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Tony Burgess anteprima. Idaho Winter

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La reputazione di Idaho: “Tutti lo detestano perché non ha nessun pregio. Per qualcuno è difficile capire, Maddie, ma è così: chi nasce sudicio resta sudicio. Mai dovremmo dispiacerci per loro. Dobbiamo evitarli fino a quando, un giorno, il marciume se li mangerà vivi”.

Le assurde violenze subite: “Adattato ancora? Adattato ancora? La vigile dirige il traffico per farmi mettere sotto! La gente alleva cani con il solo scopo di ammazzarmi! La mia storia è così crudele che non è neppure credibile!”.

Un incantesimo d’amore: “Rimangono fermi, in silenzio, entrambi consci di aver creato qualcosa insieme. La disobbedienza. Il respingere un’oscurità che mai nessuno aveva respinto prima. Una meravigliosa, criminale libertà di amare ciò che tanto crudelmente era considerato non amabile”.

È in libreria Idaho Winter di Tony Burgess (Minimum fax 2024, pp. 180, € 18 con traduzione di Sara Tuveri).

Tony Burgess è nato a Toronto e vive con la moglie e i due figli a Stayner, Ontario in una casa che si dice sia infestata dagli spettri. Oltre a Idaho Winter, Burgess ha scritto due raccolte di racconti e una trilogia di romanzi di genere horror-distopico dal cui secondo titolo, Pontypool Changes Everything, ha tratto la sceneggiatura per il film omonimo.

Ambientato nell’Ontario semi-rurale, le pagine iniziali ci presentano le sventure di Idaho Winter.

Il ragazzo ha una vita grottesca e inverosimilmente squallida, tanto che all’inizio del libro fa colazione con una carogna infestata di vermi.

Poi la situazione peggiora, con gli abitanti della città che assalgono Idaho, posseduti da una crudeltà istintiva e omicida che Burgess considera parte inevitabile della condizione umana.

A un terzo del libro, tuttavia, Idaho viene presentato all’autore e si accorge di essere capace di scrivere la propria storia, pur scomparendo dal testo stesso.

Nel racconto di Idaho si mescolano dinosauri, vecchi film e il gruppo rock Green Day, mentre l’autore è esposto alla violenza della narrazione e naviga in un paesaggio surreale nel tentativo di riprendere il controllo sulla sua creazione.

I personaggi scoprono il prezzo da pagare per cambiare le cose: “se nel programma di viaggio non mettiamo in conto di poterci perdere, allora non ci muoveremo mai”.

È un romanzo sull’indifferenza delle persone che accettano la sofferenza degli altri giustificando i soprusi nei loro confronti. È una celebrazione del male in una società assuefatta da una sceneggiatura che a ciascuno offre un ruolo.

Idaho Winter comprendendo il suo ruolo riconquista la capacità di riscrivere da solo il suo destino e sottraendosi all’arbitrio dell’autore ne trasforma in incubi le fantasie.

Carlo Tortarolo

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La sua camera è una scatoletta angusta e sudicia con pareti scolorite che hanno ceduto un po’ verso l’interno, restringendo lo spazio già misero. Il pavimento è un pacciame di cartacce, pigne e lattine. Ci sono calabroni che ronzano. Per gli altri abitanti della casa è una comoda pattumiera. La porta gialla si apre quel tanto che basta a gettarvi un barattolo di fagioli vuoto. L’unica finestra della camera dà su un muro di mattoni arancione sporco. Il letto consiste in quattro giubbotti salvagente, laceri e marci, avvolti in due asciugamani sbrindellati. La puzza di pesce proveniente dal letto riempie la stanza e quasi soffoca Idaho nel sonno. Povero, piccolo Idaho. Si tira su a sedere, poi si piega e vomita sulla schiena di un grasso topo addormentato. Il topo non si sveglia. Sotto ad alcuni contenitori per hamburger, Idaho vede spuntare altri topi che vanno a mangiare il vomito dalla pelliccia dell’obeso roditore assopito. È il primo giorno di scuola e Idaho deve uscire di casa per la prima volta da giugno. Ovvero da quando è finita la terza media.

Ha passato gli ultimi mesi dell’anno scolastico avvolto in un cappotto di carta catramata che, surriscaldato dal sole, gli si è impresso sulla pelle lasciando un segno nero-rossastro ancora visibile, dalla parte destra del collo fino alla punta dell’anca sinistra. Lo hanno buttato giù dalla collina dietro la scuola. Alcuni bambini lo hanno messo su un ramo basso, vicino al fiume, per poi farlo cadere lanciandogli grossi sassi e dure zolle di terra. Ha trascorso l’estate qui, in questa stanza disgustosa, con la schiena impiastrata di catrame e i piedi coperti di lividi per l’inverno passato a scappare. Descrivere sofferenze tanto intense è difficile. L’infelicità di questo povero, povero ragazzo – Idaho – supera quella di chiunque altro. Nessuno ha più motivi del povero, patetico Idaho Winter di cedere allo sconforto e piangere in un buco disgustoso per il resto dei suoi tristi giorni malati.

La porta si apre di nuovo e compare un cane. Un segugio giallino con la bocca rossa, la testa bassa e pronto all’attacco.

«Fa’ alzare il ragazzo, Ringhio».

Ecco il padre di Idaho. Il padre di Idaho, conosciuto nella zona come Early Winter, supera a passi pesanti la stanza del ragazzo, scende le scale verso la cucina e si siede al tavolo davanti a una donna. In silenzio, Early si serve latte e fagioli da un padellino, mentre con cattiveria fissa la donna, la quale è conosciuta solo come Moglie. È carina e silenziosa e magra e probabilmente affamata. Tiene gli occhi bassi. Non osa alzarli. Le è stato vietato di alzare lo sguardo.

«Ho mandato Ringhio a far alzare il ragazzo».

Un gran fracasso. Cadono quadri e l’intonaco si sbriciola mentre Ringhio – con le mascelle serrate sulla spalla di Idaho – lo sbatacchia avanti e indietro contro le strette pareti del corridoio, per lasciarlo cadere infine ai piedi di Early. Early abbassa lo sguardo sul malcapitato ragazzo. Idaho alza lo sguardo, terrorizzato da quest’uomo odioso. Gli occhi di Early sono strade nascoste: gelide strade tortuose che riportano le belve nei boschi. Gli occhi di Early sono le stesse strade segrete percorse dalle belve. Idaho si nasconde il viso tra le mani ossute.

«C’è scuola. Mangia quello che ha trovato la bestiaccia».

Idaho sente la colazione piombargli sulle ginocchia. Attraverso le dita filiformi vede il procione stecchito. Pancia e gola sono coperte di mosche.

«Mangiagli anche il culo e pulisciti i denti con la coda».

Sotto il tavolo Idaho vede i piedi smilzi della madre, gli alluci bianchi e arricciati. Non si avvicinava tanto a lei da parecchi mesi. Vede un alluce distendersi e l’altro sollevarsi sotto il piede. Questi piedi sembrano assorti nel prendersi cura l’uno dell’altro. Due burattini ciechi che si cercano e si scambiano tenerezze anche qui, nel posto più aspro della terra. Idaho sente un fremito sulle nocche. Una lacrima caduta ha allontanato le mosche dalla sua colazione.

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