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Elizabeth Strout. Lucy davanti al mare

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Una scrittrice realista come Elizabeth Strout, la Elena Ferrante del Maine – il paragone la lusingherebbe molto, ne sono sicuro – attenta alle vicende familiari ma con lo sguardo aperto sul mondo, prima o poi non poteva non fare i conti con l’epidemia del Covid. Chi ha seguito negli anni la fortunata serie di Lucy Barton, l’alter ego della Strout che nel cuore dei lettori ha preso il posto dell’arcigna Olive Kitteridge (premio Pulitzer nel 2009), conosce bene i tratti di questa donna di mezza età, nata povera e partita da un paesino del Midwest per inseguire la sua vocazione per la scrittura. Fragile e al tempo stesso risoluta, madre di due figlie, moglie divorziata, disillusa quanto basta ma col cuore grande, in questo quarto episodio Lucy la troviamo alle prese con la sfida più difficile della sua vita: salvarsi la vita. È il 2020 e a New York comincia a diffondersi un virus sconosciuto che incute tanta paura. Di fronte al mistero della nuova malattia, alle incertezze legate alla sua evoluzione, alla forza distruttiva che mina dall’interno anche le relazioni più stabili, non rimangono che la prudenza, il coraggio, l’abbandono all’amore.

I protagonisti della storia sono ancora loro, Lucy e il suo ex marito William, che da esperto uomo di scienza fin da subito intuisce la portata del flagello inarrestabile. Il contagio, i morti, le vecchie convinzioni: l’onda travolge qualunque appiglio, semina zizzania, insinua dubbi, rimette in discussione, seleziona le priorità. Il terrore, la resistenza, la catarsi. Tutto potrebbe andare molto peggio, direbbe il Bascombe di Richard Ford. Lucy davanti al mare è romanzo sulla taumaturgia dell’amore e sulla speranza. Una storia malinconica e lucente che conclude, almeno per il momento, una serie tirata un po’ per le lunghe. To be continued (8/13/2024).

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