva mai smesso di praticare, palestra, nuoto, tennis, oppure, tempo permettendo, una salutare corsa a Central Park. Tutto sommato era ancora un ragazzo. 

    Prima di sedersi al tavolo designato si voltò per accertarsi se, da quella posizione, la porta d’ingresso alla sala fosse visibile di modo da poter incrociare i suoi occhi non appena avesse varcato la soglia. 

  Il cameriere, nello scostare il tavolo per farlo accomodare, sia accorse che traballava un po’, pescò dalla tasca del grembiule un tappo tagliato a metà e lo incastrò con forza sotto alla gamba difettosa, assicurandosi, con entrambi le mani, che la tavola adesso fosse immobile. Poi si sfregò energicamente le mani per liberarsi dai residui di polvere. prima di scostare nuovamente il tavolo per far sedere Paul, che lo guardava compito, in attesa che il tavolo fosse finalmente assestato. 

   Lo ringraziò e nel sedersi, Paul ordinò un doppio whisky on the rocks. Era l’ora di pranzo e non beveva mai alcolici prima delle sette di sera, ma doveva placare l’ansia che sentiva crescergli come un serpente nel petto e nelle viscere, man mano che si avvicinava l’ora  del loro incontro. Si domandò se avesse fatto bene ad ad arrivare primo. Ci aveva riflettuto ed era giunto alla conclusione: una donna non doveva aspettare un uomo.  Una donna… 

    Paul emise un sospiro a quel pensiero. Come doveva chiamarla? Con il nome che usava adesso o il nomignolo di sempre? 

   Scrutò nervosamente il suo smartphone per controllare l’ora. Era in anticipo di una decina di minuti. Il cameriere interruppe i suoi pensieri posando il bicchiere di whisky sul tavolo e porgendogli il menu gli chiese se gradiva dargli un’occhiata. La morsa nello stomaco, al pensiero del cibo, gli rammentò quanto fosse nervoso e prendendo d’istinto un sorso di whisky invece di rispondergli, gli indicò sventolando la mano in senso di diniego tralasciando di prendere il menu,  gli disse che avrebbe aspettato l’ospite. 

   Il ding di un messaggio proveniente dallo smartphone riposto in tasca, gli parve come un gong e lo fece sussultare. Con apprensione Paul lo estrasse per verificare chi fosse. 

– E se mi da buca? esprimendosi ad alta voce senza accorgersene.

   Quel pensiero si era fissato subdolamente nella sua mente. Ma era solo Sarah che gli chiedeva se avesse voglia di fare una partita a tennis in serata. Un’ottima idea. Avrebbe potuto scaricare tutta la tensione che quell’imminente incontro avrebbe comportato. Le rispose di sí, che si sarebbero visti alle sei e se poteva pensarci lei a prenotare il campo. 

   Mentre era chino con il capo e il volto piegato verso il basso per comporre il breve messaggio, non si accorse di essere osservato dalla persona che stava aspettando con ansia. Il cameriere, decisamente scortese, visto che si trattava di una signora non giovanissima,  non l’aveva accompagnata al tavolo. Si limitò a dirgli che il signor Ruben l’aspettava a quel tavolo nell’angolo sulla destra.  

   Rose si avvicinò osservando in silenzio Paul che era preso, con le dita di entrambe le mani, a rispondere al messaggio appena ricevuto.

    Povero Paul, ha ereditato le calvizie di suo nonno. Fu il primo pensiero che venne in mente a Rose vedendolo. E le si strinse al petto una morsa di indicibile affetto e in quel momento si accorse di quanto gli era mancato suo figlio e di come avesse perso, in quei quindici anni trascorsi lontano da New York, dei passaggi importanti della sua vita. Paul aveva vent’anni l’ultima volta che lo vide, se lo ricordava bene Rose.  Quel giorno gli aveva regalato un profumo, Eau Sauvage. Lo stesso che usava lei da sempre. Un profumo adatto a tutti, agli  uomini come alle donne, gli aveva spiegato la commessa di Bloomingdale’s dove lo aveva acquistato. Così ne comprò una confezione anche per sè. 

 Paul alzò gli occhi e la vide. Non seppe trattenere l’espressione di sorpresa e il suo voltò arrossì e la sua voce tremò dall’emozione. Quello era l’agognato momento che aveva rivisitato nei suoi pensieri in tutte le sfumature possibili. Ma non avevo calcolato la sorpresa di trovarsi vis à vis con Rose, senza quell’attimo che, solo il tragitto dalla porta al tavolo, gli avrebbe concesso il tempo per osservare l’incedere familiare di quella persona che, per un tempo che per lui era stato infinito, era stata tanto assente dalla sua vita quotidiana, ma che era pressoché presente giorno dopo giorno nei suoi pensieri con rabbia, rancore, stupore, incredulità e tanto dolore per la sua indifferenza e il conseguente abbandono.

– Scusami non mi ero accorto che eri qui.  Si affrettò  a precisare  con la voce più monocorde che riusciva ad esprimere. 

– Già, ho visto!  Come stai?  gli rispose Rose sorridendo. 

   Paul rimase seduto.  Sentiva le gambe tremargli, l’osservò rapidamente come uno scanner che studiava ogni più piccolo dettaglio: i capelli biondi, un biondo finto da tintura, erano pettinati con una pettinatura démodé dalla frangia che copriva tutta la fronte. Era truccata in modo leggero, con il mascara e la matita sugli occhi e un velo di rossetto sulle labbra. Le mani erano curate, con le unghie laccate di vernice bordeaux. La pelle era abbronzata, l’estate era agli inizi e sapeva quanto gli piacesse da sempre avere un’abbronzatura dorata. Portava un vestito a fiori rosa e un foulard di seta legato al collo. La corporatura era diversa da quella che ricordava lui, doveva essere colpa di quel vestito scampanato e il petto era decisamente sproporzionato al resto del corpo che non era esile, tutt’altro. Le braccia di un’atleta, di una vogatrice o una persona che faceva uso di pesi. Da come gli pareva insolitamente alta, Paul dedusse che Rose indossasse  dei tacchi alti. Da dove era seduto non poteva scorgerli. Sebbene fosse tanto diversa dal suo aspetto di tutta l’infanzia di Paul c’era in lei lo stesso sguardo, la stessa espressione. Del resto era solo cambiata fisicamente ma non nell’anima, che i suoi occhi rispecchiavano fedelmente, perché l’anima è immutabile. 

 Rendendosi conto di essere ancora seduto, Paul, a cui le buone maniere non erano mai mancate, si alzò per abbracciarla. Anche quel dettaglio gli aveva reso a lungo le notti insonni: il dilemma di cosa fosse stato meglio fare dopo tutti quegli anni? Stringerle la mano o stringerla a sé? 

   Il cuore scelse  l’abbraccio. 

   Nel stringerla a sé sentì che il profumo che emanava era ancora quello: Eau Sauvage. Lo aveva ripetuto più di una volta, la sera che lo dette in dono a Paul per il suo compleanno, che era un profumo per gli uomini e le donne. Gli aveva spiegato che per questo se ne era comprato uno anche per sé. 

 – Posso sedermi Paul?

 – Ma certo scusa,  e scostandosi per lasciarla passare le rispose: – Certo che ti puoi sedere Papa’! 

 – Desidera qualcosa da bere, signora?  il cameriere era tornato al loro tavolo.

  – Mi porti un doppio whisky on the rocks, grazie. 

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 Milagros Branca ha pubblicato per  La Tartaruga il romanzo Conseguenza d’Amore. 

Per Baldini+Castoldi, Storia di Uliviero e il suo seguito Sotto lo sguardo della luna. 

Un suo precedente racconto è apparso su Satisfiction.

Sta attualmente lavorando al suo prossimo romanzo. 

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