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Mi succede anche di scrivere in piedi, camminando. Intervista ad Antonia Storace

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Antonia Storace è nata a Napoli, nel maggio dell’86. Editor e correttrice di bozze da oltre dieci anni, ha pubblicato due libri: Donne al quadrato (Viola editrice, 2015) e Frumento e papaveri (Viola editrice, 2021). È giornalista pubblicista e scrive per Leggere:tutti.

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Sei una valida scrittrice, molto seguita sui social, e una pubblicista che fa della scrittura anche un lavoro concreto: quanto vissuto della vita quotidiana finisce nelle tue storie, quanto pensiero immaginato resta fuori dalla pagina scritta?

Quasi tutto nel primo caso; molto poco nel secondo. Le mie storie sono la mia storia: scrivo ciò che vivo, ciò che sperimento nella carne. Senza filtri interposti, senza setacci. Mi fermo solo quando sento di essere stata autentica: è il mio modo di rispettare la scrittura.

Con la tua scrittura indaghi (anche) il non detto delle relazioni umane, facendo incontrare diverse voci narranti, che assumono un corpo di carta e inchiostro presentandosi al lettore come creature viventi. Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di personaggio letterario credibile, qual è il corpo narrante che da scrittrice preferisci quando scrivi le tue storie?

I moti emozionali, l’amore per come lo intendo, la gioia per come la vivo, il dolore per come lo affronto. Il miracolo si compie, la magia si crea, quando la mia narrazione, sebbene intima, personale, e quindi parziale, incontra l’esperienza degli altri, dei lettori, generando comunanza e condivisione; allora il mio sentire diventa il loro sentire, il loro sentire diventa il mio sentire, e dove prima c’ero solo io improvvisamente siamo in tanti.

Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi?

La Austen, senza dubbio. Erri De Luca e Clarissa Pinkola Estès tra i contemporanei viventi. Ma ci sono altri autori indispensabili, per me: Oriana Fallaci con Un uomo, tra i libri che amo di più, in senso assoluto; Gregory David Roberts con Shantaram; Maxence Fermine con Neve. Più che certi autori, sono inseparabili, indispensabili, certi libri.

Che rapporto hai con il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi due medium narrativi?

Buono con entrambi, forse più col primo. Non sono un’esperta in nessuno dei due casi, ma una fruitrice appassionata, specie in relazione al cinema. Amo molto i film storici, le finestre spalancate su epoche e tempi che non ho vissuto.

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?

Questa è la domanda, fra tutte, a cui trovo più difficile rispondere, perché il pensiero che esista un ideale, quale che sia il suo campo di applicazione, non mi piace. Mi restituisce l’immagine di una gabbia, di un confinamento; la lettura, al contrario, è la sovversione di qualunque confine. Dunque no, non ho un lettore ideale, se non quello che nutre rispetto per i libri, per ciò che rappresentano.

Come impieghi il tempo quotidiano dedicato alla scrittura delle tue storie?

Non c’è un come. Qualche volta scrivo acciambellata sulla sedia della scrivania e ho accanto una tazza con la scritta: “Dear coffee, i love you”. Altre volte sono seduta sulle scale di casa, col portatile sopra le gambe, senza scarpe. Ecco, se proprio dovessi rintracciare un come, una modalità che si ripete, direi questa: scrivo scalza. Ma non so se possa essere di qualche rilevanza. Mi succede anche di scrivere in piedi, camminando; lo faccio quando la mia scrittura diventa agitata, il corpo si muove per riflesso e la accompagna.

Quale tipo di storia, rubata al mondo reale, non scriveresti mai?

Una storia che rubi il dolore di un altro. O anche la gioia di un altro. Mi sembrerebbe di violare la sacralità della vita altrui, di esporla come merce da banco perché altri possano prenderne: mi pare una violenza.

Ti andrebbe di raccontarci quanto ti sei allenata, in tutti questi anni, per diventare una lettrice attenta, in primo luogo. E poi una scrittrice (ancora più) capace di colpire mente e cuore del lettore?

Non userei la parola allenamento. Leggo per amore. Scrivo perché scrivere è qualcosa che sono, non qualcosa che faccio.

In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché scrivi storie?

Per esistere, credo. Per esistere a me stessa.

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“Scegliete chi vi spinge a lottare, a combattere, a crescere e sperimentare. Chi inventa ogni giorno colori nuovi, e ha incoscienza abbastanza da accostare il verde col giallo, il blu cobalto col rosso rubino, perché nulla ci fa più coraggiosi come la capacità di rompere gli schemi e sovvertire l’ovvio”.

Dal brano Scegli i tuoi pari del libro Donne al quadrato

“C’è quel gesto che fanno le donne poco prima di iniziare qualcosa. Quel gesto di raccogliersi i capelli con entrambe le mani e fissarli con un elastico sopra la testa. Un attimo dopo tirano su le spalle con fare da generale in battaglia e dicono: “Cominciamo”. Cominciamo da qui, a cambiarci la sorte, a salvarci la vita”.

Dal libro Frumento e papaveri

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