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Un solco senza seme. Intervista a Luca Ragagnin

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Luca Ragagnin, Un solco senza seme, collana Scafiblù, Miraggi edizioni, 2024.

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Un solco senza seme è una silloge di sillogi pubblicata per la collana Scafiblù di Miraggi edizioni nel 2024 e raccoglie scritture con gli a-capo, come ama definirle l’autore, pubblicate tra il 1988 e il 2023 e inedite (come la sezione Mangimonio). La scrittura di Luca Ragagnin privilegia spesso il significantesuono più del significato, immergendo l’orecchio del lettoreascoltatore in un ambiente fortemente legato al reale, per esempio il reale televisivo, ma anche, e soprattutto, il mondo della musica, della storia della musica, senza tralasciare esperimenti che colgono punti di colore nelle atmosfere oracolari, del cinema e di quello spettacolo interiore che può diventare spazio teatrale, oscenità del corpo e lirica che ricorda le vibrazioni fuori dall’Io di Andrea Zanzotto o l’abbandonarsi al desiderio del dirsi inconscio di Giuliano Mesa. Una scrittura di allitterazioni, paronomasie e metafore dietro cui si cela la dialettica del mondo con il pensierosentire di chi scrivecanta, sinestetici impressionismi e scrittura in pura perdita che sottrae il senso al prodotto commerciale del potere dell’Io. L’antologia di Ragagnin, o meglio la disontologia, «è per buona parte un’antologia, la sua genesi sono gli anni e i decenni trascorsi per arrivare qui» e gli strati di cui si compone danno l’idea di un’immersione di cui si gode riemergendo, a conclusione del discorsocantato «quando tutto è finito», après coup, avrebbe detto Lacan. In questo senso il viaggio sotterraneo, o in volo, dipende, è sempre un percorso concluso dal quale l’autore riparte verso nuovi incontri, dove la visceralità e la precisione chirurgica delle parole e dei timbri sono un tutt’uno con l’idea di una scrittura che vorrebbe diventare un «suono, una musica, una risonanza, un bordone, un mantra, qualcosa che inizia già iniziato e che non finisce dopo la sua fine.»

Ma se da un lato è musica, la scrittura di Ragagnin è pure «una contestazione e anche molte altre cose ovviamente, private e pubbliche», sempre risonanti del desiderio di chi scrivecompone, di chi leggeascolta, e anche della Legge\legge, interiore e sociale, dell’individuopopolo che abbia la fortuna, o la disgrazia, di avvicinarsi a una letteratura che indichi o guarisca le ferite di un pensaresentire critico sempre più raro…

Gianluca Garrapa

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Genesi e desiderio del tuo libro.

Ho smesso di consegnare a un mio libro desideri specifici. Erano troppo questo e troppo quell’altro, erano abnormi, sproporzionati, non ne ero all’altezza e non lo sapevo. Adesso lo so. Questo volume è per buona parte un’antologia, la sua genesi sono gli anni e i decenni trascorsi per arrivare qui.


Quando scrivi, godi?

No, non credo. Più che altro vado in apnea. Godo quando riemergo, quando tutto è finito.

Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? Lo puoi trascrivere qui?

Non c’è. Sono materiali stratificati, si sono formati lentamente nel tempo a volte immobile della vita. Oppure, se c’è, cambia ogni volta, a seconda del pensiero che gli dedico. Ma quando una scrittura diventa libro non me ne occupo più. Non rileggo i miei libri, non ci torno sopra, voglio solo andare da un’altra parte. 


Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

Qualcosa di molto vicino, in effetti. Vorrei che fosse suono, una musica, una risonanza, un bordone, un mantra, qualcosa che inizia già iniziato e che non finisce dopo la sua fine. 

Che rapporto hai con la censura?  

Sano, cioè pessimo. Indignato e rabbioso. Se pensiamo a certa letteratura europea del Novecento, a certi Paesi, ai destini di certi autori, c’è da rabbrividire ancora oggi. Però attenzione al ridicolo delle nostre latitudini perché la censura si fa strada così, con una prima ridicola picconata. 

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?

Scrivere può essere una contestazione e anche molte altre cose ovviamente, private e pubbliche. In qualche caso diventa un mestiere. Può essere una missione, una vocazione, una malattia, la lista è lunghissima. Ma molto dipende dalla storia sociale di uno stato, dal periodo storico. E da cosa fa quello stato per la salute culturale della popolazione.  

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