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Emanuele Pettener. Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante

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La famiglia è il mondo in cui Fante sviluppa la sua poetica, costituisce il suo epos e il padre è l’eroe di questo epos. Rabbia, umiliazione, amore: i personaggi di Fante li sperimentano in gran parte all’interno della famiglia: e rabbia, umiliazioni, e amore sono ciò di cui l’autore John Fante ha bisogno per perseguire la sua idea di letteratura, ovvero una scrittura che sia calda, viscerale, ormonale. Quindi, malgrado alcuni critici e lettori siano convinti del contrario, la famiglia non è il fine di un’esigenza autobiografica bensì lo strumento di un’esigenza estetica.

Prende l’abbrivio così, con un fondamentale rovesciamento di una visione lungamente accettata dalla critica di ogni tempo Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo – I romanzi di John Fante di Emanuele Pettener.

Sconfessando l’idea di fondo di una assoluta predominanza dell’aspetto autobiografico – che molti critici vorrebbero confessionale e di giudizio morale tra le pagine dei romanzi dello scrittore americano – Pettener getta oggi nuova luce sulle ragioni dell’inspiegabile indifferenza con cui vennero accolti grandi romanzi diventati poi nel tempo veri classici come Aspetta primavera, Bandini, Chiedi alla polvere, La confraternita dell’uva.

Che molto parta da un substrato di tenaci legami familiari, nelle opere di Fante, è inconfutabile: ma Pettener invita a indagarne ogni aspetto a evitare che si arrivi a pensare di ripiegamento ombelicale, perché non si trasformi in limite, peggio, in esclusiva chiave di lettura.

Bene ha fatto Oligo Editore a proporre un’edizione nuova, aggiornata e ampliata, di questo saggio di Pettener: docente di Lingua e Letteratura Italiana alla Florida Atlantic University di Boca Raton, già autore di numerosi saggi e due romanzi – Floridiana e Giovani ci siamo amati senza saperlo (Arkadia Editore) – lo scrittore mestrino affronta con rigore l’opera omnia del romanziere americano in un omaggio sentito, a restituirgli la posizione che gli confà, dopo i tanti anni di oblio che hanno preceduto i riconoscimenti internazionali.

Una fama tardiva, quella di Fante, arrivatagli finalmente anche per la figura tracciata in modo mirabile di Arturo Bandini, indimenticabile personaggio che incontriamo ancora ragazzino guardare con occhio trasognato a quell’America in cui il padre Svevo (singolare e significativa scelta, questa del nome) cerca la sua piccola fortuna. Non coltiva sogni di gloria, Svevo, muratore emigrato nel Colorado degli anni Venti del secolo passato, si accontenterebbe di uscire dai debiti accumulati negli anni.

Altre sono invece le ambizioni del figlio Arturo, che vorrebbe innanzitutto chiamarsi John, John Jones a dirla tutta, per entrare a far parte di diritto di quella vita americana che immagina dorata, intrisa di valori al limite dello stereotipo (la sana famiglia, un’abitazione dotata di tutti i comfort osannati nel periodo del boom economico, un’immagine socialmente approvabile, insomma) e che gli rimane proprio per nascita e cognome rivelatore di troppo recente immigrazione, inaccessibile.

Sia il padre che il figlio aspettano la primavera, come da titolo del primo romanzo: perché si sciolgano i ghiacci del Colorado e possa ricominciare a lavorare sulle impalcature per guadagnarsi il pane quotidiano, Svevo; per iniziare di nuovo le partite di baseball Arturo, con l’aspirazione momentanea di diventare lui, italiano, una stella di un gioco – feticcio che più americano non c’è.

La vera vocazione di Arturo gli si farà più chiara solo in seguito – e quindi nei successi tre romanzi che attraversa – quando lo ritroviamo, ventenne ambizioso e squattrinato, a sognare di diventare scrittore di successo.

È ovviamente qui che si innesca il facile equivoco, che Pettener sconfessa subito: John Fante, scrive, non è il suo ventenne, squattrinato romanziere in cerca di fortuna Arturo Bandini, o perlomeno quando ne scrive non lo è già più. Il suo creatore attraverso gli anni ha acquisito coscienza, e questa coscienza si manifesta attraverso l’umorismo col quale egli guarda a se stesso nel passato.

Lontanissimo dal sarcasmo acre di Bukowski (che pur si disse molto influenzato dalla sua scrittura), Fante intreccia comico e tragico nel senso pirandelliano, rimarca Pettener: si sofferma sulla realtà non per giudicarla ma per coglierne le contraddittorietà; dalla ricezione di queste contraddittorietà scaturiscono riso e amarezza; nella scrittura di Fante non troviamo sdegno quanto piuttosto compassione per la condizione umana.

Pettener esplora anche il rapporto del personaggio di Arturo con il genitore nell’ottica della pietas, tracciandone convincenti paralleli con Don Chisciotte e altre opere e ravvisando, nella sostanziale condizione esistenziale dei personaggi, una inattesa analogia tutta da leggere con il capolavoro di Hamsun, Fame.

Appassionato tributo all’opera di Fante, il saggio di Pettener, esaustivo e audace, suggerisce ipotesi nuove e ragionate, che aprono molte porte ad alternative, altamente suggestive interpretazioni.

Anna Vallerugo

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