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Nefertiti, la regina ferita. Fabio Pante dialoga con Jasmina Tesanovic

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Jasmina Tesanovic è un’attivista e scrittrice serba, che ha partecipato ai primi movimenti femministi nella Jugoslavia di Tito. Vive tra Torino, Belgrado, Ibiza e il Texas, anche se non ne sono certo. A Torino gestiva, assieme al marito e scrittore cyber punk statunitense Bruce Sterling, uno spazio architettonico anarchico e sperimentale chiamato Casa Jasmina, che non saprei come definire. Tecnologico. A-tecnologico. Letterario. Anti-letterario. L’ultima volta che ci sono stato, Jasmina e Bruce hanno cercato di spiegarmi come, secondo loro, la prima opera cyber punk della storia sia stata I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Jasmina tiene una rubrica su La Stampa intitolata Globalisti a Torino, e mi ha confessato più volte di essere la reincarnazione di Nefertiti, sulla cui vita ha anche scritto un libro.

Fabio Pante

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Sto leggendo un filosofo morale scozzese nato nel 1929, certo MacIntyre. Nella sua opera Dopo la virtù. Saggio di teoria morale (1981) immagina un evento apocalittico. Una catastrofe che colpisce irrimediabilmente il sapere scientifico. I laboratori vengono incendiati, i fisici linciati, i libri di scienza distrutti. Il potere politico abolisce qualsiasi forma di pensiero scientifico. Solo un gruppo di illuminati cerca di ripristinarlo, anche se sono rimasti solo alcuni frammenti. Una conoscenza degli esperimenti priva di riferimenti alla teoria, parti di teorie non collegate tra loro, mezzi capitoli, singole pagine di libri. Lentamente si cerca di rimettere insieme i pezzi ma nulla è più come prima. Sono scomparse molte delle credenze che l’uso e la conoscenza scientifica avevano apportato alla costruzione del mondo precedente. MacIntyre fa questo esempio per mostrare come una catastrofe di questo genere, che per quanto riguarda la scienza è niente più di un’ipotesi inquietante, per la morale è già divenuta realtà. Se la crisi morale dell’uomo contemporaneo espressa da MacIntyre, e la conseguente fine del peso che il dibattito intorno all’etica ha avuto nella storia dell’umanità dovessero trovare, anche solo in parte, un riscontro effettivo nella realtà attuale, allora lo stesso discorso può essere fatto a proposito della scrittura, intesa come forza in grado di creare modelli culturali, anche antagonisti.

In realtà la tesi del filosofo citato sulla frantumazione, atomizzazione e perdita della scienza mi colpisce molto di più di quella sulla letteratura. Sono rimasta scioccata dall’attuale trend mondiale contro la scienza, e ancora di più dal fatto che questo trend sia arrivato spesso e volentieri da gente colta, intelligente, e che conosco intimamente. Artisti, scrittori, attivisti, per la maggior parte donne. Da un po’ di tempo volevo scrivere su questo, ma non sapevo da che parte iniziare: i no vax? Il fatto è che io provengo da una famiglia di dottori e di ingegneri, ho visto mia madre pediatra combattere per la vita di bambini; mi trascinava nei paesi più remoti per vaccinarli, istruire i loro genitori, spiegare nelle scuole. Non è bastato. Poi è arrivata la pandemia! Ne avevo scritto già in gennaio per La Stampa che sarebbe stato un disastro. Per la cronaca, io non me la prendo con il virus in sé, ma con ogni parola pubblica o privata antiscientifica, basata sul fai da te. Questo atteggiamento diffuso credo abbia a che fare con la paura verso l’ignoto, verso la morte, la propria morte. Si cerca una falsa sicurezza e la si trova nell’ignoranza, nelle risposte facili, perché la scienza, infine, non può darti sempre risposte esatte. Chi si ostina contro la scienza che non sa spiegare la morte a livello filosofico, crea delle proprie filosofie spicciole, per trovare conforto. La pandemia, oltre ad avermi colpito a livello fisico, mi ha anche dato un taglio molto preciso sul pensare da ferma: no more bullshit but a lot of tenderness. Ho perso degli amici cari, mi si è spezzato il cuore. La scrittura, la letteratura per me sono una conseguenza dello stato generale della conoscenza. Non c’è un happy end, e nemmeno un end. Con la pandemia probabilmente riuscirò a scrivere del mio dolore per la fine del mondo illuminato, della paura per la caccia alle streghe. La scrittura è uno specchio.

Spesso mi sento come un cavallo di troia, ma a differenza di quello raccontato nei vecchi miti, io non credo che riuscirò ad entrare nella città per cui ne ho immaginato e giustificato l’esistenza. Non so se questa visione evochi anche in te qualcosa. Credo che la condizione esistenziale che voglio esprimere con la similitudine del cavallo di troia sia comune a molte persone che tentano la strada impervia del Linguaggio. Di ogni Linguaggio che vuole creare un senso del mondo, una casa fatta di parole. Ognuno a modo suo ci prova almeno una volta nella vita. Una lettera scritta a mano o al computer per amore. Un diario dimenticato. Un romanzo mai finito.

Da piccola volevo fare “la Shakespeare”, cioè avere una compagnia di scrittori e attori che girava il mondo rappresentandolo. Da grande volevo avere un banco dove la gente veniva da me e ordinava lettere d’amore o di odio. La Cyrano! Infatti, l’ho fatto più di una volta. Ricordo quando ho fatto da Cyrano alla mia miglior amica che si era innamorata di un poeta… si sono messi insieme dopo una lunga corrispondenza dove io scrivevo i suoi pensieri e sentimenti. Quando poi lui morì, io piansi con lei, e anche se lui quasi non mi conosceva, io sapevo quasi tutto sulla sua vita.

Non so se bisogna sentirsi frustrati per non riuscire ad entrare nel mainstream, alla fine il linguaggio è come un cavallo pazzo, non si può domare, corre di fronte a noi ed il mainstream in realtà non esiste. O scrivi ancora dopo vent’anni o smetti, non esiste l’opzione del raggiungere un traguardo. Anche se sei uno scrittore affermato, arrivi a questo punto.

Tutte le volte in cui ci siamo incontrati, mi sono sentito a casa. Il volto di una persona è rassicurante. È difficile l’apertura: chiudersi nel proprio ego è più semplice. Sembra che la scrittura trovi i suoi frutti migliori nella solitudine. Ma forse non è così.

Io credo in tutto quello che precede la scrittura. Non credo nelle università, o nei corsi di scrittura creativa. Sono stata sia allieva che professoressa nei centri più prestigiosi del mondo e sono scappata, senza scrivere una riga. La scrittura nasce per le strade, in the gutters, nell’anima grassa, tormentata di noi europei oppure molto magra e superficiale dei nord americani. Se non hai niente da dire, meglio ascoltare. Lo scrivere è un lavoro solitario ma anche un lavoro amatoriale che non si può professionalizzare MAI, non si può imitare mai nessun altro nella scrittura. La solitudine serve per non essere disturbati dalle voci più potenti che percepisci nel momento in cui scrivi. È come non poter cantare la tua canzone mentre ascolti ad alto volume il Requiem di Mozart.

Tento di definirti. Sei una femminista, con una visione complessa nei confronti del cambiamento radicale che i più recenti sviluppi tecnologici hanno portato e porteranno all’umanità. Internet of Women Things, è una tua definizione, sicuramente celebre negli ambienti misconosciuti delle avanguardie post-cyber punk. Quando vado dai miei genitori, persone che non hanno interessi particolari verso le ultime trovate del progresso tecnico, trovo che sono naturalmente e totalmente immersi nel regno tecnologico contemporaneo, alla stregua di un’estensione del proprio corpo. Io paragono la tecnologia alla poesia. Le vecchie generazioni di poeti guardano con sospetto alle nuove. La poesia, come la tecnologia, oltrepassa infinitamente l’uomo.

Molto interessante questo paragone fra poesia e tecnologia. Il pensiero è come un virus, le parole sono contagiose. Ho sempre usato e considerato la tecnologia come tool, come enhancement della mia mente. Ma la tecnologia esiste da sempre, a partire dall’antichità, ed ha strutturato la società, la politica, la divisione delle classi. Adesso con la scienza frantumata e atomizzata dove il dottore dell’orecchio destro non è capace di curare l’orecchio sinistro abbiamo bisogno di un concetto della tecnologia “leonardiano”, the big picture che comprenda sia la concezione del mondo astratto che quello concreto. La visione! La tecnologia diventa lo spazio in cui fioriscono visioni utopistiche e distopiche della realtà presente e futura. È meglio conoscere i propri mezzi di riproduzione che esserne clienti, users, vittime. Questo è il concetto dell’Internet of Women Things. Credo che le donne siano sempre state le prime a percepire i cambiamenti, perché più inclini ad essere responsabili verso ciò che è rischioso. Ma dato che parli dei tuoi genitori, direi che le generazioni di prima avevano più fede nella visione della tecnologia rispetto a quelle di oggi. Anche se ne sapevano di meno.

Due mesi fa, in piena quarantena, ho postato su Facebook queste frasi: “Sto pensando di partire a piedi. Raggiungere tutte le capitali d’Europa. Incontrare i Poeti delle Nazioni. Radunare un esercito di Amazzoni. Abolire le ambasciate. Amare. Perdermi”. Se dovessi associarle ad una persona, tu saresti sicuramente una candidata ideale.

Grazie amico dell’anima e onde cosmiche… io da anni già vivo così, in isolamento, in quarantena dai virus umani e altri, cercando di capire certi nodi e conquistare la pace interiore, una realtà ideale. Ovunque io sia cerco di creare questa oasi, mi muovo sempre a piedi, of courserandom encounters… che poi non sono mai random perché il corpo sa più cose di quelle che ci arrivano dalla mente limitata dai pregiudizi sociali, da una forma espressiva imposta dalla lingua nativa nazionale, e da un’infinità di altre costrizioni.

Torna presto, Jasmina!

Ma dove sei tu, io sono ancora ingabbiata sul Danubio, a Belgrado, da nuove frontiere, da un ginocchio rotto, ma presto andrò, non so ancora dove però.

Intervista a cura di Fabio Pante

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