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Claudio Sanfilippo, Boxe

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–       Con quel quadrato lì in mezzo al prato e quelle poltroncine intorno non sembra neanche di essere a San Siro… Ettore, te gh’è lì on sofranell?

–       Svedesi, che il legno brucia, la cera inveci la se dislengua.

–       Ho dimenticato a casa il Ronson che mi ha regalato la Jone. Ma il bambino  quando nasce?

–       Tra un mese, ieri con la Rosalba siamo andati in solaio a prendere la carrozzina di quando è nato suo fratello, e il Claudio?

–       Per il Claudio abbiamo dovuto comprarla. Sua cuginetta, l’Anna,  la sta usando ancora, hanno sei mesi di differenza… mi dà due mignon di Isolabella? Grazie, quant’è? Ecco, tutta moneta, le conti. A novembre  andiamo a vedere il derby insieme?

–       No, dopo il 5 a 3 dell’anno scorso basta, troppa sofferenza.

–       Quattro gol di Altafini…

–       E Angelillo che si è svegliato sul 5 a 2. Tu vai con tuo fratello, io col mio,

mì a cà mia, tì a cà tua…

–       Osti, ci sei rimasto male.

–       Eh, dopo un 5 a 3, cosa vuoi…

–       Te se ricordet quando siamo andati a vedere il Tiberio Mitri contro Alcantara?

–       Me ricordi si, al Vigorelli. Ma scusa, te perché hai smesso di tirare di boxe?

–       Volevano rompermi il naso prima del primo combattimento, col martello. Ho sempre boxato a non prenderle, per due anni hanno cercato di appiattirmelo a pugni in allenamento ma io ci stavo attento, mi chiudevo bene, alzavo la guardia. A mì me piass tirà de scherma, prendere i pugni in faccia non mi piace.

–       Perché, a qualcuno gli piace?

–       Me par de no. Ma andando avanti l’osso del naso bisogna dimenticarselo, beccare un diretto in faccia fa troppo male.

 Nell’ultimo chiaro di fine estate era tutto pronto, stavano per salire sul ring i primi due pugili, il contorno che anticipava il clou, titolo mondiale dei pesi welter tra Carlos Ortiz e Duilio Loi, il re dei nasi schiacciati.

 Il pugile portoricano lo aveva battuto solo tre mesi prima, in America, al Cow Palace di Daly City. A San Siro andava in scena la rivincita. Loi, un concentrato di tecnica, fantasia e velocità, ma con un deficit da “castagna”, l’idolo del Piero non era un picchiatore.

 Erano arrivati a San Siro in tram da Porta Venezia senza passare da casa, direttamente dal loro posto di lavoro, ricordando quello che era successo cinque anni prima, nel 1955, quando il tram numero 24, che stava transitando in Corso San Gottardo, si fermò all’altezza di un bar per via dell’accordo complice tra manovratore e passeggeri: simulazione del tram in panne

 e tutti dentro al bar per la diretta tv del match del Duilio contro Seraphin Ferrer, dal Palazzo dello Sport della Fiera di Milano. C’erano le foto sul Giorno, pagine milanesi.

 I loro corpi portavano a spasso due mestieri che si potevano intuire dall’odore che emanavano: Ettore il salumiere, Piero il pasticciere. Salato e dolce dalle camicie, dalle giacche di cotone, perfino dai capelli, nonostante la Linetti e il dopobarba, che a quell’ora si era già diradato. La loro era una mistura esotica e variegata, insalata russa e alchermes, patè di fegato e

 praline, ciccioli e cacao.

 –       Dai che cominciano! Piero, domenica andiamo a fare un giro in bici all’Idroscalo?

–       Domenica mattina lavoro.

–       Porca miseria, è vero che te la domenica lavori, va bè se non sei troppo stanco andiamo di pomeriggio. Te gh’è on bel laurà a fa l’offellèe…

–       L’è inscì, di festa si sgobba di più. Vedo con mia moglie, se non c’è qualche zio che viene per il bambino, vengo.

–       Ma almeno riusciamo a vedere insieme le Olimpiadi di Roma al bar? In Corso Buenos Aires c’è un Radiomarelli bello grosso.

L’ultimo tram nella metropoli deserta, nei loro occhi il fotogramma della cintura d’oro che luccicava nel magnesio dei flash, Loi che la alza davanti a settantamila, tutto esaurito da derby. Erano in piedi dalle sei di mattina e di lì a sei ore la sveglia non avrebbe fatto sconti. Mancavano due fermate, da bambini abitavano nello stesso cortile, da uomini la differenza era aumentata di due portoni, cento metri scarsi.

Il panino col salame inghiottito al bar del trotto era roba di fine pomeriggio, lo stomaco brontolava, il Piero guardò l’Ettore con un occhio solo:

–      Uei, perché non vieni su da me un quarto d’ora, ho messo giù le aringhe sott’olio…

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