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David Wallace-Wells. La Terra inabitabile

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Siamo dentro una crisi climatica senza precedenti perché riconducibile a comportamenti umani che il mondo della scienza più accreditato individua da almeno due decenni con precisione, e li individua nel surriscaldamento del pianeta generato dalla combustione fossile, dalla pratica degli allevamenti intensivi, dall’uso della chimica in agricoltura, dal disboscamento delle foreste, dall’inquinamento marino, eppure l’opinione pubblica globale ancora non crede ai propri occhi, alcuni sostengono persino che si tratti di esagerazioni.

Il millenarismo sembra più un argomento confinato al cinema, a certa letteratura, ma quando si tratta di considerare i pericoli del surriscaldamento del mondo reale ancora si reagisce con un incredibile vuoto di coscienza, manca del tutto persino l’istinto primario di precauzione, come fossimo ipnotizzati dalla minaccia che abbiamo di fronte hic et nunc, o come se nel subconscio ci fossimo ormai rassegnati a questo evento, cioè alla fine della specie umana. D’altronde film apocalittici ci hanno portato alla convinzione della inevitabilità di questo sconquasso ecologico sul presupposto ribadito mille volte da Hollywood che il capitalismo in fondo non sarà mai stato emendato. Perché?

David Wallace-Wells impone nel suo testo di recente pubblicazione (La Terra inabitabile, Mondadori, 2020) un tentativo di spezzare questo vacuum per cui il presente non si lascerebbe trascendere che in virtù del medesimo dinamismo dello stato di cose, (dinamismo divenuto perciò un feticcio intoccabile) cioè mediante gli stessi meccanismi produttivi e comportamentali che stanno portando al disastro, quindi proprio questa coerenza inossidabile, feticistica del modello capitalista, del suo dominio globale ormai incontrastato dopo la Caduta del muro, sembrerebbe escludere a priori ogni correzione e quindi l’idea stessa di salvezza. Così è, se volete consumare, se non potete rinunciare all’acqua calda, all’auto nuova, alle ferie esotiche, questo è il prezzo, cioè la fine del pianeta. Assurdo ma vero.

Ogni teoria critica, ogni previsione scientifica è rimandata nella sua efficacia sine die. Perciò questo modello economico è opaco, per cui se conseguenza di questo modello economico è quella che ci sta conducendo dritti al tracollo ecologico bene ecco l’oscuramento, il prezzo del progresso, estrinsecantesi qui tutto il fatalismo di questo concetto per cui non solo l’uomo non è immortale ma neppure il pianeta avrà vita lunga. Opacità che nega in sé ogni principio di auto-conservazione che parrebbe insito nell’uomo de natura.

Mai come ora questo sistema normativo ha mostrato il suo carattere di dominio e intrinseca malvagità, da cui si deduce anche che trattasi di un dominio che non solo deforma e sfrutta le riserve naturali del pianeta, le forze lavoro sottopagate, ma è dominio penetrato fin dentro le coscienze permeando nel profondo lo stesso subconscio, lasciando i singoli spaiati, spiati, desolati nel pensiero e paralizzati nell’azione, masse di uomini e donne oggi ormai ancora più alla mercé della manipolazione mass mediale o meglio tramite Internet, il grande manipolatore per eccellenza. Da ciò non solo l’individuo è sparito o inerme ma ogni azione minoritaria che tenti un’ opposizione a questo dominio risulta naif, idealista oppure confinata nel sottoscala, ecco perché gli stessi scienziati che ripetono le loro denunce circostanziate sono non soltanto inascoltati ma derisi da almeno trent’anni. Ciò indica senza dubbio la forza persuasiva di questo modello, l’incidenza della sua manipolazione della verità, e quindi la sua natura autoreferenziale e antidemocratica, il suo fanatismo irrazionale e feroce da regime.

David Wallace-Wells non si arrischia in un’analisi marxista come questa, non trae conseguenze ideali, ipotizza una soluzione combinata tra istanze capitaliste e movimenti di protesta per trovare una soluzione che sia una via di mezzo. Questa conclusione mi pare poco realista, trascende la natura espansiva del capitale che fa della spoliazione sistematica delle risorse e dello sfruttamento della manodopera ora globalizzato non solo i suoi punti di forza ma la ragione d’essere stessa della sua sopravvivenza.

Nella Grande cecità Amitav Ghosh si chiedeva perché questa assenza di allarme, perché il riscaldamento del pianeta non suscitasse un enorme movimento di protesta, perché i mass media non ne abbiano fatto il principale argomento dei loro palinsesti.

David Wallace-Wells nel suo libro La Terra inabitabile (Mondadori, 2020) ci conduce per mano dentro l’orrore che abbiamo creato nel tempo di mezzo secolo di truce sfruttamento del pianeta senza paragoni nella storia geologica e lo fa in undici capitoli cruciali e terrificanti denominati:

I Morire di caldo

II Morire di fame

III Sommersi

IV Foreste in fiamme

V Calamità non più naturali

VI Acqua dolce, addio

VII L’agonia degli oceani

VIII Aria irrespirabile

IX Epidemie da riscaldamento

X Economie al collasso

XI Le guerre del clima

Inizia La Terra inabitabile con queste parole: “È peggio, molto peggio di quel che pensate. La lentezza del cambiamento climatico è una favola, forse altrettanto pericolosa di quella che ci dice che non sta accadendo affatto, e ci viene offerta insieme a diverse altre, in un florilegio di rassicuranti illusioni: che il riscaldamento globale è una saga artica che si svolge in luoghi remoti; che è un problema che riguarda esclusivamente il livello dei mari e le zone costiere, non una crisi globale che non risparmierà alcuno luogo e non lascerà inalterata alcuna forma di vita; che è una crisi del mondo della «natura», non di quello umano; che questi sono due cose distinte, e che oggi noi viviamo in qualche modo al di fuori o al di là, o comunque siamo protetti, rispetto alla natura, e non ineluttabilmente connessi e totalmente sovrastati da essa; che la ricchezza può essere uno scudo contro le devastazioni del riscaldamento globale; che bruciare combustibili fossili è il prezzo per avere una crescita economica continua; che la crescita, e la tecnologia che produce, ci metteranno inevitabilmente in grado di escogitare una via d’uscita dal disastro ambientale; che nell’ormai lunga storia dell’umanità ci sono stati altri casi di minacce analoghe a questa per dimensioni o portata, per cui possiamo essere fiduciosi sul fatto di venirne a capo. Niente di tutto ciò è vero.”

Wallace-Wells ha sfondato il muro di gomma dell’eufemismo cui ancora la lotta ambientale, era ed è relegata nell’immaginario collettivo, questo il suo grande merito, lo fa dipingendo un mondo da incubo descritto come certo con due gradi di riscaldamento globale e l’attuale emissione di anidride carbonica invariata, con esodi biblici, milioni di morti per carestia, allagamenti, guerre, città costiere sommerse, emissioni di metano micidiali dallo scioglimento del permafrost, scarsità di acqua potabile, aria irrespirabile, pandemie.

Un libro che andrebbe letto senza dubbio, una denuncia circostanziata, vera, inconfutabile in cui tuttavia viene tralasciata per me la mano di chi è causa efficiente di questa devastazione, cioè il modello economico sinora dominante, contro cui si dovrebbe combattere tramite una mobilitazione di massa imponente e capillare come quella degli anni Trenta contro l’emergere del fascismo e del nazismo. A meno che come nella Macchina del tempo di H.G. Wells non si voglia davvero in futuro vivere in un pianeta distrutto in cui la maggior parte degli esseri umani sono trogloditi o in condizione di schiavitù, costretti a lavorare nel sottosuolo a esclusivo beneficio di una ristretta élite che vive in superficie; già adesso gli esseri umani e il loro bestiame costituiscono, in termini di peso, il 96 per cento dei mammiferi del mondo; quelli selvaggi solo il 4% da cui quest’èra è già ribattezzata «Eremocene», ossia l’età della solitudine.

Marcello Chinca Hosch

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