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I Blues – Capitolo Aprile: – settembre Duemila sedici. Intervista a Jonathan Rizzo

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I Blues – Capitolo Aprile: – settembre Duemila sedici -, è una silloge di Jonathan Rizzo, edita nella Collana Alter poesia per Ensemble nel 2023, che racconta la vita dell’autore per scatti e impressioni. Quella di Rizzo è «una poesia impressionista non astratta» che rimanda ai padri della letteratura americana del Novecento. Eppure, in questa ricerca individuale che raccoglie brani scritti nel 2016, v’è un Io potente che desidera smarcarsi dall’omologazione vuota e inutile della vita borghese, ma c’è pure un senso di condivisione che rende la poesia di Rizzo priva di connotati narcisistici e autoreferenziali. Rizzo è innamorato innanzitutto della Poesia e meno di chi la scrive, soprattutto detesta, a ragione, gli «impiegati della poesia». Per Rizzo la poesia è carne, è sangue, i versi non nascono a tavolino o «alchemicamente in laboratorio, [con i versi] c’ho fatto l’amore». I Blues sono poesia pura che potrebbero essere «pittura e sinfonia musicale» perché la materia astratta di cui raccontano è vibrazione quantica e cosmica a un tempo, profondamente soggettiva, desiderante, e dunque umana, universale. In questo senso la cifra più evidente della raccolta è un’estrema libertà, un profondo senso etico della verità per cui ogni censura è «la morte del cervello», la banalizzazione della specie scrivente e pensante umana. La coraggiosa scrittura di Jonathan Rizzo, che non è poeta chiuso nel proprio orticello e anzi cura e si cura anche delle forme poetiche degli altri esseri umani, ci suggerisce un’idea di poesia come «un mestiere per combattere lo status quo», un’utopia che in Italia fa di Jonathan Rizzo un «un poeta perdente»: in realtà questa ‘perdita’ è proprio il carattere vitale, prolifico, di una parola poetica che resiste alla bruttura del mondo, dato minoritario e geniale in un generale modo mediocre di dirsi poeti…

Gianluca Garrapa 

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Genesi e desiderio del tuo libro.

Da figlio indegno della letteratura americana del Novecento racconto la mia vita, o almeno le parti meno noiose, attraverso la poesia, per cui la mia genesi è mio padre che fa l’amore con mia madre. I libri escono in ordine cronologico da come le poesie sono state vissute. Scrivo di cose che ho vissuto e che voglio salvare o liberarmi. La mia è una poesia impressionista non astratta. 

Quando scrivi godi?

Un tempo molto di più. Era veramente ritrovare me stesso, il vero me stesso contro la banalità del vivere quotidiano e della vita borghese. Nel tempo frequentando l’ambiente poetico italiano contemporaneo con l’ossessione disumana sulla forma senza contenuto, quel disegnare dentro i bordi che poeticamente detesto, per colpa di questi impiegati della poesia sto vivendo un pesante periodo di vuoto ed imbarazzo verso la parola scritta. Ho il terrore di defecare cose nulle, ma scritte precise come tutti. Preferisco non tornare a scrivere finché non mi senta di nuovo vivo e voglioso di urlarlo al mondo. L’ambiente uniforma verso la morte.

Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante, e perché?

Non essendo un poeta “italiano” convinto di scrivere opere d’arte su cui lavora per mesi/anni perché all’accademia (unico buco di culo del mondo che conosce ed abbia mai visto o frequenti), gli hanno insegnato che non esiste altra poesia, così da non essere capace a fare nulla se non glielo hanno detto in precedenza i Professoroni, ho sempre scritto sulla pelle, per cui tutti i versi sono stati un atto fisico e fisiologico d’amore ed ognuno importante perché ero vivo e ne sono la testimonianza. Non gli ho studiati alchemicamente in laboratorio, c’ho fatto l’amore.

Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

Pittura e sinfonia musicale, ma ahimè non sapendo dipingere né comporre, è solo brutta poesia, ma almeno è sincera ed è la mia.

Che rapporto hai con la censura?

Ritengo sia la morte del cervello. Come del resto l’ostentazione scandalosa o peggio la convinzione stupida. Mettiamola così il cervello ha molti nemici ed il libero pensiero pochi amici, ma se io adesso dal nulla scrivessi un termine o una affermazione odiosa e controversa sarebbe ad uso di un pensiero e per fare un esempio, la metterei tra virgolette e la spiegherei articolando il mio messaggio anticensura per definire il limite fra libertà e buongusto.

Stupidità e cattivo gusto stanno nella paura dentro di noi, la paura della nostra povera natura umana. La censura serve a negare la realtà che ci terrorizza per non affrontarla e crescere. È più facile nascondere la polvere sotto il tappetto e rimanere mediocri senza lo sforzo di ragionare e superare un concetto sbagliato.

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?

Dovrebbe essere un mestiere per combattere lo status quo. In Italia è il mestiere dei servi dello status quo. Ergo sono un poeta perdente.

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