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Enzo Palladini. Casagrande: all’inferno e ritorno

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Per tutti noi calciofili che tra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del secolo scorso eravamo adolescenti o poco più, il nome di Walter Casagrande Junior è indelebilmente associato alla lunga, riccia criniera che l’attaccante brasiliano sfoggiava con orgoglio sui campi di serie A e B di tutto lo stivale, nonché alla sua espressione da duro con la quale si distingueva da una pletora di colleghi bomber dotati di più rassicuranti fattezze. Va da sé che, considerando il mero fatto calcistico, in quell’epoca d’oro scintillante per il pallone italiano la sua stella risultasse irrimediabilmente oscurata da quella di numerosi altri fuoriclasse che, al contrario di lui, si esibivano ogni domenica o mercoledì in palcoscenici metropolitani ed internazionali di ben altra rilevanza; nondimeno, la pregevolezza di alcune sue giocate e il singolare modo di “tenere il campo” risultano ormai scolpite nelle nostre memorie di senescenti e post giovani, rendendolo per molti una figura, se non mitica, quantomeno assai famigliare.

Ma quanti di noi, seppur in un’epoca di comoda e presunta onniscienza promessa da internet e da centinaia di siti specializzati, conoscono davvero la sua storia dentro e, soprattutto, fuori dal rettangolo di gioco? E perché, appunto, la sua storia merita di essere conosciuta rispetto a quella di tanti altri giocatori dotati di un’aura sportiva in apparenza assai più significativa?

Per rispondere a queste domande, è arrivato da poco in libreria il prezioso “Casagrande: all’inferno e ritorno” di Enzo Palladini (Edizioni inCONTROPIEDE, 2022, pp. 157, € 19,50), un libro che fa finalmente piena luce sulla vicenda del bad boy di San Paolo, che in anni recenti si è già guadagnata significative attenzioni da parte di tutti i mass media brasiliani grazie ai volumi, inediti in Italia, “Casagrande e Seus Demonios” e “Socrates & Casagrande Uma Historia de Amor”, scritti dallo stesso protagonista in collaborazione con il noto giornalista Gilvan Ribeiro.

A partire dalla turbolenta infanzia vissuta nel bairro della Penha (uno dei tanti della megalopoli paulista) fino alla terrificante discesa negli inferi che ne ha caratterizzato la cosiddetta, recente età di mezzo, questo agile volumetto ci fa entrare nel mondo, pubblico e privato, di uno dei più ineffabili fuorilegge che la storia del futbol (come lo chiamava l’indimenticato Gianni Brera) ricordi. Un personaggio, prima ancora che un calciatore, il cui vissuto ben si presterebbe a qualche significativa produzione cinematografica o, dati tempi, a un’opera da plot seriale di sicura presa collettiva. Precisiamolo subito: ripercorrendo il catalogo di eccessi, ascese e cadute del Casão (il nomignolo con il quale veniva appellato dai suoi fedelissimi tifosi del Corinthias), l’autore non si presta mai ad un’operazione di facile apologia, tesa a celebrare una “dannazione” come tante. No, con un rigore d’indagine storica ed un (giusto) piglio sintetico, Palladini, attenendosi ad un principio di sviluppo diacronico estremamente performante nell’economia della narrazione, mette a fuoco la parabola di un uomo e di un atleta passato attraverso le fiamme più nere dell’inferno.

Idolo delle folle in giovanissima età, mancata stella della nazionale verdeoro ai mondiali messicani del 1986, giocatore che, pur vittima di drammatici infortuni, è stato in grado di farsi apprezzare quasi sempre da compagni e mister, Walter Casagrande Junior, senza le scarpette da calcio ai piedi, è stato davvero molto, molto altro. Un autentico ribelle, innanzitutto, che fin dall’adolescenza si è scontrato con la terribile autorità militarista brasiliana contribuendo, con l’adesione alla Democratia Corinthiana, non soltanto a migliorare il trattamento riservato ai calciatori, ma anche al ritorno di una vera democrazia nel suo Paese. Amante viscerale della musica rock e del teatro, nonché telecronista e opinionista apprezzato (nonostante la sua pressoché inesistente formazione scolastica) per il suo linguaggio ricercato e per le sue opinioni mai banali, ha contraddetto nel corso della sua spericolata esistenza il luogo comune dello sportivo privo di personalità e grandi contenuti espositivi. E poi, beh, sì, “sperimentatore di drammi umani” come ce ne sono stati pochi nel mondo dello sport: dalla tossicodipendenza, intervenuta a fine carriera e vinta dopo una lunga, estenuante battaglia, all’alcolismo, fino ad arrivare ad una drammatica fase di “possessione” psicologica dalla quale è riuscito a venire fuori con immenso coraggio, oltre che con ripetuti trattamenti psichiatrici.

Insomma, in queste 157 pagine aspettatevi di trovare un “romanzo” davvero unico e meritevole di essere letto, non soltanto dagli amanti del calcio, ma da ogni lettore che in un libro si aspetta di trovarsi di fronte ad una vicenda umana di spessore tangibile, in grado di rimanere impressa nella mente e nel cuore.

Dategli fiducia, non ve ne pentirete.

Domenico Paris

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