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Il testamento. Intervista a Nina Waha

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Nell’intervista, Nina Waha, ha condiviso con Satisfiction dettagli e curiosità sul suo romanzo Il Testamento (Carbonio editore 2023, pp. 424, € 21, tradotto da Stefania Forlani) ambientato nel nord Europa, dove esplora le tematiche complesse legate al patriarcato.

Carlo Tortarolo

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Il testamento potrebbe essere letto anche come una critica al patriarcato a causa del padre eccessivamente dominante. Anche se la storia è ambientata negli anni Ottanta, pensa che alcuni residui del patriarcato siano ancora presenti in Scandinavia? E cosa pensa del patriarcato nelle sue varie espressioni contemporanee?

Il patriarcato non è affatto finito in nessuna parte del mondo. In Svezia stiamo ancora lottando con questo problema e, a causa dei venti di destra che soffiano nel nostro Paese in questo momento (come in molte parti del mondo), è ovviamente importante essere consapevoli e usare la propria voce il più possibile per affrontare i problemi che stiamo vivendo. L’ingiustizia sociale colpisce sempre più duramente le donne e i bambini, e in Svezia le donne sono ancora vittime di una società patriarcale. Ma c’è speranza! Sono molto felice che oggi noi abbiamo voci forti che si sono sollevate per cambiare ciò che è possibile cambiare, per esempio il linguaggio col quale vengono rappresentate le vittime in generale. Si legge spesso nei giornali svedesi che una donna è stata uccisa o violentata (o entrambe le cose), lasciando come un po’ correre su chi ha commesso questi reati che è di sesso maschile il più delle volte. Questo fa una grande differenza nel modo in cui interpretiamo i fatti. Quando iniziamo a concentrarci su tutti questi aspetti, sensibilizziamo tutta la popolazione.

Naturalmente le mie due figlie, che crescono oggi, devono affrontare alcune difficoltà che non avremmo mai immaginato (per esempio, a causa dei social media), ma per molti aspetti il mondo di oggi è molto più femminista di quanto non lo fosse quando io stessa sono cresciuta negli anni Ottanta.

La famiglia del romanzo è come “un gruppo di topi legati per la coda” contro la loro volontà. È una famiglia che genera ansia, in cui chi cerca di resistere sceglie di fuggire e finisce per replicare altrove relazioni tossiche, come il tradimento di Lauri nei confronti della sorella. Qual è il punto di equilibrio? Qual è la relazione che può prendere come esempio in cui si rispecchia maggiormente?

Ho cercato di rappresentare i membri della famiglia come i personaggi principali delle loro vite, e per me sono tutti ugualmente importanti per l’insieme. Posso trovare pezzi di me stessa in tutti i loro destini, ma naturalmente nessuno di loro mi rispecchia pienamente.

Questo è un libro in cui tutti sono vittime: la madre, i figli e il padre stesso, che viene ferito e tradito da tutti. Pentti (il padre) è un uomo intelligente che non manca di empatia, ma non sa comunicare in modo sano e, ad esempio, cerca di “curare” la moglie dopo la perdita dei primi due figli con un altro bambino. Forse il padre è la vittima più triste per la sua incapacità di desiderare un modo migliore di essere, a differenza della moglie e dei figli, che in qualche modo riescono a fuggire. Cosa ne pensa?

Penso che Pentti, a causa della sua infanzia e delle esperienze di guerra, sia una persona che avrebbe avuto bisogno di molta terapia per perdonarsi e guarire. Purtroppo, vive in un tempo e in un luogo in cui non ci sono queste possibilità per lui.

La vecchia civiltà è in crisi, ma la nuova è ancora da vedere. Chiedo all’autrice del “Romanzo sul patriarcato” quale futuro ci attende. Perché da quello che sembra, una volta tagliata la coda, i topi corrono da una parte all’altra, ma hanno valori e visioni comuni?

Hanno in comune l’esperienza di essere stati cresciuti dagli stessi genitori ma, come sanno tutti coloro che hanno fratelli, non esiste un’infanzia esattamente uguale. Tutto dipende da molte altre cose, come l’essere maschio o femmina e l’ordine di nascita. Ma il luogo ha ovviamente avuto un impatto su di loro e forse è questo che alla fine li condiziona, la possibilità che alcuni di loro debbano lasciare la loro casa d’infanzia e, d’altra parte, l’impossibilità per alcuni di loro di lasciarsela alle spalle.

Il testamento di Pentti sembra essere stato scritto solo per dispetto, per seminare zizzania in una numerosissima famiglia come è quella dei Toimi. Oppure è l’estremo tentativo di un padre incompreso di educare i figli che considera deboli e immaturi? Qual è il vero significato della lettera?

E se si trattasse del suo contorto senso dell’umorismo?

Secondo lei, questa famiglia immaginaria dà un’idea del patriarcato nella sua interezza, o piuttosto di una sua degenerazione?

Spero che il romanzo rappresenti una finzione o un sogno sulla possibilità di cambiare il mondo, demolire il patriarcato e creare la propria felicità.

Uno degli elementi più interessante è l’ottimismo sulla possibilità di un nuovo inizio, testimoniato dalla scoperta della sessualità della madre quando ha il suo primo orgasmo all’età di 55 anni. Un personaggio interessante, ma dopo quattordici gravidanze, non è un po’ inverosimile?

Non direi affatto che è inverosimile, ma piuttosto che è molto probabile, dati i tempi e le circostanze. Tuttavia, la possibilità di una seconda possibilità per una donna come Siri non è molto probabile, ma questo è il bello della finzione, possiamo dare ai nostri personaggi opportunità che la maggior parte delle donne “reali” non hanno.

Con quale personaggio si con cui si identifica maggiormente?

Credo che il personaggio che ci fa entrare più a fondo nella sua pelle è probabilmente suo padre, ma non direi che mi identifico con lui…

Alla violenza domestica, alle ferite della guerra, alla povertà fanno da contraltare il dovere di vivere appieno il presente, di avere un’idea di futuro, di trasmissione di valori tra generazioni diverse. Come possiamo curare le relazioni familiari in un mondo sempre più complesso dove l’idea stessa di famiglia viene messa in discussione?

Tutto ciò che possiamo fare è cercare di lasciare il mondo meglio di come lo abbiamo trovato. In definitiva, ho scritto questo libro per dare un’idea del luogo in cui sono le mie radici, da cui provengono i miei antenati, un luogo poco conosciuto e poco frequentato dalla narrativa contemporanea (la regione finlandese della Carelia, ndr).

In questo testamento, il padre, in tono quasi minaccioso, dice: “Ciò che ero, resterà. Annidato nel profondo, come un seme in attesa di germogliare”. Ma chi sta parlando: lo spirito dell’animale che ha trasmesso i suoi geni o l’uomo incompreso che pretende di imporre la sua presenza alle generazioni future?

Forse sono entrambi? Noi siamo tutti qui grazie alle persone che ci hanno preceduto e, che ci piaccia o no, portiamo dentro di noi le imperfezioni e le possibilità dei nostri antenati.

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