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Luca Pantaleone. Filosofia de La Zanzara

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In terza di copertina – tra le righe della biografia dell’autore – definito “libro di pop-sofia”, mai termine fu più azzeccato: qui il prefisso pop, abbreviazione dell’aggettivo popular è esplicitamente usato quale media risultante tra il trash e l’alta filosofia, protagonisti indiscussi del saggio di Luca Pantaleone.

La Zanzara, indecifrabile – e, ad oggi, mai decifrata – trasmissione in onda dal 2006 su Radio24, l’emittente di Confindustria (e non sono pochi i malevoli ad affermare che essa esista e resista da oramai quasi un ventennio proprio per “chi ci sta dietro”: mandata in onda su altre frequenze, dati gli argomenti trattati e soprattutto buona parte degli interventi telefonici in diretta, sarebbe stata presto gettata nel dimenticatoio e i conduttori – specialmente Cruciani, tra l’altro autore della prefazione al presente testo – esposti alla pubblica gogna), intesa non tanto come contenitore all’interno del quale trova spazio anche la filosofia (e sarebbe dura anche solo ipotizzarlo!), ma addirittura filosofia essa stessa, portatrice di un ben preciso pensiero, certo ispirato da precedenti correnti e però squisitamente (anzi, disgustosamente) originale!

Le principali correnti di pensiero, novecentesche e non, si compenetrano con le intemerate radio-telefoniche del compianto Mauro da Mantova o gli interventi di mistress che propongono rapporti carnali pregni di umiliazione all’angelico Parenzo, il quale, a intervalli più o meno regolari va ripetendo il mantra: “Il problema sono quelli che chiamano, non quelli che ascoltano”.

La sragione posta al medesimo livello della ragione: attenzione, non ad un livello più elevato, ad un livello uguale, nel senso di egualmente da tenere in considerazione; la necessità di avere un contraltare sragionante a ciò che è di norma considerato razionale, perché in assenza di uno dei due concetti l’altro non può sussistere in sé e per sé. È addirittura il Foucault della Storia della follia nell’Età classica ad essere preso a modello di questa specifica trattazione, soprattutto nella distinzione tra i diversi tipi di sragione: quella che cerca di argomentare i propri sragionamenti, di fatto scimmiottando i meccanismi della “retta ragione” e quella che ha “quale unico scopo quello di veder bruciare il mondo”. È del tutto autoevidente che sia questa tipologia di sragione quella da cui più fortemente guardarsi, così come è essenziale farlo da quella “zona oscura” che si trova al di là (o forse, meglio, al limite) del linguaggio – ragionante o sragionante che sia – e che “è dominata dalla violenza, dalla crudeltà, dalla barbarie umana in tutte le sue forme”. Uno dei padri nobili dello strutturalismo a braccetto con Maurone e col Demone Scimmia: non avessi letto il presente saggio (e non ascoltassi La Zanzara) giurerei trattarsi dell’apice dei vaneggiamenti di una personalità altamente disturbata.

Le tematiche trattate nella trasmissione sono numerose, e lo sono quindi di rimando quelle trattate nell’agile libro di Pantaleone; e quando si toccano argomenti repellenti quali la presenza di peli in ben specifiche zone del corpo o degli odori emanati dopo diversi giorni senz’acqua né sapone (e sul risparmio nel consumo dei suddetti due elementi è corifeo Giuseppe Cruciani, il quale, in favor di microfoni – e di telecamere, quando invitato in televisione a dissertare, anche, sul tema – riferisce di essere “uno che si lava poco. Non ama il sapone, la doccia, cambia mutande e calzini ogni due giorni (forse anche tre), e si vanta candidamente di essere sporco, zozzo, sudicio (sebbene, a suo dire, mai puzzolente)” lo schifo provato deriva non tanto dalla considerazione dell’errore in sé insito in tali comportamenti se si desidera di essere un minimo coinvolti nella società/socialità ma poiché, se non tutti almeno molti o moltissimi tra noi, almeno una volta nella vita hanno finto di dimenticarsi di avere una doccia e sono usciti comunque di casa emanando un effluvio tale da renderli immediatamente identificabili anche tra la folla.

E però sono ascrivibili in gran parte all’universo nietzscheano la gran parte delle fondamenta filosofiche zanzaresche: a fronte dello spirito apollineo incarnato da David Parenzo (il quale, comunque, dando sfoggio di indubbie capacità imitatorie, non rinuncia a prendere telefonicamente per il culo i propri avversari ideologici) ecco subito a fare da contraltare il dionisismo spinto il più delle volte all’eccesso del già più volte menzionato Cruciani. Per la verità, un tempo la conduzione del programma era decisamente più spostata sul dionisiaco, data la presenza, in qualità di “co-conduttore”, del veneto Alberto Gottardo – in collegamento o dalla sua abitazione di Padova o dalla stanza di un hotel di Abano Terme, ove asseriva di essere stato raggiunto da qualche signorina desiderosa di farsi pubblicità in cambio di un rapporto carnale con lui –, che ha lasciato la trasmissione a principio 2021, dicono le malelingue per assoluta incompatibilità caratteriale con Parenzo; da allora, i due spiriti possono dirsi emanati alla stessa maniera dai microfoni di Radio24.

E tra scherzi telefonici alla sardina Mattia Santori, urla, insulti e promesse di reciproche querele e denunzie tra il governista Parenzo e i più pittoreschi negazionisti della pandemia di Covid-19 oltre che un capitolo interamente dedicato al personaggio mediatico che più racchiude in sé stesso entrambi gli spiriti sopra menzionati, ovverosia Vittorio Sgarbi, dotto critico d’arte e al contempo maestro dell’insulto, un rischio: che nell’abisso delle pagine vergate da Luca Pantaleone scopriamo – leggendole – i nostri stessi occhi a fissarci.

Alberto De Marchi

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Luca Pantaleone, “Filosofia de La Zanzara”, Rogas Edizioni 2022, 135 pagine, euro 16,70

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