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Wanderwoman. Intervista ad Arianna dell’Arti

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A Parma nelle scorse settimane ha fatto tappa il Tour di presentazioni e firmacopie del libro di Arianna dell’Arti, donna del cinema e performer, che con questa raccolta di alcuni monologhi, racconti e dialoghi, scritti nel corso degli anni, mostra un talento anche nella scrittura.
Una buona occasione per rivolgerle Le Tre Domande del Libraio intorno a “WANDERWOMAN, monologhi, racconti e trallalà” edito da Miraggi Edizioni, una casa editrice che da oltre dodici anni con le sue diverse collane ha portato una ventata di aria nuova nell’editoria.


Golem è la Collana di narrativa e poesia della casa editrice Miraggi Edizioni con testi ad alto tasso di creazione dove la parola è al centro della narrazione. In una casa editrice di progetto che dal 2010 sperimenta tanto nelle varie Collana come si inserisce un testo come il tuo Wanderwoman?

Bella domanda! Devo dire che ho conosciuto i ragazzi di Miraggi anni fa ad una serata di Guido Catalano che mi aveva invitata come ospite. Loro mi chiesero subito se avevo voglia di pubblicare. Io non me la sentii, un po’ perché non pensavo di avere abbastanza materiale, un po’ perché ritenevo che i miei pezzi non fossero adatti ad essere letti, erano scritti per essere ascoltati. Poi negli anni le cose sono cambiate e devo dire che la tenacia di Miraggi nel corteggiarmi mi ha conquistata. Dopo il lockdown mi sono chiusa e ho montato questo libro con  i testi che ritenevo più fruibili alla lettura e che una collana sperimentale come la loro poteva accogliere.
Devo dire che è cosa rara che pezzi di  questo genere possano essere pubblicati e ringrazio Miraggi per avermi spronato a farlo.

“Sono nata infelice.
Sono nata con un’infelicità assolutamente immotivata. Quell’infelicità talmente immotivata che uno non si può neanche lamentare.
E allora, da sola, ho cominciato a lamentarmi di non potermi lamentare.
Tutto andava bene, purtroppo.
Una famiglia borghese, benestante, felice.
Una sorella intelligente, amorevole,  la persona migliore che io conosca.
Due genitori affettuosi, compresivi,  aperti.
Una cosa, guardate,  insopportabile.
E’ st’infelicità, tutta mia, tutta immotivata…”

Quasi un manifesto politico sulla infelicità questo inizio della serie di monologhi e racconti che compongono questo tuo libro particolarissimo. Si legge, poi, nella quarta di copertina, che sono racconti che mettono in evidenza la tua ossessione per l’osceno. Ci racconti le relazioni tra osceno e questa sottotraccia di malinconica infelicità che percorrere tutta la narrazione?

La cosa complicata da accettare nella vita è la presa di coscienza della propria parte oscura. Siamo composti da bene e male e ci dobbiamo fare i conti.  L’osceno, che io intendo come la parte indicibile di noi, mette in luce, se osservata, la contraddizione che ci abita, la miseria dell’essere umano, la complessità del nostro mondo interiore.
Pensieri inaccettabili  come l’invidia, la gelosia, il desiderio di morte o dell’infelicità altrui passeggiano dentro di noi, ma spesso li rinneghiamo, eppure  si palesano in modo così evidente che si fa fatica a non ascoltarli. Per rendere la presa di coscienza meno dolorosa entrano in gioco stati d’animo   come l’infelicità  grazie alla quale la miseria mi risulta più accettabile.


Ci si diverte tanto a leggere questi racconti e monologhi difficili da inquadrare. Nella Prefazione, Stefano Andreoli cita, tra gli altri, come termine di paragone i monologhi di Franca Valeri, o Max Aub ( da leggere assolutamente la sua raccolta di racconti “Gennaio senza nome”) o ancora Raffaele Baldini( del poeta romagnolo leggere “La piccola antologia in lingua italiana). Al netto di questi confronti importanti e davvero pertinenti, nel raccontarci il tuo percorso nella scrittura, ci spieghi l’importanza che assume l’autoironia, elemento poco frequentato tra i giovani scrittori contemporanei?

Come prima cosa ritengo fondamentale l’utilizzo dell’ironia come mezzo e non come fine. Scrivere per far ridere non è il mio obbiettivo. Il mio scopo è rendere  argomenti respingenti, digeribili. L’ironia me lo consente. E un filtro che mi permette di guardare il mondo, e anche me stessa, con maggiore  indulgenza,  comprensione, distacco. L’ironia, poi, si può manifestare in modi diversi, ironia di situazione , oppure ironia di battuta, oppure l’ironia sta nell’intenzione data dall’interpazione di un attore. Testi o magari paragrafi apparentante privi di ironia ci si rivestono poi nella messa in scena. Titt, per esempio che parla della violenza sulla donne, ha un’ironia velata che emerge quando il lettore si immedesima nel conflitto che vive il protagonista. E’ un’ironia non visibile, non immediata, che inspiegabilmente  appartiene al lettore a non allo scrittore. Ce la mette lui, con la sua testa e le emozioni che prova. Il connubio scrittore e lettore, come il connubio musica su immagini, crea una terza narrazione, unica, privata, e spesso l’ironia aiuta questo legame, stimola l’attenzione lì dove non vorremmo guardare, permettendoci di immedesimarci in mondi che condanniamo.

Buona Lettura di “Wanderwoman. Monologhi, racconti e trallalà” di Arianna Dell’Arti e di tutto il Catalogo Miraggi

Antonello Saiz

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