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Claudio Coccoluto, Pierfrancesco Pacoda. Io, dj. Perché il mondo è una gigantesca pista da ballo

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Risistematizzazione di un saggio datato 2007 (edito da Einaudi) di Claudio Coccoluto e Pierfrancesco Pacoda, docente universitario, critico musicale e saggista, primo in Italia a portare l’analisi della club culture a livello accademico, ad opera del figlio del primo, Gianmaria, omaggio al padre prematuramente scomparso nel 2021, Io, dj è l’analisi dell’evoluzione di una passione e della sua trasmissione. Passione che, per Claudio Coccoluto, è iniziata sul finire degli anni Settanta, ancora studente alle scuole superiori “in un paesino tra il Lazio e la Campania”, così com’è titolato uno dei capitoli in cui è suddiviso il libro (il famoso dj nacque – nel 1962 – e visse i primi vent’anni della propria vita, infatti, a Gaeta, in provincia di Latina), quando ancora alle radio libere era riconosciuta una certa importanza e grazie a quelle frequenze si potevano scoprire i prodotti musicali più di nicchia, provenienti perlopiù da Oltremanica od Oltreoceano (tra i primissimi interessi musicali di Cocco – uno dei nomi d’arte da egli più utilizzati oltre che titolo di una sua trasmissione andata in onda su Radio DeeJay tra 2003 e 2009 – figura il progressive in ciascuna delle sue numerose sfaccettature).

Agli inizi della propria attività di disc jockey il mondo della discoteca – quello stesso che, in futuro, lo incoronerà come uno dei suoi principali rappresentanti – pareva a Claudio Coccoluto eccessivamente semplicistico e commerciale: in quei locali “andavano” per la maggiore i successi pop del momento, o perché chi metteva i dischi solo di quella musica era a conoscenza o anche perché obbligato a ciò dal proprietario del locale di turno, al quale non interessava tanto la ricerca musicale, quanto l’incasso della serata. Ecco perché il primo amore dal punto di vista musicale per l’autore/protagonista di questo libro è la radio, grazie alla quale si poteva evitare di essere visti – e anche da esponente di punta della club culture Claudio Coccoluto aborrirà sempre il divismo cui molti dj suoi colleghi e contemporanei indulgeranno invece molto volentieri – e soprattutto si poteva essere più liberi di passare la musica di cui si era davvero appassionati (ovvio, sempre limitatamente agli indirizzi editoriali). Sta di fatto, però, che fatti tutti questi distinguo, la carriera di disc jockey era all’inizio vista dal nostro niente più che come “un’aspirazione amatoriale, una passione da bravo ragazzo che durante la settimana studia e fa sport, e il sabato fa il dj nei locali” per guadagnarsi qualcosa. Era infatti convintissimo che da grande avrebbe fatto il grafico, lavoro per prepararsi al quale aveva studiato per i cinque anni di scuole superiori; al massimo, per divertirsi e arrotondare un po’, avrebbe potuto mettere qualche disco nei locali nei fine settimana.

Poi, tra metà anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, galeotti furono al contempo la scoperta della kosmische musik tedesca e lo scalpitare della “scena napoletana”, la prima che lo avrebbe visto protagonista indiscusso. Scena, quest’ultima, esplicitamente creata affinché fungesse da contraltare a quella riccionese tutta lustrini, paillettes e starlette, ove la musica fungeva meramente da sfondo e il dj era niente più che un intrattenitore che deve stare al passo coi tempi! Mentre per Claudio Coccoluto “il suono e la ricerca sono l’unico linguaggio che la discoteca ha per comunicare”. Che deve comunicare. Che dovrebbe comunicare! Questo il senso sotteso ai nomi “Cube” e “Angels of Love”, sunto delle esperienze partenopee del nostro.

Il genere musicale che ha visto in Cocco un iniziatore e successivamente un maestro è un particolare tipo di elettronica declinata in maniera underground grazie all’apporto, specialmente, di sottogeneri della black music quali fusion e funk; indipendenza e autonomia nello stile che ha sempre mantenuto anche quando si è recato a suonare in autentici tempi del divertimento quali il Cocoricò di Riccione o i numerosissimi clubs di cui è costellata l’isola baleare di Ibiza, continuando comunque sempre a prediligere i locali indipendenti, magari quelli – sempre nella località spagnola – cosiddetti chill out, dove ci si recava a sole già alto per rilassare l’apparato uditivo provato per tutta la notte dai ritmi potenti dell’house, della techno, della minimal e ai cui piatti si succedevano djs di fama mondiale arrivati lì apposta per mettere i dischi gratuitamente dopo aver fatto sì il pienone in uno dei famosissimi locali ibicensi ma grazie ad un cachet a svariati zeri, e ciò con grande disappunto dei gestori di questi clubs!

Coerenza è uno dei tanti termini dai risvolti più che positivi che si possono accostare alla persona Coccoluto, che ha sempre rappresentato un tutt’uno con l’artista: è sempre rimasto Claudio, si parli dell’adolescente alle prime armi che si poteva ascoltare ai microfoni (e ai piatti) di Radio Luna o dell’affermato professionista conduttore di un programma che di fatto porta il suo nome su uno dei principali network radiotelevisivi a livello nazionale; del producer di livello internazionale tra i primi italiani ad esibirsi al “Ministry of Sound” di Londra come dell’appassionato ricercatore musicale di casa al “Goa” di Roma, splendida esemplificazione di “piccolo club in una grande città”, uno dei locali da cui di diritto passa “la costruzione del mito” per chi a tale riconoscimento ambisca, nato mecca dei suoni morbidi, raffinati e sofisticati dell’acid jazz sapientemente mixati, durante l’era di Coccoluto alla gestione, con l’elettronica più d’avanguardia.

Claudio Coccoluto parla a ruota libera, toccando argomenti i più disparati – anche a loro modo scabrosi, come il rapporto tra club culture e sostanze stupefacenti e la funzione del disc jockey nella contemporanea società dei consumi – che abbiano più o meno punti di contatto col “mondo della notte”, intervallato da specifiche e interventi di Pierfrancesco Pacoda.

Questo nella prima parte del libro, In prima persona. La seconda parte, dal titolo Parole di carta, si compone degli articoli e degli interventi scritti del dj sulla fanzine gratuita Hot: ulteriore esemplificazione del non voler perdere contatto con la realtà, composta da quelle persone vere, vive, in carne ed ossa per cui il dj mette e crea musica, da parte di un personaggio che, nel 1997 con Belo Horizonti scalò le classifiche di vendita internazionali rimanendo in vetta in solitaria per diverso tempo, lo stesso anno è stato inserito nella Top 100 Dj’s di DJ Magazine ed ha fatto parte (primo e ad oggi ancora unico disc jockey) della Giuria di Qualità del Festival di Sanremo nelle edizioni degli anni 2003, 2007 e 2013, mai perdendo quel sorriso (cosa che non è accaduta neppure durante i suoi ultimi set casalinghi in diretta social durante il tremendo periodo del lockdown, quando il fisico era evidentemente provato dalla malattia) che lo si vede sfoggiare (grazie alle immagini, la maggior parte delle quali provenienti dall’archivio privato della famiglia che il figlio Gianmaria ha messo a disposizione della casa editrice per questa ristampa) ogniqualvolta stringe tra le mani un lp, l’utilizzo dei quali lo ha sempre caratterizzato anche durante l’era digitale.

Alberto De Marchi

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Claudio Coccoluto, Pierfrancesco Pacoda (a cura di Gianmaria Coccoluto), “Io, dj. Perché il mondo è una gigantesca pista da ballo”, Baldini+Castoldi, 2022, 160 pagine, 18 euro

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