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Gaia Giovagnoli. Chiedi se vive o se muore

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La mente a volte fa capriole inaspettate mentre ci si ritrova a ripensare ai libri sfogliati di recente. Tra Gaia e Celati, in apparenza lontanissimi, nulla appare accomunarli eppure c’è un racconto breve di quel narratore delle mie pianure che a questo giro di walzer mi è balzato in testa quasi spontaneo.

Mi riferisco al suo Nuovo Mondo, minuscolo visionario saggio di etnografia fantastica incentrato sulle testimonianze di un pescatore che, nel corso di un incidente in acque agitate dalle parti di Chioggia, perse tre dita di una mano. Costui, dialogando con il fotografo protagonista della novella, riferisce di essere convinto che l’indice, ora mancante, funga da “bussola misteriosa” e, in alcuni punti della laguna “in qualche isolotto di sabbia o barena in mezzo al mare”, l’arto scomparso sia addirittura in grado di “puntare” nella direzione dei morti.

Il dito fantasma, per lo sventurato marinaio, allo stesso modo dei tarocchi per India, protagonista di Chiedi se vive o se muore (anch’essa sopravvissuta a un naufragio) svolgono una funzione a mio avviso non troppo dissimile: orientarsi. Entrambi mirano a raggiungere un’isola se non proprio della salvezza, almeno della comprensione. Che li si voglia intendere alla stregua di credenze popolari o catartici strumenti di tutela, il giudizio non spetta certo a chi scrive, certo é che per sopravvivere all’interno di uno Sturm und Drang della coppia come quello in oggetto, tocca affidarsi ad ancore come queste: dal ceppo ben robusto e nodo rinforzato.

India, si diceva poco sopra, anima di confine riemersa da un paludismo psichico inculcato a forza, è stata la compagna di Leo. La ragazza interroga le carte fin da giovane, l’arte divinatoria è patrimonio famigliare, negli anni s’è fatto studio, professione e oggi espediente per instaurare un ultimo dialogo con colui che “per amore”, ha scelto di chiuderla in uno stanzino senza cibo né acqua.

«L’amore si mostra anche così, pensai: come tutela assoluta dell’altro. Sapere cos’è meglio per lui più di quanto non lo sappia lui stesso, e agire di conseguenza – pure se questo significa sottoporlo a un male momentaneo. L’amore può essere una mutilazione: se serve, si può recidere una piccola parte all’amato – un suo desiderio da niente – per far sì che un pezzo del puzzle continui a combaciare. Limarlo per il fine superiore: stare insieme nonostante tutto.»

Oggi Leo giace sopra un letto d’ospedale, il volo dal secondo piano della loro abitazione appare come il gesto estremo di un disperato a cui tutto è stato sottratto ma la verità è sempre questione di prospettive e, per arrivare a una consapevolezza sufficiente, al lettore non resta che affidarsi alla voce di chi stende il mazzo.

Golem di pelle, statura e imposizioni, negli anni di convivenza con l’esile cartomante, Leo si è fatto mentore e despota all’esigenza. Il loro è stato ciò che oggi definiremo “sentimento tossico”, una supernova destinata a sfociare e deflagrare di pari intensità. Perimetro di un terreno ostile, circondato di fragilissimi aculei, oggi la loro storia, tanto quanto il corpo di Leo, sono organi che giacciono immobili, inermi, sfiancati dal conflitto. Ecco dunque che questa sua stasi monolitica diventa confessionale per una rielaborazione del prima, di ciò che è stato e che ha segnato, delle cicatrici nella carne, dei respiri strozzati dalle mani strette al collo, della frattura che ha squarciato la terra tra le parti e di come non si sia stati in grado di ricavare appigli prima dell’inevitabile cedimento.

Se è vero quindi che ogni storia è una storia d’amore, anche la seconda prova della Giovagnoli non fa eccezione. Ma non è nella trama che si deve ricercare la fiamma, bensì nell’approccio alla parola, nella forma ancor più sfaccettata (rispetto al già convincente esordio), libera di spostare il punto d’osservazione, infrangendo schemi temporali e narrativi, raccontando il tutto attraverso una seconda persona singolare che ci accoglie nel tepore intimo di una confessione tra conoscenti, senza rinunciare riverbero lirico della sua eredità poetica.

India stende le carte e dialoga con le voci che assieme a lei decidono di condividere un pezzetto della reclusione. Nella terra di mezzo priva di orologi la lista di anime in attesa di una lettura non fa sconti: ladre penitenti e sessantenni schiacciati dentro costumi di latex dalle sembianze canine attendono pazienti il momento del confronto. Ognuno si carichi sulle spalle la propria prigione di vergogna e martirio verrebbe da pensare, che si tratti di una cella di cemento o altri bizzarri confini della psiche ad averla eretta, che importa? La luce è poca, sufficiente a interrogare gli arcani.

«Ogni carta, nello stanzino, mi ha aperto uno squarcio, creando una trama sottile. Forse spero che seguendola alla fine tu possa uscire da me come quando si espelle la placenta; forse per tornare vuota, e pulita, e giusta, ho bisogno di riempirmi di te e di ributtarti fuori, come si fa con una purga. Deve fare male, perché funzioni l’operazione. Devo ritrovarmi davvero sola, per poter accogliere qualcun altro.»

La simbologia trae forza dalla capacità interpretativa, magia e scetticismo possono coesistere e, così come in narrativa, una carta non è solo ciò che vi è rappresentato sulla superficie bensì un’ambivalenza di significati e messaggi che trovano compimento nella divinazione delle singole vite: un matto non è dunque solo un folle, così come la morte non si deve intendere solo come la fine di qualcosa, allo stesso modo questa storia non è da limitarsi ad una sola storia di tarocchi.

«È difficile dire che significato abbia – e lo stesso vale per ogni figura dei tarocchi. Ogni arcano, maggiore e minore, ha sì un significato generale, decontestualizzato dalla lettura; quando però lo si mette in relazione con gli altri, a seconda dei casi, ciò che vuole dire muta.»

Ci si sente affogare negli anfratti più bui degli underground studenteschi per poi riemergere al passo della protagonista quando le mani tese non sono più quelle dei ceffoni. Ci si sente esposti, nudi e scarnificati agli occhi inquisitori di una madre le cui torte di mele portano alla nausea e le movenze rimandano ai Requiem di altri incubi cinematografici per poi tornare a respirare nelle parole di nuove inaspettate gentilezze e non deve sorprenderci che questo turbinio di ricordi si accumuli nella maniera più naturale possibile, uno sfilacciarsi di vita che lentamente ne risale le radici.

La storia di India è quindi la storia dei violati, di chi raramente si è sentito a proprio agio in un corpo, in un contesto, di chi è rimasto una vita a osservare le cose in disparte, di chi ha permesso che esistesse un tempo e un luogo in cui si potesse abusare di loro; di chi semplicemente in un momento inaspettato del percorso ha incrociato una dedizione del cuore e ha fatto la cosa più naturale possibile: accettarla.

India è un corpo di moltitudini e la sua storia, una pratica dell’emersione.

Accoglierla, raggiungere assieme l’agognata superficie, diventa quindi un gesto di tutela per l’autrice così come per il lettore, prendersene cura, una promessa al ritrovarsi in luoghi più luminosi.

Stefano Bonazzi

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Chiedi se vive o se muore

Gaia Giovagnoli

Nottetempo

16,00 euro — 224 pagine

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