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A.Y. Chao anteprima. Shangai immortal

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Le confessioni di uno spirito volpe: “«Non sono abituata all’onestà» dico, e le parole mi sorprendono. E continuano ad arrivare. «Mentire è stata la via con cui mi sono fatta strada nel mondo da quando ho memoria. Le bugie sono le fottute tavole che mi impediscono di annegare in tutta la merda che mi viene lanciata»”.

Nelle librerie è ora disponibile Shangai immortal di A.Y. Chao, con la traduzione dall’inglese di Tiziana Lo Porto (Edizioni E/O 2023, pp. 439, € 21,90).

A.Y. Chao è un’autrice di fantasy sino-canadese. Ha vissuto a Calgary, Taipei, Parigi, Stoccolma, Pechino, Londra e Hong Kong. Shanghai Immortal è il suo primo romanzo.

Shanghai Immortal di A.Y. Chao è un romanzo fantasy d’esordio con divinità e demoni del pantheon cinese che narra le vicende di Lady Jing – uno spirito di volpe metà vampiro e metà hulijing – mentre attraversa i regni dell’Inferno, la Shanghai degli anni Trenta e le terre celesti.

Le ambientazioni coinvolgenti sono l’aspetto migliore di questo romanzo. Dietro le quinte si svolge un’intensa attività di costruzione del mondo, dettagli evocativi su un capo di abbigliamento, descrizioni affascinanti dei luoghi visitati dai personaggi o apparizioni in cameo di varie divinità cinesi.

Trasferita all’Inferno come pegno dalla sua madre quando era ancora una bambina, Lady Jing è un essere unico: metà vampiro, metà spirito-volpe hulijing e completamente irriverente. In quanto pupilla del Re dell’Inferno, ha passato gli ultimi novant’anni a compiere commissioni, a evitare i dispetti dei cortigiani hulijing e a cercare disperatamente di controllare il suo temperamento esplosivo, con alterne fortune.

Ma quando Jing scopre un complotto tra i cortigiani per rubare al Re una perla di drago di inestimabile valore, decide che è giunto il momento di smascherarli una volta per tutte. Con l’aiuto di un gentile mortale incaricato di istituire la Banca Centrale dell’Inferno, Jing si avventura in una frenetica ricerca di informazioni, attraversando l’Inferno e giungendo nella movimentata Shanghai dei mortali: “La Shanghai mortale è luminosa, tagliente e intensa. Strizzo gli occhi, desiderando che la vista si abitui in fretta. Non voglio perdermi nessun secondo di questo nuovo mondo. Il fiume è bronzo fuso, che luccica come se fosse cosparso di diamanti, il cielo una fascia del blu più tenue cosparsa di ciuffi di filo di seta”.

Tuttavia, quando i suoi scherzi mettono il mortale in pericolo, Jing è costretta a fare una scelta difficile: preservare il suo orgoglio a ogni costo o permettere al suo atteggiamento di aprirle la strada alla tenerezza, e forse anche all’amore. Questo romanzo fantasy per adulti, narrato in maniera ricca e coinvolgente, è popolato da divinità e demoni cinesi che cavalcano nell’energetica Shanghai dell’era del jazz.

Vividamente immaginato, intriso di drammatici intrecci familiari e di una storia d’amore avvincente, “Shanghai Immortal” è una lettura leggera e divertente che ci fa comprendere che A.Y. Chao è qui per rimanere.

Carlo Tortarolo

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I vapori della notte di Shanghai mi pesano sulle spalle nude. Mi appoggio alla porta di un magazzino malridotto, le gengive doloranti, lo stomaco che brontola, e aspetto la consegna segreta per il Grande Wang. Le cicale friniscono impazzite intorno a me. Per una che ha il titolo di Lady Jing del Monte Kunlun e una genealogia che include la grande dea Regina Madre dell’Ovest, fare commissioni alle tre del mattino con questo caldo schifoso potrebbe essere considerato al di sotto della mia posizione. Con un titolo del genere, vi aspettereste che io sia bellissima: tutta capelli, tette e culo, tenuta insieme da sferzate di equilibrio e dignità. Bene, metto subito le cose in chiaro. Sono un mix degenerato di sfortunati geni e circostanze. Dalla mia cara defunta madre – una hulijing, o «stronza di uno spirito volpe» come preferisco chiamarla – ho ereditato la mia brutale mancanza di fascino; da mio padre – un vampiro con la faccia da sanguisuga che non si è preso nemmeno la briga di restare nei paraggi – un dannatissimo e seccante debole per il sangue.

Mentre le tre del mattino sono probabilmente il momento in cui il caldo afoso è al suo apice, il crepuscolo è quando il velo tra il mondo dei mortali e i regni dell’Inferno si assottiglia, rendendo più facile per i corrieri mortali effettuare le loro consegne. Per quanto caldo possa fare, il Grande Wang si aspetta che io aspetti, per cui è quello che faccio.

Cosa c’entra il Grande Wang con tutto il resto? Lasciate che vi racconti la mia storia di povera orfanella: anche la mia cara mamma aveva un debole dannatamente seccante. Il suo era per i diamanti grandi come uova di quaglia, tesori che una divinità miserabile come lei non poteva permettersi. Piuttosto che rinunciare ai suoi preziosi gioielli, mi ha data in pegno come un cucciolo al Grande Wang, ovvero il Re dell’Inferno, per ripagare i suoi debiti da shopping compulsivo. E poi se n’è andata ed è morta prima di potermi reclamare.

Sì, sob, sob, lo so.

Il legno gonfio della porta del magazzino scricchiola contro la mia schiena. L’edificio di mattoni rossi, uno di una fila di strutture basse in mattoni, tutte uguali, che costeggiano il fiume Whangpoo, ha vissuto giorni migliori, consumato e alterato dall’umidità.

Sarebbe abbastanza facile per il Grande Wang rendere i magazzini splendenti e nuovi, ma li preferisce così. Conferisce carattere al posto, dice. Faccio scivolare il sottile qipao di cotone sulle cosce e mi alzo tenendo le gambe larghe quanto il vestito aderente lo consente. Qua fuori fa più caldo che nei Focolai dell’Inferno. Mi passo la lingua sulle gengive, indolenzite ma ancora lisce, fantasticando sul bel bicchiere di sangue ghiacciato che mi guadagnerò per questa commissione. Vecchio di tre giorni, il mio preferito – pétillant al punto giusto.

Mi fanno male i piedi, ne tiro fuori uno dalla pantofola di seta – una cosina minuscola, stretta e ridicola, più utile come strumento di tortura che come calzatura – e massaggio l’arco plantare dolorante. Il Grande Wang probabilmente aspetta un altro dei suoi maledetti oggetti da collezione. Forse una delle sue amate tartarughe, o una carpa koi per il laghetto, ma questa dannata consegna è in ritardo. Dentro di me è tutta una guerra tra impazienza e fame. Per quanto mi piacerebbe andarmene non posso. Il sudore mi pizzica lungo la schiena, così raccolgo i capelli, li attorciglio in uno chignon improvvisato per allontanarli dalla pelle, poi sbottono il colletto del qipao e cerco di sventolarmi. Non c’è tregua. Anche la brezza soffia rovente.

La maggior parte delle persone conosce la versione decadente e divisa di Shanghai dall’altra parte del velo: un’enclave straniera annidata tra le tette tenere come il tofu del Regno di Mezzo. I mortali la chiamano Parigi d’Oriente, New York d’Occidente. La loro versione della mia città pullula di qi yang, una forza vitale violenta, virulenta, vibrante; un parco giochi sconfinato per potenze straniere, mercanti e gangster, tutti in lizza per dominare. Ma la regola più inviolabile del Cosmo è l’equilibrio. Non può esserci yang senza yin. La Shanghai mortale non fa eccezione. Noi yaojing – metà divinità e metà demoni – abbiamo una versione yin tutta nostra: la Shanghai immortale, la capitale scintillante dell’Inferno.

Dalla nostra parte del velo – il lato Inferno – il fiume desolato scorre nero e denso nell’oscurità. Ma attraverso il velo, ombre fumose di barche mortali affollano le correnti. Grandi giunche con le vele ad ala di pipistrello sfrecciano sull’acqua, sampan più piccoli rimbalzano sulla loro scia mentre forme scure rettangolari galleggiano per conto loro. Bare. Sempre più numerose in questi giorni. I disordini civili nel mondo mortale, inaspriti dalle potenze straniere desiderose di macellare il Regno di Mezzo riducendolo in 14 tagli di carne da trofeo, inondano la Shanghai immortale di fantasmi. Qualche anno fa i giapponesi hanno bo

mbardato Zhabei, il quartiere cinese di Shanghai. I traghetti fantasma attraccavano ai nostri porti, uno dopo l’altro, in un incessante convoglio di morte.

Il fetore aspro e dolce delle piante in decomposizione e della salamoia mi brucia il naso. Nel cocktail di odori ce n’è uno che mi fa vomitare e salivare allo stesso tempo: l’inconfondibile puzza di cadaveri gonfi e pieni di sangue. Le mie zanne, minuscoli artigli bianchi, trafiggono le gengive. Il pizzicore al ventre cresce, rosicchiando verso l’alto fino a diventare una sete ardente che mi gratta la gola come aghi. L’improvviso schianto dell’acqua contro il legno fa sì 

che la paura mi geli la pelle nonostante il caldo soffocante. Le zanne si ritraggono, la sete di sangue svanisce. Mi appiattisco contro la porta, anche se so di essere a distanza di sicurezza dall’acqua. Il legno scricchiola in segno di protesta e ci vogliono alcuni secondi prima di rendermi conto che è solo un sampan che si avvicina. Con uno sforzo, mi stacco dalla porta per non rompere accidentalmente il legno stagionato. L’acqua non mi è mai piaciuta. Grazie al Tian, grazie al Cielo, qui non piove mai.

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