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Verso il fantasy vittoriano. Intervista a Laura Costantini

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Laura Costantini è nata a Roma ed è una boomer rea confessa, apprendista digitale. Nonostante quanto dichiarato dall’anagrafe, mantiene la voglia di sorprendersi e – quando una storia bussa – è difficile che non la lasci entrare. Scrive da decenni insieme a Loredana Falcone con la quale ha pubblicato romanzi che spaziano dallo storico al thriller al giallo. Due titoli recenti: “Blu cobalto”, thriller con tematiche ambientali e un pizzico di fantasia, edito da dei Merangoli editrice; “Trappola a Boscolungo”, giallo di impianto classico, senza cadavere e senza detective, con una caccia al tesoro che non mantiene quel che promette, edito da Nua Edizioni. Da sola annovera una serie di romanzi vittoriani a tema LGBT, il cui primo volume è “Il ragazzo ombra”, edito da goWare e lo steampunk “Il Varcaporta”, uscito con Dark Abyss Edizioni nel 2022. Con la stessa casa editrice ha in piedi un progetto che unisce fantasy e ambientazioni vittoriane che dovrebbe uscire entro l’anno.

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Sei una valida scrittrice e un’apprezzata giornalista: quanto di reale usi per le tue storie, quanta finzione vorresti riporre nelle vicende reali di cui dai notizia?

Intanto grazie per i complimenti, anche se sono convinta che, alla mia tenera età, ci siano ancora grossi margini di miglioramento. Considerato che – sia in coppia con la mia socia di scrittura Loredana Falcone, sia con le mie sole due mani – scrivo soprattutto romanzi storici, gialli e thriller con componenti paranormali, direi che di reale uso poco. Questo non vuol dire che producendo una narrativa di intrattenimento (categoria di cui vado molto fiera) io non inserisca nelle storie riflessioni fortemente agganciate ai grandi temi che stanno attraversando questa epoca difficile: inclusività, lotta alle discriminazioni di genere, rifiuto degli stereotipi, attenzione alle voci che – di solito – non trovano spazio. Se invece mi chiedi quanto delle trame che immagino e scrivo vorrei vedere realizzarsi nelle vicende quotidiane… beh, nei romanzi i conflitti esistono per essere risolti. Vorrei che questa capacità ci appartenesse come agenti della realtà.

Con la tua scrittura hai realizzato libri diversi tra loro, affrontando molti generi. Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di genere letterario, qual è quello che da scrittrice preferisci quando narri una storia?

Cantastorie. Esiste come categoria? Tutto ciò che viene scritto, a qualunque genere letterario venga associato, deriva dalla necessità degli homo sapiens (e forse non solo loro) di raccontare. La letteratura che conosciamo deriva dalla tradizione di riunirsi intorno al fuoco e di raccontare storie. Una tradizione orale che si è tramandata nei secoli e che la scrittura e la stampa hanno poi saputo far giungere fino a noi. Bibbia, Odissea, Iliade, Eneide, la saga di Gilgamesh, le mirabolanti storie legate alla mitologia greca, norrena, celtica, indiana. Stupore, fantasia, simboli cui legare le primarie pulsioni dell’animo umano hanno trovato spazio nelle storie. E io quelle voglio raccontare. Consapevole che quasi tutto è già stato detto, ma che noi, come i bambini, non ci stanchiamo mai di ascoltare e sognare avventure.

Quali sono i tre autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali i tre autori contemporanei viventi?

Tre e tre sono pochi e si rischia di far torto a tanti. Come avrai capito, sono stata e sono una lettrice affamata di fantasia, azione, immaginazione. Tra i classici porrei Dickens, Dumas, Verne, Wells, Hemingway, Steinbeck, Edgar Rice Burroughs, Poe, Lovecraft, Tolkien. Tra i contemporanei Ursula K. LeGuin, Margaret Atwood, Stephen King, Ann Rice, Dean Kunz. Ti stai chiedendo dove siano gli italiani? Ci sono: mi viene in mente Buzzati, che considero un classico. Ma le mie letture da una decina d’anni a questa parte si nutrono di un fermento fatto di autrici e autori italiani misconosciuti. Quelli che recentemente sono stati bollati come “Scrittori irrilevanti sul mercato” perché ci sono, vengono letti, vendono copie, guadagnano, ma non si trovano nelle scuderie delle grandi CE, spesso hanno l’ardire di auto-pubblicarsi e di farsi strada senza essere chiamati a esporre le proprie idee nelle manifestazioni letterarie, nei festival, nei saloni e quindi non esistono. O meglio, si vorrebbe che non esistessero. Invece ci sono e sono dannatamente bravi. Non faccio nomi perché sono molte e molti e non vorrei dimenticare qualcuno.

Che rapporto hai con il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi due medium narrativi?

Chi ama le storie non può fare a meno di cinema e fumetti. Adoro Christopher Nolan, James Cameron, Steven Spielberg, Stanley Kubrick (ma a piccole dosi). Ho esultato quando mi sono resa conto che, attraverso artisti come Gabriele Mainetti (“Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out”), anche l’Italia comincia a produrre qualcosa di diverso dai soliti film, giocati sempre tra commedia e crisi esistenziale dei trenta/quaranta/cinquantenni insoddisfatti. Riguardo ai fumetti… ho scoperto da poco Zerocalcare (lo so, arrivo in ritardo), ma mi sono abbeverata per anni alla vasta produzione della Sergio Bonelli: Dylan Dog, Martin Mystere, Nathan Never. Non ho un buon rapporto (soprattutto visivo) con i manga e me ne dispiace.

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?

Chi scrive, per come la vedo io, è soprattutto una persona che legge, tanto e di tutto. Mi piacciono le persone curiose, sempre pronte a scavalcare i confini della comfort zone e lanciarsi nell’esplorazione. Non puoi dire che una storia o un genere non sono nelle tue corde, se prima non provi. Questo significa acquisti compulsivi, pile di cartacei ed e-reader che scoppia di titoli. Col passaparola io ci casco sempre. Se un titolo viene consigliato nei gruppi che seguo e dalle persone di cui mi fido, ci giro intorno tipo condor e prima o poi (più prima che poi) lo agguanto. Ho un difetto (uno dei tanti): quando un libro esce con un battage pubblicitario di quelli che solo le major possono permettersi e viene strombazzato ai quattro venti come “il caso editoriale della galassia”, “Settanta ristampe negli ultimi quindici giorni”, quella è la volta che mi fingo sorda e cieca e passo oltre. Alle volte, passata la buriana, acquisto e capisco che avevano ragione a “pomparlo”, ma sono poche, purtroppo. Troppo spesso, se provo a superare la mia idiosincrasia per il “fenomeno”, scopro che avrei dovuto fidarmi del mio istinto.

Come impieghi il tempo quotidiano dedicato alla scrittura delle tue storie?

Avercelo il “tempo quotidiano”. Io scrivo quando posso e quando riesco. Nella scrittura a quattro mani, visto che la routine che mi unisce a Loredana Falcone prevede che noi si scriva insieme trovandoci fisicamente nella stessa stanza e davanti allo stesso computer, la vita quotidiana (soprattutto lavorativa) ci sta creando non pochi problemi. Fortuna che la voglia resta intatta. Nella scrittura in solitaria è più facile, ma se arrivi a casa dopo le venti, con una giornata lavorativa sulle spalle, il massimo che puoi fare è appuntarti qualche idea, qualche frase in un quadernetto e aspettare il giorno di riposo per dare voce alle storie che ti bussano direttamente nella testa.

Quale tipo di storia non scriveresti mai?

Secondo me non esiste una storia che non scriverei mai. Se scrivi sei una persona creativa e non puoi sapere a priori da quale parte arriverà lo spunto giusto. Magari ci sono argomenti che non mi intrigano, questo sì. Molte volte mi è stato chiesto di scrivere un romanzo ambientato in una redazione, mettendo nero su bianco quanto accade nelle retrovie di una trasmissione o di un giornale. Ma quelle sono situazioni che ho vissuto e, a volte, patito. Tornarci con la scrittura non mi interessa.

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