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Eduard Limonov. Grande ospizio occidentale

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La beat generation? È stata una sottocultura. I Beatles? Erano una band di poveretti effeminati. Elvis? Un omosessuale mancato. Prince? Un latin anti-lover. Il movimento hippy? Si salva solo Charles Manson.

Limonov, noto in Italia per essere protagonista dell’omonima biografia di Emmanuel Carrère in questo saggio definito da Bernard Pivot: «un vangelo per gli skinhead» compie un’analisi lucida della civiltà occidentale.

L’analisi è così precisa e distaccata da ricordare l’angelo de Il rapporto di Uriele di Julien Benda, questo essere inviato da Dio non riusciva a capacitarsi di come gli uomini si affannassero intorno a pezzi di carta disperandosi e preoccupandosi di averne pochi senza apprezzare di avere ancora la vita.

L’analisi è cruda e spietata ma anche giusta e puntuale “Questo libro contiene pagine poco lusinghiere nei confronti del Popolo. Prima o poi qualcuno doveva pur farlo. Da troppo tempo il Popolo beneficia di privilegi esorbitanti, dichiarandosi vittima delle Amministrazioni di cui in realtà è complice e con cui spartisce i guadagni”.

Per Limonov l’Occidente è un Ospizio dove i malati (Il Popolo) vengono assistiti dagli infermieri (l’Amministrazione e i politici) che li intrattengono e li sedano anche attraverso la tv: “Ogni santo giorno i malati modello sfilano sul “piccolo schermo”, cinguettano con le loro voci serene nei microfoni delle radio, sorridono fotogenici sulle copertine dei rotocalchi a colori o in bianco e nero”.

O attraverso la moda:“Di professione i grandi stilisti sono tutti malati modello. Da 1945 in poi il loro ruolo dilaga in una società dove a dominare è l’apparenza, il look”.

E ancora:“Nei romanzi del XIX secolo, il sarto era una figurina che emergeva dalla bottega solo per qualche istante. Insieme all’usuraio (o alla vecchia usuraia) era un personaggio negativo che opprimeva giovani dandy romantici con le sue fatture. Nei vaudeville era un vecchiardo panciuto e scontroso che irrompeva, quando non erano i poliziotti a farlo, nella camera da letto del giovane debitore. «Doveva soldi a tutti, al sarto, all’oste…» è una frase che torna in Balzac, Dickens e Dostoevskij. Ebbene, oggi il sarto è un Yves Saint- Laurent. Trionfa sulla scena sociale e caccia nella bottega i giovani romantici”.

La letteratura invece è nemica della civiltà dell’ospizio: “Al contrario il mondo delle Lettere è pericolosissimo, essendo il più efficace mezzo d’espressione del pensiero. In altri tempi, produceva più Agitati di qualsiasi altra professione. Ma è stata trovata una scappatoia: il meccanismo di riconoscimento dello scrittore nell’Ospizio è talmente complesso che solo i nomi favoriti dall’Amministrazione (in genere, scrittori parecchio in là con gli anni) raggiungono i lettori.

Continua Limonov: “Ostacolare la diffusione delle opere significa disinnescarle. La selezione consiste non nel proibire, ma nel preferire gli uni agli altri. Facendo delle Lettere un mestiere tra gli altri, la società ha privato lo scrittore del suo statuto specifico”. In via del tutto naturale, la crescita dell’importanza dei servizi resi, dell’ascensione sociale dello scrittore, è avvenuta a discapito del libro, del testo in senso vero e proprio”.

Poi Limonov conclude: “Come in altri campi delle attività umane, gli allori finiscono per ornare teste canute. Se Sartre e Camus avevano quarant’anni quando erano diventati i maître-à-penser dell’intellighenzia francese, gli scrittori più celebri dell’Ospizio francese attuale sono sessagenari: Nourissier, Sabatier, d’Ormesson… Ovviamente, mi guardo bene dal mettere a confronto i rispettivi talenti, ma il punto è che i vecchi scrittori, giunti al capolinea, sono in genere così stanchi da non aver più nemmeno la forza per scatenare l’agitazione. Bardi di senilità e fiacchezza, fanno della vecchiaia e dell’impotenza una norma di comportamento per l’insieme della società”.

La Beat generation viene considerata una sottocultura: “Negli anni Cinquanta, è il jazz a strutturare la sottocultura della beat generation”. E continua “…i padri fondatori dell’Amministrazione finiscono per comprendere che l’hipster è «il solo radicale non-conformista della sua generazione»”.

La civiltà dell’ospizio costruisce i suoi modelli attraverso il Cinema.

L’Ospizio adotta un vocabolario “neutro”. Va matto per “eroi” e “idoli”. Vi troviamo star, superstar e megastar. Il cinema ha già messo sul trono il falso eroe, la movie star”.

Viene condannato anche l’eccessivo peso dei mass media nella formazione della cultura: “Oggi il ruolo di arbitro degli arbitri, o poliziotto dei poliziotti, è riservato alle trasmissioni televisive. Regolando purtroppo (anche) le mode letterarie, la tv crea a piacimento una gerarchia di uomini di lettere e s’inserisce brutalmente nella libera circolazione delle idee e nella concorrenza dei talenti”.

Anche perché: “la libertà di parola non è nulla, se non si ha la libertà di essere ascoltati”.

L’America nel nuovo corso è diventata un modello: “Entrata prima di altri Paesi nell’era dell’Ospizio, l’America è stata la prima ad aver capito la necessità di costruire falsi eroi, ma veri Malati modello. Le star del cinema sono eroi monodimensionali. La loro unica funzione è “apparire” importanti davanti alla videocamera. È a una dimensione anche un altro prototipo del Malato ideale dell’Ospizio americano, il “milionario”, che sa solo ammassare quattrini”.

Il linguaggio diventa uno strumento fondamentale per poter manipolare la comunicazione e rendere possibile la trasmissione di notizie offrendo al Popolo un’interpretazione confortante “Il pericolo insito nella parola “terrorista” risiede nel suo riferirsi a qualcosa di straordinariamente vago”.

L’importante è che i malati non si agitino mai che stiano tranquilli, nel frattempo, gli infermieri cercano di soddisfare i loro capricci tra i quali la ricerca di diritti sempre nuovi.

L’“agitazione” è il crimine più grave in un Ospizio” perché “l’Ospizio ha risolto la faccenda rendendo gradevole la vita all’uomo medio, alla testa statisticamente media dell’idra popolare. Lo ha fatto attraverso la repressione dei migliori: gli Agitati”.

Limonov cita anche alcuni esempi di agitati eroici tra cui “Mishima, cantore dei samurai nella società delle Honda e delle Mitsubishi, di milioni di virtuosi impiegati senza volto, era tra i migliori” oppure “L’Agitato Pasolini è stato fatto fuori su una spiaggia di Ostia”.

Questo libro pubblicato nel 1993 oggi esce per la prima volta in Italia a cura di Andrea Lombardi, con traduzione di Andrea Scarabelli e con introduzione di Alain de Benoist.

Dopo aver preso atto che in politica più che con l’appartenenza ideologica ci si identifica con il proprio genere o con preferenze e condizioni pratiche si giunge alla conclusione che “Nel mondo dell’Ospizio la storia si è fermata”.

Limonov sferra un colpo fortissimo alla cultura pop.

E d’altronde qualcuno doveva pur farlo prima o poi: “I mercanti discografici ne approfittano, tutti contenti, colonizzando radio e televisione con i popolari disc-jockey che dettano la moda. Si evoca retrospettivamente il grassoccio Elvis con il suo cappello e la chitarra, mentre seduce le ragazzine sulle spiagge californiane, ormai diventato il prototipo del macho”.

Elvis secondo Limonov sarebbe diventato un sex symbol per carenze della generazione precedente “A parte le soavi note da eunuco e i movimenti del bacino poco virili, Elvis era certamente un adolescente virile. Sarebbe diventato un “frocio” o un travestito se la generazione precedente, quella dei gangster e degli asessuati uomini d’affari, non gli avesse fatto un po’ di posto”.

E sui Beatles commenta: “All’infantilismo ereditato dalla beat generation si è aggiunto uno stile effemminato: nelle foto del tempo, il quartetto capellone dei Beatles evoca un gruppo di ragazzine spettinate, per non parlare della tenera soavità che emana dalle loro corde vocali”.

E poi continua: “Con le loro frangette da fanciulle castigate, i Beatles hanno girato tutto il mondo, esprimendo con massima precisione la struttura psicologica della nuova generazione europea: impotenza, femminilità, egoismo di comodo e illimitata emotività”.

Viene analizzato il conflitto generazionale: “È normale che la società sia ostile a ogni fenomeno nuovo. Per un certo periodo, i vecchi conservatori dei costumi dell’Ospizio hanno rifiutato di riconoscere i propri figli in questi hippies travestiti da ragazzine.

Fino a che l’Amministrazione non ritiene di essere in grado di riassorbire il fenomeno: “Ma poi, constatando che i loro figlioli, con le loro canzonette mielose e i loro abiti tinti a mano, facevano tanti quattrini quanto i loro papà negli uffici di avvocati, negli studi notarili e nei gabinetti di medicina, hanno tirato un sospiro di sollievo. Da quel momento in poi, nessun’Amministrazione ha avuto grossi problemi con i giovani in costume che torturavano gli strumenti musicali davanti a folle in delirio”.

Infatti:“Il messaggio in codice del pop è perfettamente compreso dalla società. Nero e milionario, Bob Marley poteva cantare e vendere dieci milioni di copie con I shot the sheriff e Revolution, senza che a nessuno venisse in mente di uccidere gli sceriffi o fare la rivoluzione. Ma quando i Sex Pistols uscirono nel 1975 con le loro magliette strappate dalla boutique Malcom MacLaren di King’s Road, i vecchietti dell’Amministrazione tremarono”.

Ma anche il movimento punk viene domato: “Grazie agli sforzi congiunti dello show business e di una parte dei punk stessi, il movimento è stato addomesticato e castrato nel giro di qualche anno. Pur mantenendo aggressivi simboli esteriori – sonorità metalliche, cuoio, metallo e vestiti neri (teatralità ad oltranza)”

Invece il movimento hippy viene condannato perché “si è espresso solo nelle fiacche rivolte giovanili degli anni Sessanta. A giudicarla oggi, al di là dell’illusione rivoluzionaria, questa rivolta è più simile a roba tipo Jesus Christ Superstar. La rivoluzione è una cosa seria, dev’essere portata avanti da artisti drammatici, non da buffoni da cabaret. Ebbene, gli hippies erano tutti cabarettisti, ad eccezione di Charles Manson. Quest’assassino è stato forse il solo vero uomo nel movimento hippy”.

Il saggio di Limonov denuncia la svirilizzazione dell’uomo nelle rockstar degli anni 80: “Le nuove star e superstar del pop anni Ottanta si avvicinano a Topolino, Batman, Paperino, Superman, senza contare i personaggi del Mago di Oz”.

Limonov sottolinea che “Nella nuova macina delle rockstar, l’uomo è completamente azzerato” e continua: “l’ET travestito Michael Jackson e il volgare latin (anti)lover Piccolo Prince (snodato e circondato da ballerini “froci” travestiti da teppisti) sono vecchie signore dei tempi nuovi”.

L’analisi dei rapporti con le nuove generazioni è impietosa ma puntualissima: “La virilità è bandita perché rappresenta qualità inutili e ostili al modo di vita dell’Ospizio: un umore bellicoso, l’indipendenza mentale, la dignità. Sono pericolose per la società odierna, il cui scopo è distrarre i giovani e farli passare senza perdite di tempo né troppo rumore nelle acque tranquille della trentina”.

Quello che più tocca è il fatto che il libro ha mantenuto questo livello di attualità pur essendo stato scritto nel 1993 e questo depone a favore della profondità delle tesi e della portata profetica dello scritto.

Limonov non rinuncia a farsi domande per riuscire a disinnescare gli effetti più drammatici ed estintivi del rapporto che si è generato tra infermiere e paziente all’interno dell’Ospizio occidentale.

Perché sorga un mondo migliore e per affrontare le grandi questioni della società, (ambiente, sovrappopolamento), secondo l’autore “Oggi deve nascere una nuova morale, una morale della responsabilità. In caso contrario, il suo avvento sarà solo rimandato, ma la sua natura si rivelerà più violenta”.

Perché l’unico modo per evitare di tornare nuovamente a vivere sugli alberi è quello di costruire un mondo in cui sia valsa la pena di esserne scesi.

Carlo Tortarolo

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Eduard Limonov, Grande ospizio occidentale, Bietti 2023, pp. 233, € 21,00

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