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Fabio Genovesi. Il calamaro gigante

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«Del mare non sappiamo nulla.

Nulla di nulla, eppure il mare è quasi tutto.

All’inizio c’era solo lui, poi ha concesso un po’ di spazio secco e polveroso alla terraferma, e noi subito superbi a dire che il centro del mondo è New York o Pechino, come una volta Babilonia, Atene, Roma, Parigi… invece il centro del mondo è il mare. Occupa i tre quarti del pianeta, che noi chiamiamo Terra, ma se fossimo onesti dovremmo chiamarlo Acqua.»

Con Il calamaro gigante, Fabio Genovesi riesce a intrecciare e a sciogliere magistralmente un groviglio di storie mitiche. Il loro bandolo è da ricercarsi nel rapporto insincero che noi tutti abbiamo instaurato con la natura, indicandola da una distanza di (in)sicurezza appunto come “natura”, scordando che siamo parte di essa e che essa è il nostro specchio e viceversa.

La sensazione dominante che ho provato mentre leggevo l’ultima fatica letteraria di Genovesi, è stata proprio quella di mirarmi in uno specchio d’acqua: ho immaginato di vedere il riflesso della mia faccia sorridente, che man mano si deformava in una smorfia di stupore, mentre la superficie prendeva ad agitarsi finché non affiorava da lì sotto la punta di un tentacolo, piegata in un rapido saluto prima di inabissarsi di nuovo e, forse, per sempre.

Non è un romanzo, Il calamaro gigante, né un libro di racconti o un saggio. È tutte e tre le cose insieme e nessuna di tutte e tre.

È un monito grande quanto la terra e profondo come il mare. Un richiamo alle nostre responsabilità e, nel contempo, una esortazione a ispezionare gli abissi inesplorati del mondo, cominciando dai recessi della nostra realtà quotidiana. Un invito ad avventurarci fra le storie, vere o di fantasia, che come soffi di vita sanno disegnare l’unico senso possibile, l’unica verità inimmaginabile fino al momento in cui non decide di mostrarsi in tutto il suo splendore. Impensabile come un calamaro gigante finché non viene avvistato per la prima volta da qualcuno.

E ad avvistarlo non saranno certo gli accademici, dalle finestre delle loro camere ben riscaldate e colme di libri, ma gli esploratori, coloro che hanno creduto a un sogno e di esso ne hanno fatto una vela per sfidare il vento, e i pescatori perché «pescare non è una fuga dalla vita, ma spesso è una più profonda immersione in essa», come ci disse lo scrittore della natura Harry Middleton.

Ne Il calamaro gigante, la storia di una nonna vedova, che aspetta il fantasma-ricordo del marito nella sua abitazione di montagna mentre frigge le patate per il nipotino, si mischia a quella del capitano Bouyer, il quale guardando nel cannocchiale «resta immobile più della sua nave, quando capisce che la cosa che sta cercando all’orizzonte è proprio l’orizzonte intero».

Francesco Negri, un prete quarantenne di Ravenna vissuto nel Seicento, dopo aver terminato la lettura di Storia delle genti settentrionali di Olaus Magnus, anziché cedere alla comodità di una vita tranquilla in una bella casa, decide di affrontare un lungo viaggio, a piedi e su carri, su barche e su navi, che lo porterà fino in cima all’Europa, lassù all’estremo nord, «proprio nel cuore spietato dell’inverno».

La storia del vescovo di Bergen, Erik Pontoppidan, la cui penna viene spinta verso il foglio bianco da un tentacolo gigante, si congiunge con quella di uno spazzino di Pontedera, Luciano Rossi, uno dei raccontatori più sublimi del pianeta: «una fantasia sfrenata, una lucidità mentale traballante, che gli permetteva di divagare fino a territori imprevedibili, e una tendenza patologica alla bugia».

La storia di Mary Anning, sopravvissuta a un fulmine quando aveva appena un anno di vita, che sacrifica la propria esistenza cercando fossili e tesori preistorici sotto le scogliere a strapiombo, iniziando così una serie di scoperte incredibili, si allaccia a quella di Pierre Denys Montfort, esperto di molluschi incaricato di proseguire l’opera del cosmologo Buffon per fare questo dovrà abbandonare la sua amata costa per trasferirsi a Parigi, rinchiudendosi tra le mura dell’università.

Le avventure del piccolo Tommy Piccot, che mette nelle mani di Moses Harvey il tentacolo di un pesce-mostro sino a quel momento ritenuto leggendario, trova una successione di spiazzante continuità con una voce calda uscente dall’autoradio, la quale racconta la vicenda di un cinquantaduenne che ha sorpreso Babbo Natale nel suo appartamento.

Fabio Genovesi, con la sua rara capacità di farci ridere e piangere nello stesso tempo, senza prendersi mai troppo sul serio, eppure parlandoci con un rigore in grado di disorientare, ci accompagna in un viaggio iniziato dai dinosauri – regnanti sul nostro pianeta per quasi duecento milioni di anni – fino ad arrivare allo spettacolo raccapricciante delle isole di plastica sparse per gli oceani del mondo.

La prima venne scoperta tra il Giappone e le Hawaii da Charles Moore, oceanografo statunitense, nel 1997. Di ritorno da una regata, si imbatté in un’area composta totalmente di rifiuti plastici così ampia che gli ci volle una settimana per attraversarla.

«L’isola di plastica nel Pacifico è la più grande e famosa, ma ce ne sono altre quattro in giro per gli oceani, una pure nel Mediterraneo tra l’Isola d’Elba e la Corsica. A formarle sono più di cinque trilioni di pezzi di plastica che galleggiano in superficie, ma si stima che sui fondali ce ne sia più del doppio. Pure là nelle tenebre dove nuota il calamaro gigante, e ancora più giù: il punto più profondo dell’oceano è la Fossa delle Marianne, e il punto più profondo del punto più profondo si chiama Abisso Challenger, sta a quasi undicimila metri e praticamente è un altro pianeta. Infatti ci è arrivato di recente un sommergibile in lega di titanio che sembrava un’astronave, e non poteva restarci a lungo ma ha fatto in tempo a trovarci nuovi molluschi misteriosi e altre forme di vita sconosciute. Insieme a un sacchetto di plastica e alle confezioni di qualche merendina.

Merendine, a undicimila metri.»

Dunque Il calamaro gigante non è solo un insieme di storie che riescono a parlare con la schiettezza tipica di Fabio Genovesi alla storia di ognuno di noi.

E non è solo un romanzo che ha per protagonista un mostro che vive negli abissi dell’oceano e delle nostre paure.

L’ultima opera dello scrittore di Forte dei Marmi è una preghiera rivolta all’umanità, affinché non smarrisca mai il desiderio di sognare.

Quel desiderio di vivere al di là dei nostri confini terrestri.

È una finestra che non affaccia solo sul mare, sulla terra o sul cemento. Volendo, possiamo spalancarla su un paesaggio sconfinato, oltre la ragione. Sul nostro cuore che inizia a battere forte quando osserviamo con occhio diverso, come se fosse la prima volta, le meraviglie del mondo. Nonostante tutto. Nonostante il grigiore di questi tempi. Nonostante quell’ombra nera nel centro dell’acqua cristallina che continua a chiamarci per nome, mentre ci voltiamo dall’altra parte.

Roberto Addeo

Recensione del libro Il calamaro gigante di Fabio Genovesi, Feltrinelli, 2021, pagg. 144, €14,00

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