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Aldo Grandi anteprima. Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli

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Aldo Grandi, già autore di Giangiacomo Feltrinelli, la dinastia, il rivoluzionario, uscito nel 2000, è stato il primo in Italia, decenni prima della biografia scritta dal figlio Carlo Feltrinelli Senior Service, a comprendere il dramma di uomo conosciuto come editore geniale e al contempo di un “rivoluzionario”, appartenete ad una delle dinastie industriali italiani, entrato in clandestinità dopo la Strage di Piazza Fontana.


A cinquant’anni dalla morte di Feltrinelli Aldo Grandi, – nato a Livorno (1961) vive e lavora a Lucca, dove dirige quattro quotidiani online: La Gazzetta di Lucca,
 La Gazzetta di Viareggio,  La Gazzetta di Massa Carrara, e La Gazzetta del Serchio,  tra i più riconosciuti saggisti italiani degli anni di sogno e di piombo, di inchiostro e di morte, di utopie e di incubi, di illusioni sfiorate e di utopie mancate, ricostruisce attraverso documenti anche inediti la figura di questo “gattopardo” della rivoluzione culturale e non solo. Trovato “morto” il 15 marzo del 1972 a Segrate, Milano, sotto un traliccio dell’alta tensione con il corpo dilaniato dall’esplosione di un ordigno rudimentale. Quasi un destino compiuto per questo “rivoluzionario in pelliccia”, come lo definì Luciano Bianciardi, che anni prima scrisse “se un giorno troverete il cadavere di un uomo nudo, quel cadavere è il mio”. Una fine segnata, come Pasolini: entrambi avevano anticipato la propria morte. Aldo Grandi non ci consegna l’ennesimo saggio dietrologico che vede dietro la morte di Feltrinelli le ombre della CIA e del Mossad, ma ci restituisce l’atmosfera e la vita di quegli anni. Una strada che Aldo Grandi aveva già imboccato con La generazione degli anni perduti – Storie di Potere Operaio (Einaudi) e poi per Rizzoli nel 2005 con Insurrezione armata, inchiesta di 450 pagine sul gruppo extraparlamentare “Autonomia Operaia” fuoriuscito dal “Movimento Studentesco” del ’68 e in pochissimo tempo divenuto più elitario, più violento, più rivoluzionario e più ideologizzato.
In questo volume, edito da Chiarelettere, Grandi smonta il “cubo d’acciaio” che vuole accreditare “Osvaldo”, nome scelto da Feltrinelli per la clandestinità, neo ruolo di vero e proprio emissario, ambasciatore e plenipotenziario dei grandi strateghi del terrorismo mondiale e e di come il suo impero finanziario abbia giocato un ruolo cruciale e fondamentale nell’espansione e dell’esportazione della lotta armata su scala mondiale. Aldo Grandi ci racconta un Feltrinelli come un uomo e un intellettuale di quegli anni: non irretito dalle utopie ma, in un contesto sociale determinato, un uomo che ha creduto in un potere al popolo che non fosse inquinato, come spesso è stato dimostrato, da ingerenze esterne.


Aldo Grandi è molto abile a raccontare Feltrinelli come figura al contempo epica e al contempo “de costituita” di un autentico ruolo rivoluzionario. Non entro  nel merito: sono un critico letterario non uno storico, pur appassionato di lotta armata formatomi da adolescente nella biblioteca dal grande amico Cecco “Bill” Bellosi, pur avendo frequentato malgrado l’anagrafe (sono nato il 31 agosto 1972) per amicizia  Valerio Morucci, Renato Curcio e per carteggio Vincenzo Vinciguerra.
Ho letto un saggio rigoroso perché non ha ombre: chiarisce da che parte sta l’autore e non si perde nelle mille ambiguità di altri saggisti di quegli anni. E questo è davvero un grande merito di trasparenza: la penna si imbraccia da una parte sola se no sei un passacarte. Aldo Grandi non lo e’, ed ha scritto un libro che ha soprattutto io merito di spingere chiunque lo legga oggi ad approfondire quegli anni, quel contesto, quella utopia contro cui una generazione intera è andata a sbattere contro un muro a duecento all’ora. Che poi sia stata quella generazione o il “muro” ad andare a duecento all’ora è impossibile determinarlo ma certamente quegli anni, culminati con l’arrivo dell’eroina in Italia nel 1979 (dagli Archivi desecretati nel 2011 dalla CIA risulta l’ ingerenza degli Stati Uniti nella diffusione della droga per mettere “al muro” quella generazione).
Leggere questo saggio di Aldo Grandi non è l’ultimo ma è un tassello per ri-vivere quegli anni e porre una riflessione su cosa siamo diventati oggi e dove stiamo andando. Quello che si può aggiungere è, senza paura di smentita, Feltrinelli ha intuito, ne scrisse in un articolo del 1969, il rischio di un “golpe” e insieme a Pasolini e Bianciardi sono stato gli unici tre intellettuali a comprendere il Potere che avrebbero acquisito le telecomunicazioni. Feltrinelli morto sotto un traliccio e Pasolini per quella società dello spettacolo, di debordiana memoria, che avrebbe creato il presente che viviamo.


Gian Paolo Serino

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Con la testa per aria e i piedi per terra

L’importanza della cultura, il suo senso di vicinanza ai più deboli e agli oppressi, la coscienza di voler fare di tutto per dimostrare a sé stesso e agli altri di essere diverso da ciò che avrebbe dovuto essere per tradizione e origini, lo condussero a imboccare una strada che a chiunque sarebbe apparsa ardua ai limiti dell’impossibile. È vero, aveva risorse economiche, forse, infinite, ma si trattava pur sempre di investire ciò che aveva ricevuto ed ereditato dal padre Carlo Feltrinelli, che non era stato un mecenate, ma piuttosto uno dei più illuminati rappresentanti del capitalismo industriale e finanziario in Italia e oltre.

Quando Feltrinelli, nel 1955, scelse di aprire in via Andegari la casa editrice, lo fece senza immaginare che di lì a pochi anni sarebbe stato in grado di diventare uno degli editori più promettenti, intraprendenti, famosi e ammirati a livello mondiale. Seppe, in effetti, circondarsi di persone giuste, capaci, preparate, dimostrando in più di una circostanza, nell’immediato futuro e in quello remoto, di possedere dentro di sé le stimmate dell’uomo d’affari, dell’imprenditore che sa come muoversi nella giungla dei mercati, e di essere inoltre dotato di coraggio e intuizioni non comuni. Lo dimostrò negli anni Cinquanta, quando, dopo aver combattuto a lungo contro il totalitarismo dell’Unione Sovietica e il ligio ossequio del Pci al Pcus, sbalordì il mondo pubblicando, nel 1957, il libro che divenne il caso più importante della letteratura mondiale, ossia Il dottor Živago di Boris Pasternak. Si mostrò, in quel frangente, in grado di tenere il timone della sua casa editrice riuscendo a comprendere sia umanamente sia politicamente quali fossero le mosse da fare per non arrecare danno allo scrittore sovietico, prigioniero e assediato dalle autorità comuniste del suo paese, e allo stesso tempo per portare a compimento un’operazione editoriale senza pari a livello mondiale.

Pensava solo ai soldi? Può darsi che avesse in mente anche quelli, ma a mano a mano che gli anni passavano Feltrinelli diventava sempre più autonomo e indipendente, in tutti i sensi.

[…] Era ancora molto giovane e aveva davanti un lungo e promettente cammino. I successi editoriali arrivavano uno dopo l’altro, le intuizioni pure, la casa editrice era in costante fermento e ci fu un momento in cui, come avrebbero ricordato alcuni collaboratori e dipendenti, sembrava realmente che il mondo culturale cominciasse e finisse in via Andegari, dove approdavano e si incrociavano scrittori provenienti dai due emisferi e fioccavano richieste e offerte da editori molto più famosi che volevano conoscere «l’editore coi baffi», come era anche noto Feltrinelli, e collaborare con lui. Ma Giangiacomo aveva conservato dentro di sé una irrequietezza che lo rendeva costantemente insoddisfatto e insofferente. Dopo la fine del secondo matrimonio, durante un viaggio solitario verso il Nord Europa conobbe una fotografa che aveva già viaggiato molto e scattato immagini che l’avevano resa particolarmente apprezzata. Si chiamava Inge Schönthal. Aveva quattro anni meno di Giangiacomo. I due si sposarono in Messico nel 1959 e sin dall’inizio lei dimostrò le doti necessarie per affiancare il marito nell’attività di editore.

Nel 1962 gli diede anche un figlio, Carlo Fitzgerald. La Feltrinelli, nel frattempo, era diventata ovunque e per tutti sinonimo di intraprendenza, libertà e progressismo culturali e politici.

Non c’era ramo del sapere che la casa editrice non affrontasse nelle sue collane. Tutto ciò che era innovazione poteva essere diffuso e nessun altro editore appariva così aperto e pronto ad accogliere le novità che il nuovo decennio sembrava portare con sé. Ovunque Feltrinelli si recasse, trovava giornalisti e intellettuali che volevano intervistarlo o incontrarlo. Dopo Pasternak, fu la volta di un altro colpo editoriale straordinario, la pubblicazione, nel 1958, de Il Gattopardo, opera edita postuma di uno scrittore siciliano pressoché sconosciuto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Gran parte del merito, a dire il vero, andava assegnata a Giorgio Bassani, che gli era stato presentato guarda caso da Alessandra De Stefani, e a Elena Croce, figlia del grande filosofo Benedetto, che fece leggere il manoscritto all’autore de Il giardino dei Finzi- Contini. Fu solo fortuna? Difficile pensarlo. Anche questa volta la Feltrinelli aveva fatto centro. Un alone di fascino misto a curiosità circondava l’editore italiano più coraggioso, sempre pronto a promuovere nuove idee e nuovi autori, e mandando a quel paese, anche con modi tutt’altro che cortesi, coloro i quali, come appunto Bassani, direttore di ben due collane di letteratura, avevano

contribuito al suo successo. Uno scontro generazionale senza esclusione di colpi che vide l’aristocratico scrittore, legato a una concezione tradizionale della letteratura e del romanzo, messo in minoranza, umiliato al punto che gli furono persino forzati i cassetti della scrivania alla ricerca di prove di una impossibile e inimmaginabile infedeltà. Fu una caduta di stile che segnò l’inizio di un declino pubblicistico nel corso del quale Feltrinelli, piano piano, abbracciò tutto ciò che sapeva di sperimentale per poi passare all’estremismo politico e all’antimperialismo. […]

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Aldo Grandi, Gli ultimi giorni di Giangiacomo Feltrinelli, Chiarelettere, Milano 2022, pp. 64 – 67

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