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Gérard Thomas. Storia del vuoto

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La narrazione, scritta o orale, risponde talvolta al bisogno di oggettivare, trasferire all’esterno ciò che costituisce intima esperienza che sebbene privata, chiede prepotentemente di poter uscire per vivere una vita propria, diventare materializzazione del sentire, segno tangibile del pensiero. L’esperienza del vuoto è legata alla parola morte che rimanda ad una paura secolare, ad una soglia difficile da varcare. S. Agostino, nelle Confessiones, provava a descrivere, ricordando la dolorosa perdita di un caro amico, la situazione emotiva che segue un doloroso lutto […] E il mio paese divenne un patibolo, e la casa paterna m’era penosa e strana, e tutto quello che avevo condiviso con lui, senza di lui diventava uno strazio enorme. Il mio sguardo lo cercava invano dappertutto […]. Ero divenuto un enigma angoscioso a me stesso […]. Solo il pianto mi era gradito e aveva preso il posto del mio amico fra i piaceri dell’anima. Si potrebbe dire che il senso di vuoto, più che rimandare ad un concetto, inglobi quell’ esperienza complessa e dolorosa che tutti hanno attraversato o dovranno necessariamente attraversare (un lutto familiare, la perdita di un’amicizia, di un amore, di un luogo a cui si è profondamente legati, ecc.) e che ci consegna ad una malinconia senza risarcimento. Dimensione fisica e psichica sono ineluttabilmente intrecciate nella realtà della perdita: l’autore, tuttavia, non si addentra in un discorso dottrinario o psicologico, pur citando spesso le intuizioni freudiane che , senza negare l’intrinseca tragicità della condizione umana, fanno della sofferenza un grande motore di ricerca; piuttosto ci restituisce la traiettoria del suo pensiero, ci fa entrare in intimità con il vuoto per mostrarci come esso possa accogliere, trasmettere, creare. Il lessico è misurato al punto che non si avverte mai la delineazione di un’affermazione cementata in un concetto. Il tono del discorso è quello di un fiero rappresentante di un’altra idea di umanità , colmo di fiducia nella possibilità di comprendere che il vuoto non è uno stato ma un percorso. Parabola del congedo per ritrovare e ritrovarsi : farsi attraversare dai ricordi, sommergere dalle emozioni, passare attraverso il dolore del vuoto perché una perdita riscrive le relazioni con quelli che restano. È grazie a questo lavoro che si definisce la possibilità, vissuta da Thomas tramite la scrittura, di toccare con mano la riconoscibilità dell’esperienza, donare un senso alle cadute della nostra vita. All’esperienza mutilante della perdita , segue un processo di adattamento segnato dalla scomparsa definitiva di tutto ciò che ci lega alla persona che non c’è più, nel presente e nei progetti futuri: pensieri, gesti, sguardi, emozioni, progetti condivisi , insomma tutto ciò che costituiva assetto stabile. Interrogarsi sul concetto di vuoto, sottolinea l’autore, significa anche interrogarsi su quale sia il posto occupato dalla morte, ad esempio, all’interno della nostra società, tanto a livello di comportamenti, quanto a livello di immaginario. Il dolore dell’individuo, sin dai tempi più remoti, è stato istituzionalmente moderato dal rito, ha trovato una sua figurazione, una forma di elaborazione nel racconto mitologico. Se la morte è fonte di trauma supremo, il peggiore di tutti, il vuoto è un concetto complesso, sfuggente, imprendibile e diversi sono i modi, attivi e passivi, di confrontarsi con l’assenza.

 La risposta al lutto, su cui l’autore si sofferma nei capitoli centrali, è estremamente soggettiva; anche per gli esseri umani esiste una sorta di “biodiversità”. Richiamando la psicologia freudiana, Thomas cerca di definire tre diversi tipi di reazione: impossibilità, ( di separazione dall’oggetto perduto); rigetto (idealizzazione dell’oggetto perduto) e negazione (ridimensionamento o rimozione del problema). Nessuna delle tre, tuttavia , risolve il problema ma sono sintomi patologici della malinconia che c’impedisce di fare il lavoro del lutto. (pag. 105). Del resto, se pensiamo che uno dei valori cardine della modernità  è avere un’esistenza densa e ricca di oggetti, di connessioni continue che ci fanno sentire “pieni” , è facile pensare che il vuoto debba necessariamente assumere le dimensioni di uno spaventoso abisso in cui temiamo disperatamente di scivolare . Abbiamo un frenetico bisogno di riempire le nostre giornate di abitudini, gesti, incontri, scadenze, puntellarle di certezze, controllarle e pianificarle; eppure il vuoto è parte di noi, sottolinea l’autore nel primo capitolo, è elemento indispensabile dell’esistenza di tutto l’universo: Se all’interno degli atomi di cui tutto è composto potessimo eliminare il vuoto presente tra il nucleo e gli elettroni che gli girano attorno, gli otto miliardi di individui che calpestano la terra potrebbero entrare dentro un’arancia (pag. 13). È l’assunto fondamentale da cui muove il discorso che si snoda nei vari capitoli : Siamo fatti (anche) di vuoto, tutto è fatto (anche) di vuoto. Non ci è estraneo e non ci dovrebbe essere nemico.

Le emozioni più devastanti gli esseri umani le sperimentano in situazioni di costruzione, di mantenimento e soprattutto di rottura dei legami affettivi. Le separazioni (perdite relative) e i lutti (perdite assolute), sono i momenti che evidenziano maggiormente, in termini di elaborazione cognitiva ed emotiva, le dimensioni personali tipiche della nostra struttura, il profondo sentimento di noi stessi e del mondo. E sono i momenti in cui facciamo gli sforzi più evidenti e più intensi per conservare integro il nostro senso di continuità e di coerenza interna. Spesso si pensa che la soluzione al dolore del vuoto sia altrove ma è solo sentendolo, abitandolo che si può guardare avanti; si deve entrare in intimità con esso, non tentare di scavalcarlo per paura, per avversione ostinata alla sofferenza.

Testo personalissimo, di facile lettura grazie alla fluida traduzione di Tommaso Guerrieri, intenso sia per la relazione che lo lega alla madre […] l’ho scritto dopo che se n’è andata. Voglio confessarlo con sincerità ed onestà: questo è il principale motivo per cui ho sentito il bisogno di scriverlo […] (dalla Prefazione), sia per l’intensità delle emozioni messe a nudo, in modo diretto, immediato, che hanno la forza e la vitalità della progettazione, dell’avvenire. Lo scopo naturale della vita è quello di acquisire attraverso la perdita una nuova dimensione o, meglio, attraverso l’elaborazione e la significazione della perdita. Nessuna età della vita può essere trascinata nella successiva, ciascuna deve lasciar andare qualcosa. Il tempo della perdita è il tempo del “per sempre” che tuttavia rimane nel fluire della vita. È il tempo dell’analisi, della misura dell’esperienza che ci cambia, dello scavo in cui rintracciamo parti sepolte di noi , della malinconia inquieta del ricordo che rimane nell’aria, leggero, silenzioso.

Rossella Nicolò

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Gérard Thomas

Storia del vuoto

Edizioni Clichy, Firenze 2023, pp.110

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