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Aldo La Fata. Nella luce dei libri. Percorsi di lettura di un ‘cavaliere errante

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Recensire un libro a sua volta raccolta di recensioni specialmente libresche altre potrebbe, agli occhi di molti, sembrare mero esercizio di stile oppure – meglio ancora – un lavoro facilitato: si può prendere a spizzichi e bocconi quanto recensito qui e là dall’autore del testo e lo si collaziona facendolo proprio. E invece no, perché, più che di recensioni, in questo pregevole saggio edito dal teatino Marco Solfanelli, l’autore, Aldo La Fata, ci accompagna lungo un percorso (di lettura, sì come esplicitato fin nel titolo) che partendo dal particulare (e cioè dalle sue letture) ha l’ambizione di giungere all’universale, ovverosia al permettere ai suoi lettori di compiere anch’essi un pezzetto di strada intellettuale similare alla sua.

Ho già avuto modo di affrontare diversi scritti di La Fata, e di uno (“Silvano Panunzio. Vita e pensiero”, Solfanelli 2021) ho sentito l’esigenza di proporne una recensione tra queste stesse pagine. Allievo di colui a cui ha dedicato lo scritto precedente a questo, Silvano Panunzio appunto, Aldo, palermitano di nascita, romano d’adozione, è stato caporedattore e corsivista della rivista parto dell’intelletto tradizionale del sopracitato, “Metapolitica” (sottotitolata inizialmente Rivista del Regno Universale, successivamente Nuovi Cieli e Nuova Terra, sottotitolo apocalittico che ben lascia intendere la devozione panunziana al veggente di Patmos), e gli scritti che si trovano raccolti in questo scrigno libresco risalgono proprio a quell’esperienza dell’autore (oltre che, terminata la stagione di “Metapolitica”, alle esperienze che ne hanno preso il posto, ossia al “Corriere Metapolitico web” e al cartaceo “Corriere Metapolitico – Rivista escatologica di studi universali”, che a me piace definire, mi perdonerà Aldo, bollettino d’informazione tradizionale).

A scorrere l’indice di “Nella luce dei libri”, di primo acchito potrebbe sembrare di trovarsi di fronte ad un’opera composta di parti tra loro scollegate, faticando a trovarne il minimo comun denominatore. Ma l’autore stesso esplicita il “pubblico” cui il testo è nello specifico dedicato: “cultori degli studi esoterici e tradizionali”, “amanti delle ‘scienze di confine’”. Vi si possono infatti trovare riferimenti a testi riguardanti le apparizioni mariane e i supposti avvistamenti di oggetti volanti non identificati; alcuni orientamenti bibliografici sulla letteratura gradalica e una rilettura dell’opera di Giovanni Gentile sotto un’ottica metapolitica; e poi riferimenti alla metafisica cristiana e a quella indù, pagine guénoniane e panunziane, esplicazioni terminologiche, sociologia e tanto, tantissimo altro ancora; così tanto che (giusto per stuzzicare ulteriormente la curiosità, cito due altre tematiche contenute tra queste pagine: riferimenti all’angeologia tradizionale e l’annosa questione delle conversioni dal giudaismo al cattolicesimo), per darne una visione d’insieme, toccherebbe riportare in copia e incolla l’intero indice, cosa che volentieri mi esimo dal fare, non tanto per pigrizia, quanto per non togliere, a quanti lo vorranno, il piacere della scoperta derivante dalla lettura.

Lo si può riscontrare altrove che Aldo La Fata è autore che unisce alla perizia conoscitiva una non indifferente dose di coraggio, valore che deve elevarsi all’ennesima potenza in un ambiente come quello dei cosiddetti studi tradizionali, all’interno dei quali spesso si riscontrano fedeltà dogmatiche nei confronti di determinate scuole o maestri che fanno immediatamente attaccare, anche scadendo nelle offese personali, coloro che, a tali maestri o scuole di pensiero, si permettono di muovere talune critiche. Ebbene, La Fata non si esime mai dal far presente al lettore ciò che a lui non convince di un determinato autore, di una determinata opera, e lo fa sempre senza parzialità o per motivazioni di natura prettamente personale, ma per purissime ragioni di coerenza intellettuale.

Ecco dunque che Alain Daniélou (fratello minore del più noto cardinale Jean), tra le altre cose considerato uno dei più versati indologi al mondo nonché “il più noto adepto occidentale dello Shivaismo”, viene senza troppi giri di parole definito uno pseudo-maestro e un millantatore, dati alla mano. E a Carlo Gambescia, sociologo suo personale amico e studioso di metapolitica sotto però un’ottica differente da quella di La Fata (che è quella di Panunzio figlio – Silvano, cioè – mentre quella di Gambescia potrebbe, a suo modo, essere accostata a quella del Panunzio padre, Sergio), l’autore muove la critica affettuosa di basare le proprie analisi esclusivamente sulla lettura sociologica delle cosiddette “regolarità o costanti metapolitiche”, ovverosia, parole di Gambescia stesso, “i mezzi sociali concreti attraverso i quali si conquista, si detiene, si perde il potere”, mentre la visione metapolitica di Aldo La Fata necessita di “un supplemento di senso” che altro non è che “la conversione del suo [del termine] significato in senso metafisico e spirituale”.

Un testo idealmente lontanissimo dall’accusa che semplicisticamente potrebbe venir mossa ad una raccolta del genere: quella cioè di esibizionismo intellettuale, vanto di aver letto così tanto. La Fata stesso, nell’introduzione, afferma che i libri possano essere financo pericolosi, ma altresì anche di aver scelto lui di militare dalla parte di chi crede nella loro “misteriosa e provvidenziale utilità”; ma attenzione, non nel senso di una disordinata, semplicistica accumulazione del sapere che farebbe di noi dei banalissimi tuttologi della domenica, bensì quando le letture sono compulsate cum grano salis, quando la loro selezione e scelta è effettuata alla luce (altro riferimento al titolo) del “ben dell’intelletto”(riferimento pure questo libresco, e da che opera!: “Commedia”, Inferno III, 20).

Mai come stavolta suona bene l’augurio finale di una buona lettura!

Alberto De Marchi

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Aldo La Fata, “Nella luce dei libri. Percorsi di lettura di un ‘cavaliere errante’”. Solfanelli Edizioni, 2022, 191 pagine, 14 euro

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