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Ilaria Palomba. Vuoto

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Siamo dentro un labirinto senza una sua mappa plausibile. Tutto è distinto ed indistinto al contempo. Ci districhiamo ma in realtà verremo dispersi esattamente al centro del labirinto dove le forze combinate si scontrano più virulente ed immediate. Ciò che abbiamo imparato a nostre spese, l’esperienza che s’accumula ispessita, non ci offre in realtà alcun vademecum sensato. 

Ilaria descrive come è sua abitudine la propria esistenza, il territorio che conosce meglio, quasi a menadito, dove il tasso immaginativo poco lascia ad una scrittura d’invenzione, lo fa col consueto candore già postulato in Brama, senza tralasciare fragilità, vizi da cui dipendere, un tracciato dell’amore defalcante, impietosa l’incomprensione reciproca tra i sessi, dove il desiderio più autentico lo si afferra in un gioco di ruoli per cui ‘si va bene’ pure se amandomi, sussurrandolo con voce rauca e con un’impeto certamente maligno, ingiungendolo al mio padiglione auricolare ‘che sono la tua puttana’. Lo sprezzo come vivificante di un moto interiore irrinunciabile, tanto malioso sui tuoi sensi di colpa, sui fondamenti per cui aneli al tuo ratto, al post rapina della tua anima sbalordita, stupefatta e in fondo per un attimo come grata da tanto ardire, dalla sua potenza. Sapendo che proprio questo modus operandi avrà le sue conseguenze diurne, alla luce della coscienza ora come spaesata, girovaga senza una destinazione.

La scansione narrante spazia dall’infanzia ai giorni attuali, un patchwork che mischia i ricordi a seconda delle opzioni limitate dalle emozioni, ciò che torna periodicamente, temi che ricorrono come nei romanzi precedenti, il chiodo sbatte conficcato solo per metà sul legno indurito, non raggiunge il il nerbo nero, il cuore, lo fora solo in superficie, i dilemmi rimangono gli stessi, le ragioni dell’amore sempre smentite, le nostre aspirazioni di vivere decentemente depredate, irrise, lapidate da stroncature, pettegolezzi, invidie o calunnie belle buone, in specie nei suoi ambienti anelati, l’elite ristretta del mondo intellettuale, residuato del cenacolo borghese, ultimo custode di fronte allo svuotamento della Cultura come divulgazione di una linea popolare di riscossa, funzione di guida di un cambiamento radicale dei rapporti di forza sociali. La classe intellettuale così incensata si rileverà invece nicchie di propulsori autonomi, l’una alla riscossa a spese dell’altra, dove sopravvivere da intellettuale assume le sembianze morte che consiste unicamente dello status di un privilegio ed assieme una crudele nemesi di auto promozione, furberie clientelari, quasi sempre levitanti nell’ambito modesto e frugale di qualche università, ultima Thule dei sopravvissuti alla strage.

Romanzo di spessore psicoanalitico notevole perché onesto, mai auto censorio, implacabile, a volte straziante come alla vista di un cane meticcio lungo la strada, l’aria dispersa ma ancora speranzosa di qualche salvezza che appare del tutto inverosimile tra le macchine che gli sfrecciano senza nemmeno rallentare. Caldo torrido agostano.

Libro da leggere per il vigore lucido della rabbia con cui lei il personaggio mai  si auto assolve e ciò senza mai tralignare in indulgenza di fronte all’inettitudine degli altri, la loro vita discinta somiglia d’altronde alla propria in questa farsa comune che è senza un futuribile, senza uno straccio di calma e pazienza per colmare il vuoto, per dirimere davvero le intemperanze che ogni legame comporta, senza che mai si rilevi a beneficio di tutti un’autentica redenzione. 

Finché qualcuno che ci è carissimo ci lascia o si suicida, lasciandoci eredi di nuove mutilazioni, confusi ora senza requie tra realtà e realtà parallele che nessun umano potrà mai conciliare ed ecco che viviamo dissociati, predati degli eventi e dalle nostre stesse allucinazioni, sino a delinearsi la sospirata ebetudine di tutti i sensi. Il vuoto karmico, tanto vantato da Schopenhauer, lo scoglio nella tempesta che infuria dove tenerci a galla senza che mai si scongiuri il pericolo dell’onda frangente più possente che ci strappi via.

Marcello Chinca


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