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Nostantropia. Intervista a Gerardo Iandoli

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Nostantropia – Videogioco a scarsa risoluzione, è una raccolta di Gerardo Iandoli pubblicata da Arcipelago Itaca ed. in ESTUARI – Giovane e nuova poesia italiana, collana diretta da Alessio Alessandrini, nel 2023, che ci fa vedere un mondo post-digitale dove dell’essere umano resta il fossile di un desiderio. La lettura richiede un impegno che fa del libro un esempio di letteratura ergodica, in cui chi legge ha il ruolo di co-autore e interprete, proprio come in un videogioco. Però è una difficoltà che ha nostalgia di umano e che migra la scrittura in un mondo «di rifiuti e macchine in cui, però, il sentimento umano, nel bene e nel male, persiste». La scrittura poetica di Gerardo Iandoli crea, in questo modomondo, uno spazio, una soglia di desiderio tra chi legge e chi ha scritto, e tra chi scrive e l’opera che va progredendo, l’attimo precedente un bacio che fa aderire, senza farli coincidere, due corpisoggetti desideranti, per sempre mancanti di. La poesia di Iandoli è evoluzione di desiderio che «deve far penetrare in un mondo virtuale, a scarsa risoluzione, perché è necessario che sia la mente del lettore a visualizzarlo», dunque, come si è detto, una forma di scrittura che prevede l’atto interpretativo di chi legge. La poesia-videogioco di Nostantropia si muove in un ambito di virtualità e di possibilità creante mondi che chi legge deve percorrere e abitare: lo «sguardo altrui» deve concludere l’atto creativo del poeta. Nel gioco straniato del linguaggio che si fa poesia, Nostantropia assolve al ruolo che il poeta deve garantire nel videogioco-mondo: «guardare il reale da un punto di vista inedito». In questo senso, e anche in altri, la poesia di Gerardo Iandoli, apre le forme del pensiero e del corpo in direzione di una nuova umanità desiderante…

Gianluca Garrapa 

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Genesi e desiderio del tuo libro. Quando scrivi, godi?

Nel mio caso, non userei la parola godere. La mia scrittura nasce in momenti in cui la consapevolezza di non poter agire, nella vita reale, arriva al punto da impedirmi di pensare. Resisto, allora, attraverso un atto di rifiuto del mondo: le mani ne digitano un altro, in cui posso ripristinare la mia capacità d’azione attraverso la creazione. Creare, però, è un modo del tutto particolare di agire: se l’azione è vivere, creare è far vivere. Generare è stancarsi di sé per concentrarsi sull’Altro. In sostanza, creare non è realmente muoversi, ma è prendere un pezzettino della propria possibilità di agire e trasferirlo in un Altro, nella speranza che quest’ultimo, lui, per davvero, possa vivere quello che noi non riusciamo a fare. 

La mia ultima raccolta, Nostantropia, è nata, parlando di vita vissuta, in anni di viscosissima solitudine. Intendo una solitudine che resta aggrappata alla pelle, che non si sgrassa neanche quando stai insieme agli altri, talmente ti sei disabituato al sociale. Io, avendo vissuto all’estero durante la scrittura del mio libro, sono stato straniero e a furia di essere strano per loro, ho iniziato a esserlo anche di fronte a me stesso. In questa situazione, ho provato un’immensa nostalgia nei confronti dell’umanità, mia e altrui. E la mia immaginazione ha dato vita a un mondo di rifiuti e macchine in cui, però, il sentimento umano, nel bene e nel male, persiste. 

Per concludere: quando scrivo non godo, mi sento liberato. 

Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? 

Tutte le poesie in cui rappresento il tentativo di un bacio. Il bacio è simmetria, ma nei miei versi è sempre descritto come un disallineamento. A parer mio, la difficoltà maggiore che un essere umano incontra nel corso della sua vita è la consapevolezza che è così tanto complesso formare una geometria euclidea con gli altri: i nostri corpi creano continuamente piani che si sfasano, in cui incontrarsi è tanto faticoso perché bisogna bruciare molte energie per permettere alle nostra linee, unite insieme, di far vedere un quadro. Un’opera d’arte che mi ossessiona è Amore e Psiche di Antonio Canova: le statue degli amanti sono vicinissime, ma non si toccano. Lì non vediamo un bacio, ma l’attimo immediatamente prima. C’è un impercettibile spazio vuoto tra quei corpi zuppi di desiderio. Ecco: io sono totalmente rapito da quel vuoto. Perché per me è l’elemento più denso che esista. Quello che permette alla vita di essere vita e, per tal motivo, il più problematico. 

Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

La risposta è nel sottotitolo del mio libro: un videogioco. Non voglio che chi legge si incagli nel puro gusto delle forme linguistiche: le parole devono essere molecole primordiali per edificare mondi. La poesia, non meno del romanzo, deve far penetrare in un mondo virtuale, a scarsa risoluzione, perché è necessario che sia la mente del lettore a visualizzarlo: certi eccessi della grafica computerizzata anziché alimentare la nostra fantasia la inibiscono, perché riempiono la nostra mente di dati e impediscono allo spettatore di completare quanto visto col proprio desiderio. Vorrei che si ritornasse all’arte del primo Novecento: forme fantasiose ma dai tratti sintetici, che hanno bisogno dello sguardo altrui per trovare una propria fine e un proprio fine. L’arte di quell’epoca mostra senza spiegare e, quindi, l’atto interpretativo diventa a sua volta un atto creativo. Nella mia poesia do qualche coordinata del mio mondo, ma sta poi a chi legge penetrare nei suoi meandri. 

Che rapporto hai con la censura? 

Quando si tratta di spazi di finzione, e la mia poesia si muove tutta nella finzione, provo disgusto per qualsiasi forma di moralismo. Il reale non deve imporre la propria giurisdizione sul finto. La finzione deve poter mostrare qualsiasi forma di mostruosità, anzi, forse è la sua unica vera moralità: i corpi, i nostri corpi, e l’abbiamo visto con la pandemia, si rafforzano solo se inoculiamo in essi delle forme assopite di male. Non è la rinuncia del mistico, ma la vaccinazione ad averci reso più sani. L’arte ci vaccina al male. E questo varrà qualche effetto collaterale. 

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo? 

Scrivere è guardare il reale da un punto di vista inedito. Straniato, direbbero i formalisti russi. Prim’ancora che lo status quo, l’arte contesta la noia del “così è”. La poesia cerca di rapirci, per quanto possibile, dall’impersonalità del si dice, si fa, si pensa e restituirci al nostro ruolo di soggetti attivi, non importa se in questo mondo o in un altro. L’arte compie qualcosa di più radicale della lotta al potere: prende a pugni la metafisica. E lo fa al costo di fallire ogni santa volta. Ma non importa, perché credo che in questo caso il piacere sia nella scazzottata più che nella vittoria.

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Gerardo Iandoli, Nostantropia – Videogioco a scarsa risoluzione, Arcipelago Itaca edizioni, collana ESTUARI – Giovane e nuova poesia italiana, Collana diretta da Alessio Alessandrini, 2023.

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