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Dispacci dall’Antropocene #11

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Fantasy, (New) Weird, Grimdark, Horror, Solarpunk, Theory Fiction, Neoanimismo, Antropofiction. Sono solo alcune delle molte strategie narrative con cui la nuova era antropocenica sta prendendo coscienza di sé.

Ma sono anche trappole fatali, come tutte le etichette che da un lato aiutano a cartografare le terrae incognitae, dall’altro offrono ai gestori del canone una arma grossolana per esiliare i dissidenti nella letteratura di genere.

Il primato da vetrina del romanzo neoliberista, per quanto ricucinato in salse vagamente esotiche, non deve farci credere che il business as usual continuerà per sempre. Anzi, i silenzi si fanno sempre più rumorosi e la grande bonaccia delle Antille generata da premi, scuole, agenzie e concorsi letterari dello Strapaese cova anche tempeste e inquietantissimi giganti marini.

Il silenzio forse più rumoroso di questi ultimi tempi è la mancata traduzione in italiano di Dead Astronauts (2019) di Jeff VanderMeer. Probabilmente è sbagliato fare dietrologie e analisi complottiste, basta constatare che uno degli autori più imprendibili, più studiati, meno addomesticabili della nuova letteratura mondiale è scomparso da ogni cellula di discussione italiana, anche da quella psichedelica che avrebbe potuto appropriarsene con voluttà.

Probabilmente il problema non viene dal fatto che Dead Astronauts è per la fiction il gemello diverso di Cyclonopedia di Reza Negarestani, cioè un manuale di narratologia antropocenica che anticipa e prepara i prossimi dieci anni di riflessioni sulla complessità. Probabilmente, per un pubblico che non ne può più di baite e arancine, ma che non è molto abituato a ciò che lievita fuori dal mercato egemone, VanderMeer è davvero troppo, con i suoi mostri fuori scala, le interferenze nel pluriverso, l’evocazione di persone non-umane dai contorni tassonomici e ontologici incerti, l’idea rizomatica dello spazio-tempo, l’ironia fantastica e un senso del fiabesco completamente nuovo.

Probabilmente Dead Astronauts era così inclassificabile da diventare scivoloso, e forse pericoloso, per un establishment letterario che non ha ancora deciso se vendere o se evadere. Probabilmente, in un mondo di narrative lineari che non impegnano troppo, un romanzo costruito a stringhe temporali e flash gestaltici poteva essere solo frainteso. Probabilmente.

Probabilmente, però, il libro di cui avevamo bisogno (bello o brutto, comprensibile o incomprensibile, vendibile o invendibile) è già arrivato, come una pallottola invertita in Tenet di Christopher Nolan. Non importa se non l’abbiamo vista o se non l’abbiamo voluta vedere. Non possiamo schivarla. E infatti sta già devastando il pollaio della nonna come una mitica volpe blu.

Matteo Meschiari

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