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Julia Deck. Sigma

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In tanti, dentro e fuori gli ambienti artistici, persino i governi, di tutti i colori, in ogni epoca, si sono chiesti se l’arte possieda un qualche potere. Se non sia solo una distrazione. Se abbia la capacità di far sentire le persone meno sole e parte di qualcosa di più grande. Se conservi, addirittura, il talento di svuotare la vita da quelle gerarchie che le imponiamo, se ci eleva, in che modo, se ci scuote e se questo può avere un’incidenza sulla società, se può metterne in pericolo l’equilibrio.

Julia Deck, nel suo nuovo romanzo dal titolo Sigma, edito da Prehistorica Editore tradotto da Lorenza Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco, si pone questi interrogativi o almeno finge, per innalzare il gioco letterario ad un livello più alto.

Questa è la storia di un quadro leggendario. Il pittore Kessler è morto, bruciando tutte le sue opere, o forse no. C’è una casa, dentro la quale il maestro ha vissuto i suoi ultimi anni, che forse contiene questo tesoro.

Alexis Zante è un banchiere illuminato. Il suo amore per l’arte contemporanea, la sua competenza in materia è risaputa. Dopo aver acquistato l’ultima dimora di Kessler, ha cominciato a dare segni di squilibrio. L’uomo sembra vittima di un vortice che lentamente lo sta portando alla deriva. Si allontana dagli affetti, dal lavoro. Si distacca. L’agenzia Sigma, ente cospirativo che si occupa di depotenziare le arti e le teorie sovversive, è sulle sue tracce.

Il lettore si ritrova, così, all’interno di una sorta di commedia grottesca che si dipana attraverso il resoconto di questo o quell’altro agente sotto copertura, imparando a conoscere tutti i componenti della famiglia Zante/Elstir.

Dalla gallerista Elvire, a sua sorella Pola, la grande attrice, fino al professor Lothaire, ambiguo e mellifluo marito di Elvire. Completa il quadro Alma Zante, bellissima e sinistra ex moglie di Alexis.

Ogni capitolo è il bozzetto di un ritratto che rivela la psicologia, i segreti e tutte quelle crepe che rendono interessanti ogni famiglia.

Più che una storia, Sigma è un modo di raccontare una storia. Come uno chef stellato fa con la Zuppa inglese, con la Bouillabaisse, Julia Deck destruttura il romanzo familiare. Che siano spie, o vicini spioni, amici pettegoli, è secondario. Quello a cui assistiamo è una famiglia – gli Zante/Elstir – dell’aristocrazia economica ginevrina.

Gli agenti, sono come le lenti che l’ottico alterna davanti ai nostro occhi per aiutarci a mettere a fuoco. La spy-story è un espediente narrativo, una sfida o se vogliamo il divertimento che la scrittrice concede a se stessa.

Ma Sigma è anche una riflessione sul potere dell’arte, sulla sua capacità sovversiva che trascina anche quando annichilisce, creando movimento – e forse persino in maniera più radicale – quando paralizza.

Rivelare il contenuto della tela di Kessler equivarrebbe a togliere ai lettori una parte del piacere della lettura, oltre a costringermi ad avanzare conclusioni interpretative scontate che mi renderebbero ridicolo. Quello che posso dire è che la tela di Kessler, al pari delle cartucce di Infinite Jest, o della droga di Great Jones Street di DeLillo, porta ad una ragionata follia e ad una lenta catatonia. È una finestra sul nulla, sulla paralizzante coscienza che niente ha importanza.

Leggere questo libro vi aiuterà a comprendere che ci sono tanti modi di raccontare qualcosa e che il contenuto, la trama, può essere tanto interessante quanto la tecnica narrativa. Julia Deck ci porta a riflettere e la lettura, del resto, è una forma di meditazione.

Pierangelo Consoli

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Julia Deck, Sigma, Prehistorica Editore 2022, Pp. 224, Euro 17.

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