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Davide Morosinotto. L’ultimo cacciatore

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In Italia esiste una vera e propria fucina di autori e redattori (a volte gli uni sono gli altri) che produce storie di avventura dedicate ai ragazzi.

Possiamo dire che rinverdisce il genere, lo porta nella contemporaneità, senza dimenticare quello che è stato fatto in passato.

E prende coraggiosamente come pietra di paragone nel modo di costruire storie la letteratura anglosassone e quella nordamericana. Va a creare un ibrido.

I risultati sono veramente interessanti e spesso non solo mirati al pronto consumo.

Davide Morosinotto può essere definito a ragion veduta uno degli esponenti di spicco di questa fucina (non la chiamerei scuola perché si darebbe una certa idea di omogeneità e interscambiabilità che esiste solo in parte). Posizione che si è conquistata dopo anni di intenso praticantato con la tripletta di romanzi che da Il rinomato catalogo Walker & Dawn portano a Il fiore perduto dello sciamano di K passando per La sfolgorante luce di due stelle rosse (tutti editi da Mondadori). A essi bisogna poi aggiungere La più grande (edito da Rizzoli).

Il primo titolo di questa lista, si è aggiudicato nel 2017 il Superpremio Andersen Per la proposta di un romanzo di avventura, viaggio e fuga, che attinge alla tradizione mantenendo uno spirito fresco e coinvolgente”, l’ultimo ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2021.

In ognuno dei romanzi citati la Storia più o meno conosciuta incontra l’avventura, e lo fa attraverso personaggi non ancora maggiorenni. La base su cui lievita ogni narrazione, diciamo, resta sempre immutata.

Con L’ultimo cacciatore, romanzo pubblicato nuovamente da Mondadori sul finire del 2021, Morosinotto pone il lettore sempre davanti a una avventura che si poggia ancora una volta sulla Storia.

Però questa volta lo scenario, il mondo in cui il romanzo si svolge è una rievocazione dell’epoca preistorica.

Diciamo “rievocazione” perché il mondo del Pleistocene è dato da Morosinotto in modo molto vago, così da poter inserire al suo interno le figure dei protagonisti, un gruppo di ragazzini fra cui spicca Roqi.

È lui la voce narrante, quella che dice “io” e dà forma e titolo al racconto. Lui, il cui talento è di dare la morte agli animali, di essere il cacciatore, di procurare perciò il nutrimento al gruppo dopo la perdita dei genitori, dovuta a un grande incendio.

Un talento che però non può essere “certificato” dallo stregone della tribù, morto con gli altri. Cosa che gli impedisce così di diventare adulto “per comando” e lo spinge a farlo da solo.

La shadowline del personaggio è paradossalmente questo continuo vedersi negato l’ingresso nell’età adulta dai suoi compagni, anche quando i fatti dichiarano il contrario. Anzi, cosa peggiore, su Roqi si addenserà sempre più l’idea porti sventura alle persone che ha attorno. Una diceria che diventerà nel corso de L’ultimo cacciatore parte del destino del personaggio.

Diviso grosso modo in due parti (la prima con il gruppo dei ragazzi alla ricerca di una nuova tribù, la seconda con il protagonista a fare i conti con la solitudine e le proprie forze) il romanzo cresce con l’andare dei capitoli e si apprezza sia per gli accenni ben calibrati al sesso, sia per l’introduzione del concetto di morte, della sua casualità, all’interno del gruppo di personaggi protagonisti. Alcuni dei momenti possono apparire crudi, ma rendono comunque viva quanto credibile l’ambientazione preistorica.

Particolarità de L’ultimo cacciatore è il tentativo da parte dell’autore venetoemiliano di inventare una lingua autonoma, almeno per quanto riguarda i nomi di animali e piante.

Morosinotto li ha creati cercando di dare così corpo a un universo di forme altrimenti complicato da richiamare. Per esempio, “porcospino” si chiama “rosmariglio” e la tigre dai denti a sciabola “dentibelva”. Un espediente che fa scattare il ricordo del ben più complicato La voce del fuoco di Alan Moore. Precisamente il primo capitolo, ambientato nel 4000 a.C.

Fuori luogo invece appare il riferimento al Signore delle mosche di Golding, come ispirazione principe de L’ultimo cacciatore. La ferocia di quello, allegoria politica negativa, non appare nel racconto di Morosinotto, teso invece a raccontare la crescente solitudine cui viene condannato Roqi e l’ineluttabilità del destino che coglie ognuno dei personaggi.

Alla fine si esce da questo romanzo con un pizzico di amarezza per la sorte che tocca a Roqi e con un pizzico di curiosità verso il suo destino. Fortunatamente, pare non verrà mai esaudita.

Di questo cacciatore non avremo infatti sequel. Che vada giustamente per la sua strada. A noi il piacere di immaginare quale essa possa essere.

Sergio Rotino

Recensione al libro L’ultimo cacciatore di Davide Morosinotto, Mondadori 2021, pagg. 312, €17,00

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