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Non mi stanco mai di rileggere Kafka. Intervista a Jacopo Zonca

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Jacopo Zonca è nato a Parma nel 1991, ha studiato cinema e successivamente recitazione. Ha lavorato a teatro come attore, autore dei testi e aiuto regia. Ha pubblicato racconti e collaborato con alcune riviste online e cartacee (Grado Zero, Altri Animali, Limina, Pulpette, Quaerere, Le nature indivisibili). Nel 2020 è uscito il suo libro di racconti “Il mondo è un’altra cosa” edito dalla casa editrice indipendente Epika edizioni. Lavora in un’agenzia di comunicazione di Parma e si occupa della stesura dei testi per siti web.

Mario Schiavone

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Sei un giovane scrittore che si sta facendo coraggiosamente le ossa del narratore, e un abile copywriter – con una formazione teatrale e cinematografica alle spalle –, ti domando: quanta oralità concreta finisce nei tuoi lavori quotidiani, quanta drammaturgia vissuta (ma non scritta ancora) resta fuori dalla pagina scritta?

Prima di tutto desidero ringraziarti di cuore per questa possibilità. È un piacere chiacchierare con te, caro Mario.  Iniziamo dall’oralità: be’ ovviamente qualcosa entra, soprattutto quando cerco di scrivere in una sorta di slang che possa essere però recepito da tutti.  Hai usato due parole giuste, “Drammaturgia vissuta”, ecco, di quella ne entra parecchia. Cerco di non essere autobiografico, ma è impossibile che alcuni sentimenti e un certo tipo di vissuto non prendano piede nelle storie che scrivi, se sei onesto.  Per quanto riguarda il mio ruolo di copywriter, non penso debba trapelare nulla della mia interiorità quando butto giù un articolo web per un’agenzia di comunicazione. Si tratta di una scrittura tecnica, sottile, certo anche lì l’emozione è importante, ma in modo molto diverso.  Quando invece scrivo articoli per una rivista, cerco di mantenermi in equilibrio, tengo molto alla tecnica, ma spero venga fuori anche la mia personalità.

Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di lettore forte, che valore dai alle letture che fai per interrogare i tuoi autori di riferimento?

Naturalmente la lettura è la base. Per me non si misura tanto in numero di libri letti al mese, che rimane un fattore decisivo, ma per quanto mi riguarda, la cosa più importante è aumentare e affinare la mia capacità di assorbire un romanzo o un saggio, recepirlo nel modo più completo possibile, interrogandomi, per l’appunto su quello che sto leggendo.

Successivamente metto a confronto le letture e i mondi dei diversi autori che mi colpiscono, cerco di identificare il motivo per il quale li sento vicini e da lì, provo a estrapolare una visione personale. Non si tratta di un processo imitativo, ma di un apprendimento che mi consenta di essere originale in ciò che racconto. Naturalmente l’approccio è diverso, ma questo processo vale anche per il cinema e la musica, elementi che inevitabilmente finiscono nei miei racconti.

Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi?

Tanti, ovviamente. Non mi stanco mai di rileggere Kafka (di cui ho il santino sulla parete, giusto per stare allegro e concentrato) e Lovecraft. Ma sono molti quelli che hanno segnato la mia vita… Dostoevskij per esempio, e ovviamente Cechov, che avendo studiato teatro non possono non amare. Per quanto riguarda i contemporanei viventi, King (da cui nasce tutto) Bret Easton Ellis, Irvine Welsh, Don Winslow, Mircea Cartarescu, Don De Lillo, David Foster Wallace (sì, lo so… ma è sempre vivo per me) William T. Vollmann e naturalmente anche vari italiani. Su tutti il Maestro Antonio Moresco, mi piace Michele Mari, venero Aldo Busi, leggo con voracità Scurati… anche Lagioia, Ammaniti… Ma ci tengo a precisare che l’ultimo libro l’ho trovato davvero deludente e mi è parecchio dispiaciuto.

Che rapporto hai con il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi due medium narrativi?

Il mondo dei fumetti non lo conosco molto, e me ne vergogno un po’. Diversamente, il cinema lo frequento anche troppo e sovente devo ricordarmi che la letteratura rimane comunque il regno della parola.

Il cinema l’ho studiato e lo studio tutt’ora, anche se è un amore non corrisposto. Ho lavorato come attore a teatro portando a casa esperienze importanti, ma con il grande schermo o la televisione ho avuto molte difficoltà e sfortune, sia come sceneggiatore, sia come attore. Oggi lo dico con serenità.

Comunque, anche qui gli autori sono tanti, soprattutto i registi che scrivono, come Paul Thomas Anderson, Lars von Trier, Nicolas Winding Refn, Takeshi Kitano, Pedro Almodovar, solo per citarne alcuni. Ma ovviamente anche Quentin Tarantino, che nel mio percorso è stato determinate tanto quanto Stephen King. Sono fan di registi del passato che rimangono immortali come Fassbinder… adoro il nuovo cinema tedesco e la saga di Heimat di Edgar Reitz…

Poi ancora più indietro, Billy Wilder, De Sica, Ingmar Bergman, Sam Peckinpah. Tutti questi grandi registi hanno avuto molta influenza su di me.

Mi sono dimenticato di dire che amo anche Mel Gibson.

Dicono alcuni che, quando gli scrittori non immaginano storie, si occupano della vita quotidiana. O forse no. Nella tua mente esiste altro prima e dopo la scrittura e la lettura di storie?

Bella domanda, anche se mi è difficile rispondere. Il quotidiano è utile a fare in modo che la mente si stacchi dalla scrittura, ma può essere anche terribilmente noioso. Se non leggo e non scrivo, certo posso vivere momenti meravigliosi, ma la maggior parte delle volte devo fare i conti con cose spiacevoli, da cui spesso vorrei scappare.

Come organizzi la tua giornata da lettore-scrittore-copywriter rispetto ai tuoi impegni familiari?

Scrivo la mattina e poi fino a metà pomeriggio. Cerco sempre di terminare un progetto come copywriter per poi dedicarmi alla narrativa o un articolo senza interruzioni. In buona sostanza, cerco di non mescolare le cose. Ultimamente i lavori si sono un po’ sovrapposti, perché a livello famigliare ho avuto dei problemi e davanti a certe difficoltà, un figlio deve essere in grado di adattarsi.

Lettura ogni sera e pomeriggio inoltrato. Nel Week end in genere mi sfondo… Sempre di lettura eh!

Quale monologo teatrale, poesia o racconto non scriveresti mai?

Anche questa è una domanda interessante. Sicuramente non scriverei mai monologhi (che ho sempre scritto come veri propri racconti) su una tematica che non mi provoca nessuna reazione. Non riuscirei, molto semplicemente.

Con la poesia ho un rapporto strano, ma credo che rimarrò per sempre un lettore. Forse ho troppo rispetto o più probabilmente paura nei confronti di questa forma di racconto, non so. Ho provato a scrivere qualche verso, tentativi maldestri. A volte sono emerse cose leggibili e credo con una dignità. Tuttavia, sento di non essere tagliato per la poesia, purtroppo.

In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché scrivi?

Non c’è un unico motivo, credo, per iniziare a scrivere. Però penso che per tutti la matrice sia sempre un’emozione, positiva o negativa che sia, l’importante è che ti scuota e che ti faccia dire “c**o, se non racconto questa cosa, non esco vivo da qui”

Quando supero un dolore e capisco che da questo male si può elaborare un racconto, allora inizio a buttare giù qualche idea. Da questo può nascere una commedia (spesso dalle delusioni più atroci), o un dramma, l’importante è capire se in base a quello che si è vissuto ci sia materiale sufficiente da far affiorare una storia. Per scrivere qualcosa di buono è fondamentale stare bene o per lo meno, non lasciare che i guai della vita ti flagellino. È altrettanto importante avere disciplina, produrre, sbattere la testa e riconoscere quali sono i limiti della propria scrittura, cercando ovviamente di migliorare e di imparare nuove cose.

Di cosa parla il tuo ultimo libro pubblicato e che temi affronta il libro inedito a cui stai lavorando in questo periodo?

Il mio ultimo libro è uscito nel 2020, si chiama “Il mondo è un’altra cosa” ed è un libro di racconti edito da Epika edizioni, una realtà indipendente che tu conosci.

Le sei storie contenute in questo volume parlano fondamentalmente di solitudine e alienazione, in vari modi e con personaggi eterogenei. È stato un esperimento attraverso il quale mi sono confrontato con generi diversi, anche se la dominante è indubbiamente noir.

Dopo l’uscita di questa raccolta ho iniziato a lavorare a un romanzo vero e proprio. È stata dura uscire dalla dimensione del racconto, lo ammetto.

Dopo due anni di scrittura, ho avuto la possibilità di lavorare con un editor del gruppo di Michele Vaccari e poi con Michele stesso, il quale mi sta inoltre accompagnando in quella fase delicata e non priva di dolori lancinanti che è la ricerca di un editore adatto a una storia di questo tipo.

Sintetizzando, il libro parla dell’elaborazione di un trauma enorme, che paralizza le vite dei due protagonisti.

Questi due personaggi, un giovane uomo e una giovane donna, decidono di intraprendere un percorso che li riporta a vivere la tarda adolescenza, cioè il momento in cui sono entrati in contatto con un ragazzo carismatico, leader di un gruppo musicale che lentamente assume la forma di una setta.

Mentre scrivevo, il mio obiettivo era raccontare un’età in cui, almeno secondo me, si è completamente privi di difese. Questo mi interessava e questo mi ha guidato.

Il romanzo è concluso. Ho dato tutto quello che potevo dare e spero davvero che possa vedere la luce.

Jacopo Zonca è nato a Parma nel 1991, ha studiato cinema e successivamente recitazione. Ha lavorato a teatro come attore, autore dei testi e aiuto regia. Ha pubblicato racconti e collaborato con alcune riviste online e cartacee (Grado Zero, Altri Animali, Limina, Pulpette, Quaerere, Le nature indivisibili). Nel 2020 è uscito il suo libro di racconti “Il mondo è un’altra cosa” edito dalla casa editrice indipendente Epika edizioni. Lavora in un’agenzia di comunicazione di Parma e si occupa della stesura dei testi per siti web.

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