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Serhij Žadan anteprima. Anarchy in the UKR

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Una serata tra amici: “Prima ci scolammo tutto quello che avevamo, ma ci sembrò poco, così passammo all’erba, perfino il Bianco, il dottore in Scienze storiche che in quei giorni aveva fatto il bravo limitandosi alla vodka distillata in casa di produzione locale, si rilassò, si lasciò andare e fumò con noi, raccontando dei samurai e del loro codice d’onore”.

Consigli di politica: “non ti far fottere, non ti connettere alla rete, non andare a votare, non difendere la democrazia, non partecipare ai comizi, non iscriverti a un partito, non vendere il tuo voto ai socialdemocratici, non t’invischiare in discussioni sul parlamento, non chiamare il presidente “il mio presidente”, non appoggiare la destra, non firmare petizioni al presidente perché non è il tuo presidente, non salutare il governatore quando lo incontri per strada – tanto più che non lo incontrerai mai, non andare alle riunioni con il tuo candidato – tu non hai nessun candidato, non mostrare interesse per i sindacati – pensano solo a sfruttarti, non sostenere la rinascita nazionale – sarai il primo a essere impiccato, tu sei il loro nemico, il loro ebreo, il loro omosessuale, il loro fascista e bolscevico”.

È in libreria Anarchy in the UKR di Serhij Žadan con traduzione di Giovanna Brogi e Mariana Prokovyč (Voland 2023, pp. 208, € 19,00). Serhij Žadan è uno scrittore, poeta e performer. Tradotto in diciassette lingue, ha raggiunto la consacrazione internazionale con la sua trilogia dedicata al Donbas – La strada del Donbas (2016), Mesopotamia (2018) e Il convitto (2020) – pubblicata in Italia da Voland. Nel 2022 si è aggiudicato l’EBRD Literature Prize con Il convitto e il Premio per la Pace dell’editoria tedesca conferito ogni anno durante la Fiera del libro di Francoforte.

Il libro è un romanzo di formazione dal ritmo inebriante, racconta il passaggio dal comunismo al capitalismo, politica e antipolitica, treni e autostop, amore e nostalgia: un viaggio sentimentale, lucido e dissacrante, attraverso l’Ucraina orientale nel periodo tra la caduta dell’URSS e lo scoppio della Rivoluzione arancione del 2004.

Il ricordo dell’esperienza della repubblica anarchica: “La letteratura storica sulla repubblica di Machno descrive Huljaj-Pole con tale accuratezza che la città, la sua economia e le sue caratteristiche sociali sembrano davvero contenere indizi e previsioni sulla futura ascesa della località, la quale, in condizioni più favorevoli, sarebbe potuta diventare la mecca del turismo per tutti i fanatici dell’ideale anarchico in quanto tale e delle sue manifestazioni concrete in particolare”.

Un rapporto enigmatico con l’infanzia: “Non cercare mai di capire cosa sia realmente accaduto nella tua infanzia, perché la maggior parte delle storie che i tuoi genitori ti hanno raccontato abbia preso una piega così inattesa e avuto un finale tanto triste. Se cominci a scavare tra i ricordi d’infanzia, nei diari e negli album di fotografie, non riuscirai più a staccartene e t’imbatterai inevitabilmente in qualcosa che ti farà rabbrividire e serrare le mascelle per la rabbia e il turbamento”.

Non mancano le riflessioni musicali: “Lo capisco, nella sua posizione anch’io ascolterei Lou Reed, quel vecchio frocio sa raccontare come nessun altro quanto possano essere disperate le circostanze attorno a noi, sa spiegare come sopravvivere e non sprofondare nella disperazione quando perdi gli amici”.

Un libro divertente, irriverente, visionario, punk, non lineare, storico e autobiografico, un romanzo profondo che racconta lo spirito dell’Ucraina in balia dei tempi e del vento che cambia.

Carlo Tortarolo

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Circa un anno fa, in un’intervista, ho detto che voglio scrivere un libro sull’anarchismo. Non ricordo perché l’ho detto, non avevo alcuna voglia di scrivere un libro sull’anarchismo, però questa non è una ragione per non scriverlo. Del resto, se qualcuno deve scrivere dell’argomento, perché non io? Le mie intenzioni erano chiare e semplici: farmi un giro nei posti dove gli anarco- comunisti ucraini erano stati più attivi e poi provare a scrivere. Recuperai il tesserino da giornalista e mi misi d’accordo con L’oška perché venisse con me e si occupasse della parte fotografica. L’oška prese la faccenda molto sul serio, mi chiese che cosa doveva leggere per informarsi, io gli dissi che non lo sapevo, che leggesse Kropotkin. Ma forse meglio che non leggesse nulla. L’estate finì, il tempo si guastò, comunque a un certo punto ci siamo messi in viaggio. Come ho già detto, L’oška è venuto a prendermi a Charkiv, ed ecco che da un paio d’ore già siamo in questo vagone buio, svegli, con un’improbabile passeggera a cui tentiamo di dire dove vogliamo andare e perché, ma proprio non ci riusciamo, e non sappiamo come fare a spiegarglielo. Con le sue esercitazioni militari e il suo bromuro non avevo il coraggio di esporle le teorie di autodeterminazione anarchica, a che le sarebbe servito, e anche parlare dell’infanzia e dei demoni che ogni tanto saltano fuori sarebbe stato a dir poco strano – cosa ne poteva capire della mia infanzia, lei che non si raccapezzava nemmeno con la sua.

A volte devi semplicemente dar retta alle tue chimere, ascoltare le voci dentro di te, almeno quelle più accattivanti, a volte bisogna proprio seguire i loro consigli, per esempio quando ti sussurrano: dài, vacci, un tempo vivevi lì, sei cresciuto lì. Be’, forse non proprio lì, ma che differenza fa, prova a tirarti fuori una buona volta da questo buco, vediamo se hai abbastanza spirito, se hai abbastanza memoria da riuscire a ricostruire tutti quei percorsi che in modo strano e incredibile si sono stratificati sulla tua personale capacità di resistenza; a volte vale la pena mandarli tutti a fare un giro, quei demoni che comunque volano via dai tuoi polmoni ogni notte, come colombi che fuggono dalla gabbia, e vanno per strade note solo a loro; che avrei potuto rispondere alla ragazza con tutti quei bicipiti? che andrò nella sua stessa direzione per qualche ora, come ho già fatto tante volte, e che poi, se il treno non deraglia e non crepiamo tutti sotto i suoi rottami, nel bel mezzo della notte mi alzerò e proverò a continuare il viaggio; che provo a tornare nella città in cui sono cresciuto e da cui negli ultimi tempi mi sono estraniato, provo a tornare dagli amici che da qualche parte mi aspettano; che non ho alcuna intenzione di scoprire nulla di nuovo, semplicemente passerò da un treno all’altro, da un autobus all’altro, cambierò direzione varie volte e comprerò nuovi biglietti, fermandomi di tanto in tanto solo per verificare che niente sia cambiato, che tutto sia al suo posto, com’era prima, com’è da sempre e come deve essere; e che niente può cambiare se non sei cambiato tu stesso. Ecco, questo è ciò che vale proprio la pena di verificare. Non sarei stato capace di dire di preciso dove andavo, perché lei non avrebbe capito che là dove per lei si fermava il treno per me si fermava il tempo, e potevo solo stare ad aspettare che si rimettesse in moto, aspettare trattenendo il fiato per non spaventarlo, perché conosco troppo bene quella strada, so quanto è lunga e dove va a finire.

Alla fermata seguente scendemmo per prendere una birra. Era l’una di notte. Mi pare che piovesse. O forse non pioveva? Non ricordo. Non ha importanza.

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