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Gilberto Sacerdoti. Peltro e argento

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(I gabbiani)

Che siano nell’attesa di qualcosa

dovrebbe essere certo, ma che cosa,

che cosa, non ancora – però intanto

si son disposti ad intervalli fissi

sopra la chiglia a sterno della chiesa

che fende rovesciata un’acqua d’aria

(da Il fuoco, la paglia)

Sia acqua il poeta, lui stesso, e di acqua e di sé stesso parli allo stesso tempo, come di un unico elemento naturale. E siano lui e la sua poesia d’acqua come laguna che si (ri)unisce al mare. La poesia di Sacerdoti ha bisogno dell’acqua. Sull’acqua il poeta vive la sua condizione primigènia. Quando si lascia la barena per la terraferma l’intuizione di un’esistenza acquatica inizia a vacillare e a sfibrarsi sotto il peso di visioni orrifiche di un ambiente terrestre inospitale (terra nera, melma, rifiuti, fiori storti). 

La poesia di Sacerdoti dunque ha bisogno dell’acqua per fare la differenza. L’acqua infatti, pur non coprendo direttamente l’intero spazio narrativo, nel quale si alternano poesie di cielo e di terra in verità altrettanto belle e suggestive, è l’elemento visivo di richiamo che dà il nervo al senso dell’esistenza acquatica. Non me ne voglia il poeta se insisto sull’acqua. Concetti come acqua d’aria, tempo liquido e verso vegetale li dobbiamo a questo contesto simile a uno spazio naturalistico-esistenziale al limite del primordiale  quando natura sempre, sempre e comunque è il passato-presente.

Sia tempo il poeta, lui stesso, e di tempo e di sé stesso parli come di un unico evento. La poesia di Sacerdoti ha bisogno anche del tempo. Non quello che fugge in tutte le direzioni ma quello che scorre assieme all’acqua. Ora, pensate al tempo e alla sua forma. Difficile, vero? L’acqua è sostanza che al tempo dà sostanza e movimento, alla dimensione temporale la liquidità, sostanziando una condizione materiale normalmente al limite dell’inafferrabile. L’apparenza del tempo non è più tale dal momento che lo percepiamo al pari dell’acqua e cioè come un “oggetto” naturale.

Non soltanto una metafora di vita ma un vero e proprio spazio identitario in quanto il poeta/uomo si identifica con l’acqua e con tutto ciò che è legato all’acqua: 

tornano le barche da pescare,

l’acqua ritorna verso il mare,

ed io rimango fermo nei miei occhi

e sono senza mare a cui tornare

(da Fabbrica minima e minore) 

Dall’orlo dell’oceano i cormorani

crivellano la massa primigenia,

angeli neri condannati al buco

nell’acqua, come pensieri umani

(da Vendo Vento)

Il mondo poetico di Gilberto Sacerdoti (Padova 1952) è uno degli scenari più interessanti della poesia contemporanea. Peltro e argento, edito di recente da Molesini Editore Venezia, è una raccolta poetica a tratti intuitiva ma per lo più di non facile lettura, come sempre succede quando – mi si perdoni la prosa poetica – s’incontrano un poeta che non dà paglia e un lettore che non raglia. Un impegno minimo è richiesto. Ma data la grande occasione per gli amanti della poesia – “grande occasione” perché, come ha scritto Bianca Tarozzi, nonostante la complessità espressiva e di pensiero la poesia di Sacerdoti ha valenze espressive preziosissime, tali da essere prese ad esempio – sarà ripagato.

Le poesie sono tratte da Fabbrica minima e minore (Pratiche Editrice 1978), Il fuoco, la paglia (Guanda 1988), Vendo Vento (Einaudi 2001), Paragone (2010), 50 anni di Bianca. 1964-2014 (Einaudi 2014). Il libretto ospita anche quattro poesie inedite ed è chiuso dal saggio “Natura come emblema” di Bianca Tarozzi.

Alessandra Pennetta

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Gilberto Sacerdoti

Peltro e argento

Molesini Editore Venezia 

15,00 euro

116 pagine

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