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Estranei. Un anno in una scuola per stranieri. Intervista ad Alessandro Gazzoli

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Per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo  Alessandro Gazzoli da poche settimane in libreria con “Estranei. Un anno in una scuola per stranieri” pubblicato da Nottetempo.
Alessandro Gazzoli è nato a Edolo, in Valcamonica, nel 1986. Dopo la laurea e il dottorato in Lettere, insegna da alcuni anni in un centro di istruzione per adulti in provincia di Trento. Nel 2022 ha pubblicato il saggio Auto da fé. Rileggere Giorgio Manganelli (Mimesis).
Con questo ultimo libro Alessandro Gazzoli racconta la sua esperienza di insegnante in un centro di istruzione per adulti frequentato in prevalenza da immigrati e riesce a portarci dentro le vite degli altri, che smettono di essere solo degli “estranei” agli occhi di chi li guarda.

Alessandro hai scritto un libro molto interessante a partire da una esperienza molto personale, legata alla tua attività di insegnante di italiano in un Centro per l’Educazione degli Adulti della provincia di Trento. A partire da questo ci vuoi spiegare il percorso nel mondo della scrittura, per poi portarci dentro l’officina di lavorazione del libro e, infine, raccontare anche come sei arrivato a Nottetempo?


In realtà devo invertire i termini della domanda, perché prima è arrivata la richiesta da parte di Nottetempo di scrivere il libro, e solo dopo, a contratto firmato, la stesura vera e propria. Il direttore editoriale della casa editrice, Alessandro Gazoia, aveva letto un articoletto che avevo scritto sulla mia esperienza di insegnamento di italiano agli stranieri, e ha pensato che quelle poche pagine potessero diventare un libro. All’inizio ho tentennato: un libro sulla scuola? Ancora? Non ne abbiamo abbastanza di prof-scrittori? Ma Gazoia, come spesso gli capita, ci ha visto lungo, e nel giro di pochi mesi il libro era fatto. Per quanto riguarda la scrittura mi è venuto abbastanza naturale scriverlo così: con uno stile ironico, poco retorico, ma non per questo sciatto o superficiale. Spero che chi lo legge possa confermarlo. Come modello avevo in mente alcuni libri sulla scuola (Starnone senz’altro), ma pensavo soprattutto a due testi che raccontano molto bene una situazione di estraneità davvero particolare per chi scrive: Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e La giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino. Se dovessi indicare i riferimenti letterari del mio Estranei, citerei senz’altro questi due libri. 

 
Usando spesso l’arma della ironia, con delicatezza e profondità, metti il lettore di fronte a un problema atavico, diventato di stretta attualità di questi tempi: la convivenza delle differenze. Entrando nel dettaglio del libro e delle storie raccontate, vogliamo anche spiegare cosa significa insegnare in una classe dove convivono nazionalità e culture che sembrano incompatibili tra loro?

Sì, il cuore del libro è proprio questo: parlare di che cosa significa passare molte ore al giorno in una classe eterogenea, composita, dove gli studenti e le studentesse differiscono non solo per la lingua o per il colore della pelle, ma anche per età, paese di provenienza, religione, abitudini, valori in senso stretto e lato. Insegnare qui vuol dire soprattutto fare i conti con continui cortocircuiti che si innescano tra paradigmi culturali a volte davvero incompatibili tra loro: il tutto a partire – devo ammetterlo – dagli inciampi della mia impostazione di insegnante che, volente o nolente, è plasmata da un modello scolastico occidentale ed eurocentrico. Non arrivo a flagellarmi, ma cerco di comprendere che cosa questo schema mentale inestirpabile possa dirci di noi e del nostro modo di stare al mondo. E, infine, stare in queste classi significa fare i conti anche con gli aspetti che possono sembrare più sgradevoli: per esempio il razzismo che emerge anche tra i corsisti stessi, o alcune uscite come «Hitler ha fatto bene a sterminare gli ebrei», «È una bella giornata perché finalmente è morto Naval’nyj», «Malala è un’agente pagata dall’Occidente per rovinare le donne pakistane». Se vogliamo parlare degli altri, se vogliamo raccontare l’immigrato senza farne un santino, bisogna anche accettare – e ascoltare – proprio ciò che ci pare inammissibile.

 
Senza troppa retorica e con estrema oggettività vengono raccontate storie e diverse culture e tradizioni che si ritrovano a convivere tra di loro in una classe. Emerge tanta umanità, senza che vengano mai trascurate le singole individualità. Spieghiamo ai lettori di Satisfiction cosa succede quando si mettono insieme destini e idee che altrove non si incontrerebbero mai e cosa di positivo scaturisce da questi incontri?

 
Se appunto smettiamo di considerare l’altro come uno stereotipo o come una proiezione ideale delle nostre buone intenzioni, finalmente riusciamo a vedere la persona oltre i luoghi comuni, l’essere umano con i suoi pregi e le sue miserie. È solo così, credo, che possa emergere l’umanità di cui parli. Nel libro, cerco proprio di raccontare persone in carne e ossa, e di dare corpo e voce alle storie che ognuno porta con sé. Insegno a persone adulte, quindi con una vita già avviata, che per ragioni molto diverse si trovano a convivere dentro un’aula scolastica: c’è chi vuole dare una svolta alla propria esistenza, chi è obbligato a stare in classe, chi non sa ancora che cosa aspettarsi dal futuro. Gli incontri nascono proprio da questi intrecci biografici, e io ho solo avuto la fortuna di poterli raccontare.

 
Buona lettura di “Estranei. Un anno in una scuola per stranieri ” di Alessandro Gazzoli.

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