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Legge 40, una preghiera al signor dio

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Ci ho messo del mio, e qualcosa è stato alterato: ma racconto questa storia dopo averne avuto il permesso. Grazie a T.G.

Non sai perché non succede.

Sai solo che non succede.

Ci provi, ci riprovi, e niente.

Non puoi parlare, stai zitta. Hai paura: se parli è tutto vero.

Anche l’uomo che sta con te ha paura di parlare.

E se ci fosse un problema?

Ma lo voglio veramente sapere, se ho un problema di fertilità? Se questa pancia può diventare tonda solo per altre ragioni, tipo troppo brasato?

Vai dal tuo ginecologo che ti fa pat-pat e ti dice «si rilassi, signora. Quando meno se l’aspetta rimane incinta».

Ti piace da matti l’idea che quando meno te l’aspetti succede. Ma non riesci a quandomenotelaspettartelo. Continui ad aspettartelo ogni 28 giorni.

I ginecologi non sanno niente di riproduzione, però tu non l’hai ancora scoperto.

Sanno di infezioni, forse. E sanno di chirurgia. Il bisturi gli piace un casino.

Un/una ginecologo/a sta a uno/una specialista in riproduzione come un ingegnere civile sta a un ingegnere gestionale.

Ma non ci hai ancora sbattuto il muso, e mentre guidi verso casa canticchi quandomenomelaspetto sulle note di una roba della Carrà.

Fino ad ora siamo a «sei un po’ troppo nervosa».

Poi tua madre ti dice «non ti preoccupare, andrà tutto bene».

L’intenzione è buona, ma la conseguenza non tanto.

Perché a questo punto raggiungiamo lo stadio di «beh, cos’è tutta questa fretta?».

L’uomo che sta con te ti dice che «sei stressata per il lavoro», che «appena ti metti tranquilla vedrai che ce la facciamo».

E questo è lo stadio di «se io fossi stata una casalinga avrei sicuramente avuto tre bambini o quattro o cinque, maledetta la mia idea di lavorare. È colpa mia».

Quella del tuo compagno è una difesa anche per lui: quando stai bene sono parole che ti consolano; ma quando stai male sono la prova che sei una stronza.

Comunque, tu speri; e il tempo vola via.

A poco a poco…

Internet.

I forum.

Gli studi scientifici.

Maturi, nel tuo piccolo, una competenza stupefacente, qualunque cosa abbia studiato nella tua vita precedente; anche se sei poco più che analfabeta.

(C’è anche la variante «no, be’, io mi fido», ma dura poco).

Nel tuo Paese c’è una legge che proibisce la congelazione degli embrioni eventualmente soprannumerari, apprendi. Dal quarto in poi, insomma.

Significa che il/la tuo/a specialista in riproduzione non può fare il suo lavoro.

Se sei tanto giovane, riuscire a ottenere al massimo tre embrioni – questo dice(va) la legge – e trasferirli necessariamente tutti contemporaneamente nel tuo utero comporta un serio rischio di gravidanza trigemina, che crea i suoi bei problemi.

Se non sei tanto giovane, tre embrioni – semmai si producessero – possono non essere sufficienti a dar luogo a una gravidanza; ma siccome gli embrioni non si possono congelare perché hanno più diritti di te, il/la tuo/tua specialista non può creare qualche embrione in più per cercare di stare quanto più possibile sul sicuro.

Sei fregata.

Cominci a guardare di nuovo i forum.

Guardi le tariffe aeree. Quale Paese sarà? Ti senti perfino potente.

Quali esami devo fare?

Tanti.

Un’enormità.

Ma quando telefoni al centro estero che, chissà sulla scorta di quale misteriosa attrazione, hai deciso di contattare, scopri che gli esami da fare sono tipo quattro.

Fico, pensi. Se ti fotografassero in quel momento, avresti una faccia molto felicemente ebete.

E qua siamo allo stadio «ma allora è più semplice di come me l’hanno venduta!».

Il fatto è che nessun centro estero te li fa fare tutti, gli esami.

Solo col tempo, però, capisci che quello è l’unico modo che hanno per tenerti legata a loro nel caso in cui dopo uno, e due, e tre e enne tentativi tu non sia ancora rimasta incinta.

Se per caso avessi già fatto tutti gli esami previsti dai protocolli estesi, come potrebbero mai dirti «okay, signora: adesso allora facciamo quest’esame qui, e vediamo se l’esito ci spinge a cambiare qualcosa nella preparazione o nella tecnica nel prossimo tentativo…»?

In questo modo danno nuovo ossigeno alla tua speranza: ti tengono legata a loro, ma ti fanno perdere un sacco di tempo.

Per qualunque altra patologia ti farebbero fare tutti gli esami. Per questa no. Chesarammai.

Tu speri. Tu desideri. La persona che sta accanto a te, poi, nessuno la considera. Anzi. Un po’ lo commiserano: pover’uomo, costretto da questa scema a ostinarsi come un pazzo. Costretto a spendere tutti i soldi che ha.

Perché c’è anche questo. C’è sempre qualcuno che ti spiega che «tu stai arricchendo gente senza scrupoli, lo sai? Stai spendendo tutti i tuoi soldi per andar dietro a un sogno evanescente, e loro se ne approfittano».

C’è un sacco di articoli di giornale che dicono questa roba qua.

Ricapitoliamo. Fino ad ora siamo a:

1.Sei ansiosa.

2.Non sai aspettare.

3.Sei stressata, ed è colpa tua, perché potresti prendere le cose con più filosofia e dovevi fare la casalinga.

4.Ma dai che è più semplice di come pensavo…

Adesso si aggiungono due cose:

5.Stai massacrando le palle del tuo compagno (non è possibile che lui voglia un figlio con la stessa energia con cui lo vuoi tu: lo stai plagiando, vergogna).

6.Stai arricchendo dei bastardi.

7.Stai mangiandoti tutti i soldi.

Quando arrivi nella clinica all’estero ti viene da piangere.

Gestire la speranza è un’impresa enorme.

E tu sei lì perché il tuo Paese ti ha cacciato via.

Sei una criminale, una fuorilegge.

Siete due criminali. Non sai più se vi amate davvero o se state insieme perché a tenervi insieme è la solidarietà per il crimine che state commettendo.

Complimenti, signora: ha raggiunto la fase del

8.Siamo delinquenti.

Ti nascondi, cerchi di non far capire che sei italiana. Se sai quattro acche di francese, di inglese o di tedesco, butti lì una conversazione casuale col tuo compagno in quella lingua. Tu sei a posto, non stai commettendo un crimine, ma dai. Sei venuta solo a vedere come funziona in quest’altro Paese. Così, per curiosità, mica per chissà che. Hai un’amica carissima che vuole sapere, e siccome tu sei ricca sei venuta a chiedere. «E poi, dopo la visita, dai che andiamo a fare un bel giro per monumenti, ché qua in effetti non ci siamo mai stati».

E poi, tornata a casa, arriva qualcuno che ti chiede una cosa con tutta una faccina solidale: «Maaa… Scusa se te lo chiedo, sai… Ma se tu hai già un figlio, perché vuoi un altro figlio a tutti i costi?».

Oh, questa sì che è una bella domanda.

Siamo al punto dei punti.

Scusa se te lo chiedo, certo.

Il senso è: ti sei già riprodotta in modo naturale come dio comanda, hai già dato a te stessa la prova che sei sufficiente, che ce l’hai fatta, che sei una donna che ha tutte le sue cosine a posto; che bisogno hai di intestardirti?

Eccoci finalmente arrivati allo stadio di:

9. Il tuo dovere di mucca l’hai già fatto! Vuoi proprio sfidare la sorte?

Poi, una di quelle mattine che arrivano dopo una notte in cui insieme al tuo compagno hai pianto moltissime lacrime perché qualcosa è andato storto anche quella volta, tua madre ti sente al telefono e ti dice «tirati su: pensa al bel bambino che hai, goditi il tuo bambino».

Ah, già.

Perché il problema non è che tu sei solo così irragionevole da volere un bambino e che sei così sconsiderata da volerne un altro, e «a tutti i costi»; il fatto è che non stai pensando abbastanza al bambino che già hai, adorabile stronza.

Questa tua «ossessione» ti sta anche facendo perdere di vista il bambino che hai già; gli stai sottraendo tempo ed energie, solo per il tuo stupido desiderio di avere un altro bambino.

Adesso siamo arrivati a un altro punto interessante:

10. Stai trascurando il tuo bambino, non te lo godi abbastanza. Se fossi un po’ meno ossessionata, dovresti sentirti un po’ in colpa.

Cerchi di spiegare che tuo figlio partecipa a tutta quest’avventura con trepidazione. È informato, desidera un fratello; grande parte del vostro desiderio è collegato a lui, anche.

Così arriva il punto 11.

11. Ma non è che state dando troppo peso sulle spalle di questo bambino?

È una gentile eccezione presentata in forma di dubbio.

Non è un pugno alla bocca dello stomaco.

Tu spieghi che no, che stai cercando solo di non fare le cose di nascosto. Stai cercando di gestire una speranza, e non di coinvolgere un essere indifeso in un’avventura dolorosa. Spieghi che la sua speranza e il suo dolore sono affar tuo; che del dolore ti fai carico tu; che non lo condividi con lui.

E allora ti spiegano:

12. Voi gli state facendo violenza.

Tu ringrazi commossa, pensi che tutto sommato una ragione per sentirti una merda c’è sempre, e come nel Monopoli ritorni alla casella di partenza.

Sai che sei stressata, stronza, colpevole, infelice, irresponsabile, spendacciona, madre snaturata, e molte altre cose. Forse anche matta?

Poi arriva l’amica. Quella che quando la trovi hai trovato un tesoro.

«Sai», ti dice. «Io penso che tu dovresti risolvere i tuoi problemi, devi farti aiutare. Un figlio ce l’hai: dovresti concentrarti su di lui. Se continui a ostinarti a volere un altro figlio significa – scusa se te lo dico, ma lo faccio per il tuo bene, perché ti sono amica – che hai qualche problema da risolvere. Se vuoi ti consiglio qualcuno che a me è stato molto utile».

Oh, là.

Adesso siamo arrivati a

13. Hai mai pensato di farti un giro da uno psicoanalista bravo?

Già fatto, grazie del pensiero.

Ma – sai com’è – un desiderio può anche essere un desiderio vero e basta. Può anche non nascondere bombe atomiche da disinnescare. Ma chi ha comprato due etti e mezzo di Freud all’Esselunga non chiede fettine così sottili.

Passa del tempo.

Sei giovane?

Sei vecchia?

È ora di smetterla?

Si prosegue?

Dove sono i soldi?

Hai comprato i fazzoletti di carta?

Poi ti dici: e se tentassi con un’eterologa?

Ossantapace: un’e-te-ro-lo-ga.

Quella vietatissima, quella del commercio di parti del corpo umano, quella di Hitler e del nazismo, dell’eugenetica, quella di dio-ti-guarda-e-ti-fulminerà.

Lei.

Quella che sfrutta la povertà delle studentesse e degli studenti.

Quella che se per caso il ginecologo è interessato solo ai soldi la ragazza è finita perché va in iperstimolazione e sono cazzi amari.

L’eterologa.

Pensa che responsabilità ti assumi. Pensa.

Sfrutti una donna, o un uomo, per la tua pretesa di «avere un figlio a tutti i costi».

Pensi e ripensi, parli e riparli, leggi e rileggi.

Tu e il tuo compagno ragionate, piangete, parlate.

Ti consulti con il/la tuo/a specialista in riproduzione.

Conosci le leggi di tanti Paesi, ormai.

Okay. La decisione è quasi presa.

Quasi.

C’è la questione «stimolazione ormonale»…

Perché nel tempo c’è stato anche qualcuno che ti ha spiegato che

14. Stai mettendo a rischio la tua vita, con queste stimolazioni ormonali. Tu ti senti veramente sicura?

Il sottotitolo è che stai agendo irresponsabilmente nei confronti dell’altro figlio che hai, che tu stessa potresti privare della madre…

Sei la radice di tutti i mali del mondo, donna.

Poi c’è il «dirglielo o non dirglielo?». Al futuro figlio, intendi.

A casa discutete, argomentate; pensate di essere arrivati a una ragionevole decisione. Pensate che sulla falsità non si costruisce nulla; sapete che è una posizione radicale, ma lo pensate davvero.

Ma la strada che fai per rispondere a questa domanda è un percorso che fa sanguinare il cuore, perché alimenta la speranza; e alimentare la speranza – vedersi proiettati in avanti con un altro figlio – mette al mondo immaginazioni che, se svaporassero, creeranno dolori lancinanti e profondissimi sensi di colpa.

E chi sarà, poi, la persona che dona il gamete?

Vuoi sapere tutti gli esami ai quali lo/la sottopongono. Vuoi sapere il «sapibile».

Lui, l’uomo, vuole sapere e non vuole sapere. Non sa neanche lui.

Un giorno capisci che il sapibile non c’è.

Che fin dapprincipio, in quest’avventura ti sei affidata a qualcuno, vi siete affidati a qualcuno.

Che senso ha, adesso, voler sapere il sapibile? Basta sapere quel che vi serve a stare un po’ più tranquilli.

E via, allora.

Si riparte.

In Italia – com’è ovvio – non si può. D’altra parte, se anche si potesse, il ministro vorrebbe che l’eventuale figlio che dovesse nascere abbia il diritto di conoscere i suoi «veri fratelli e sorelle»: l’altro figlio tuo sarebbe un suo «falso fratello», ecco; e tu una falsa mamma; e il tuo compagno un falso papà.

Che grazia, che comprensione del cuore degli umani.

Dài che si torna a fare i criminali.

Dài, facciamo che eravamo Bonnie e Clyde.

Dalla stimolazione ormonale in avanti, passando per i monitoraggi e tutto il resto, fino al trasferimento degli embrioni nel tuo utero, quello che vivi è un processo di devastante e bruciante intensità. Anche i criminali soffrono, eh. Anche le criminalesse.

Prima di un test di gravidanza passano più o meno dieci giorni-due settimane.

E ogni cosa che succede nel tuo corpo è un dramma.

A volte ti fa male la pancia solo perché hai mangiato troppa cioccolata. Ma per te è la prova provata che là dove non puoi arrivare coi tuoi occhi si sta consumando un aborto.

Stai ferma a letto. No, ti muovi, No, esci per distrarti. No, leggi. No, piangi. No, ti aggrappi alla speranza. No, c’è quella goccia di sangue. Oh, sarà una perdita da impianto. No, sarà un aborto.

Ti sta bene, direbbe la Roccella, quella che un secolo fa scrisse questa cosa qua.

Soffrire ti sta bene, stronza.

«Soffrire vi sta bene, stronzi» lo direbbe probabilmente anche la Lorenzin, che adesso vuole addirittura rifare la legge anche se non ce n’è alcun bisogno, perché così com’è – dopo l’intervento della Corte costituzionale, che non è un «semplice» tribunale, ma il garante della costituzionalità delle leggi, che non può essere superata né dal legislatore, per quanto eletto, né dal «popolo» – sta perfettamente in piedi.

E a me – me Federica, stavolta; donna, cittadina, madre, moglie, sorella di un uomo handicappato, giornalista, scrittrice, blogger, studentessa, emigrante. Essere umano – restano da dire tre cose.

Uno. Cosa c’è di male nel «volere un figlio a tutti i costi», soprattutto se si considera che i costi, di ogni genere, li paga tutti la coppia che si mette in viaggio? Chi decide cosa vuol dire «a tutti i costi»? E chi decide che «a tutti i costi» è male? È bene quando si tratta di un lavoro, di un risultato qualunque a cui la società dia importanza. È male quando non si sa rinunciare al desiderio di diventare madre e padre, la prima volta, ma peggio ancora se si tratta della seconda, o della terza. Malissimo: il tribunale dei desideri dice «non expedit». Il desiderio non è un diritto, naturalmente. Quante volte l’hanno ripetuto, in questi giorni successivi alla sentenza della Corte costituzionale?

Due. Come può anche solo venire in mente la domanda «ma perché invece di accanirvi non adottate?»… A volte, farsi carico del dolore di un piccolo essere umano che è stato abbandonato è un compito a cui non tutti sono pronti.

Non ho mai avuto il progetto di adottare un bambino, ma ho provato tante volte io stessa a pensarci: sarei in grado?

Ho affrontato il dolore delle persone della mia famiglia d’origine per un tempo lunghissimo della mia vita. Cosa succederebbe se adottassi un bambino che ha il cuore spezzato e non avessi la forza di dargli nemmeno un punto di sutura, o non fossi in grado di dargliene abbastanza?

Non solo: il «problema» non è far entrare un bambino in famiglia.

La questione è che, probabilmente, un uomo e una donna pensano in coscienza che il momento della loro vita e della loro maturazione personale e di coppia sia coerente con la condivisione di un progetto così esaltante e impegnativo.

E non è che sulle loro spalle di infertili qualcuno può far gravare l’onere di adottare un bambino abbandonato così da far sentire tutta la società un po’ meno in colpa, lasciando invece alle coppie fertili la «leggera» – si fa per dire – responsabilità di allevare i figli che hanno generato senz’aiuto.

Tre. Sono una persona tranquilla, una donna ragionevole, una cittadina urbana. Mi hanno cresciuta nel mito della ragionevolezza.

Ma – ecco – a tutti coloro che parlano di fecondazione assistita, omologa o eterologa, senza capire che dentro tutto questo ci sono le vite, le storie, i cuori, i corpi, i desideri, i progetti, i sentimenti delle persone, e non solo le vite senza passato degli embrioni, io auguro che accada qualcosa di ultimativo e finale.

Io auguro loro che un dio benevolo, dall’alto dei cieli o dal centro della terra, insegni loro il valore della gentilezza, del rispetto, della grazia, della considerazione delle ragioni altrui, dell’accoglimento del dolore degli altri, e della condivisione della loro gioia, anche.

Nessuno vuole mettere bancarelle per vendere gameti.

Nessuno vuole clonare nessuno.

E se accadesse, la responsabilità sarebbe esclusivamente di chi dovesse farlo.

Ma l’infertilità è una malattia – o meglio: una condizione patologica. E come ogni condizione patologica prevede la liceità, se non l’obbligo, di un intervento terapeutico.

Nessuno si sognerebbe mai di dire a un malato di cuore di non farsi operare, o di non prendere le medicine.

Ma a una coppia infertile – perché per gli omosessuali e i single non è aria, proprio no – migliaia di Tizi qualunque rivendicano il diritto di dire «tenetevi la vostra fottuta malattia, perché gli embrioni sono più importanti di voi».

Qualcuno, addirittura, glielo dice «da sinistra».

Davvero.

Ci vuole uno zot divino.

Di un dio gentile, che sa abbracciare e consolare.

Non di quella terribile figura di feroce censore alla cui ombra spaventosa le coscienze fragili credono di essere al sicuro.

Ma ora che ci ripenso, ecco: se mai a quel dio feroce, in una sua rara mezz’oretta d’ozio, un giorno prudessero le mani… be’, gli dispiacerebbe tanto incenerire all’istante chiunque sputi addosso alla sofferenza e ai sentimenti altrui?

Grazie mille, signor dio.

 

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