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Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre. Intervista a Katia M.

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Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre (VandA edizioni) di Katia M. racconta una storia vera di violenze perpetrate da un padre sulla figlia per quattordici lunghi anni, ma soprattutto racconta del riscatto di una donna che è riuscita con incredibile coraggio a rompere il muro di silenzio che ha circondato la sua infanzia negata. Gli abusi sessuali sono iniziati quando Katia aveva quattro anni e proseguiti in un crescendo di perversione fino a quando, raggiunta l’adolescenza, è venuto a galla in seguito alla denuncia della stessa vittima, tutto lo squallore di una vicenda assurda accaduta in un piccolo paese ligure come assurde soltanto possono essere tutte le storie che riguardano la violenza sui minori. Moltissime delle quali rimangono purtroppo sommerse. Si tratta di storie scioccanti che troppo spesso non trovano voce. Questa di Katia dopo essere finita al centro di una vicenda giudiziaria complessa che ha portato alla condanna del padre-bruto, è una di quelle che fortunatamente grazie all’eroismo della persona offesa si è potuta conoscere e costituisce oggi un esempio di come se ne possa uscire, portando un messaggio di speranza alle vittime che per paura o vergogna non hanno trovato ancora la forza di raccontare.

Katia, che ha deciso di pubblicare il suo libro tacendo il proprio cognome per tutelare la figlia, non risparmia nessun particolare della vicenda che l’ha vista protagonista ma ce ne parla con una dignità rara e vitale che trasforma il male in bene con parole necessarie: Usare il male che mi è stato fatto per diventare una persona migliore anziché consumarmi nell’odio o nell’autodistruzione è stata la mia regola, la mia filosofia. Se dal male nasce altro male non si arriva da nessuna parte; ma se dal male nasce anche solo una briciola di bene questo sarà duro come l’acciaio, perché temprato dalle difficoltà e dalla sofferenza, e bisogna usarlo per generare altro bene.

Storie come quelle di Katia si verificano sempre e ovunque, e sarebbe bello pensare ci possa essere anche sempre qualcuno che si accorga che “c’è qualcosa che non va”, qualcuno in grado di vedere un po’ più in là e possa così denunciare, rompendo il circolo vizioso che vede le vittime isolate da tutto e tutti. Servirebbe forse una coscienza collettiva più sviluppata, una responsabilità ancora maggiore e solida e la voglia di urlare, non solo da parte della vittima. Ciò che fa più paura di queste storie, come si apprende dal libro edito da VandA edizioni, è il silenzio che le circonda, come una cortina di nebbia attraverso cui è difficilissimo vedere. Vicki Satlow, agente letterario ed editore, con la sua casa editrice ha avuto a sua volta il coraggio di dare voce a questo memoir perché è necessario che queste storie trovino posto nel mondo editoriale potendo essere lette da chi può trovare in esse un motivo in più di forza per reagire. Chi è vittima di violenza deve combattere molti mostri prima di arrivare ad ottenere giustizia sconfiggendo il proprio carnefice: la confusione, la vergogna e il senso di colpa che porta a mentire a se stessi, ma soprattutto la solitudine. Come se non bastasse deve fare i conti – se trova il coraggio di denunciare e venire allo scoperto – con la reazione di certa “gente” che per ignoranza non è in grado di capire che la vittima è soltanto tale e la vergogna deve appartenere esclusivamente agli aguzzini. 

Il paese si divise a metà, chi diceva che non dovevo parlare, che avevo svergognato la mia famiglia inutilmente, che visto che ormai aveva smesso potevo stare zitta; chi invece mi difendeva e diceva che avevo fatto bene a reagire e a denunciarlo. Chi vive in paesi piuttosto piccoli può immaginare quanto si parlò della vicenda. Io non volevo nemmeno uscire di casa, mi stavo chiudendo a riccio, nel mio dolore e col fastidio che chiunque incontrassi ormai sapeva di me.

Non si può mai tacere la violenza se si vuole ricominciare, come ha fatto Katia, a vivere per davvero e il coraggio di denunciare con tutto quello che di molto arduo può conseguire – quel coraggio che sempre troppe poche vittime riescono a trovare – è una lezione importante che tutti abbiamo il dovere di imparare.

Silvia Castellani

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Di seguito l’intervista a Katia M., autrice del libro Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre (VandA edizioni, 2020)

La scrittura ha avuto anche un ruolo terapeutico per lei. Cosa ha provato quando ha terminato di mettere nero su bianco la sua storia e com’è nata la scelta di pubblicarla?

Devo dire che scrivere la mia storia ha rappresentato per me un passaggio di crescita fondamentale per potermi allontanare dal mio passato cercando di prendere le giuste distanze da quello che mi è successo; quando, dopo la bellezza di ben 6 anni, sono arrivata all’ultima pagina mi sono sentita come se mi avessero tolto un peso dalle spalle, come se non fossi più sola a portarlo. L’idea di pubblicarla invece è nata da un incontro con la mia amica, Caterina dell’Aied, perché stavamo parlando di come mi sarebbe piaciuto usare questa mia esperienza per aiutare altre persone, con storie simili alla mia, a venirne fuori. Avevo già iniziato a scrivere qualche pagina e questa idea mi ha dato la forza di arrivare alla fine, anche quando mi veniva la nausea nel farlo.

C’è una parola semplice che racchiude il senso di tutte le esperienze dolorose che ha vissuto, uno spartiacque tra un prima e un dopo, tra il calvario e il ricominciare. La parola è “basta”. Ci vorrebbe raccontare come ha trovato la forza di dire basta?

Dopo anni di dolore e rabbia repressa qualcosa dentro di me ha rotto gli argini, e l’ho affrontato con un coltello da cucina piangendo e minacciandolo che se mi avesse ancora toccata l’avrei ucciso; qualcosa deve averlo spinto a prendermi sul serio perché da quella volta ha smesso, avevo 16 anni. Credo che la forza sia nata dalla rabbia e dall’odio e dal mio desiderio di essere libera finalmente.

Nel libro compare la parola destino, forza superiore che non si può controllare. Lei a un certo punto ha preso in mano la sua vita per ricostruirsi la possibilità di una felicità che le era stata negata. Quanto conta il destino nella vita delle persone e quanto il libero arbitrio?

Io credo che certe cose accadano perché devono accadere ma che sia nostra responsabilità fare di tutto per trarre il meglio dalle situazioni; volevo disperatamente avere una vita normale e piano piano, con difficoltà, mi sono ripresa quello che lui mi aveva tolto. La libertà del mio corpo, una sensazione bellissima.

Nessuno si è mai accorto di quanto le stava accadendo da bambina, eppure c’erano stati – come lei stessa racconta nel libro – dei segnali sospetti riguardanti il rapporto che suo padre aveva instaurato con lei…

Qualche mese fa, quando ormai il libro era stato pubblicato, ho scoperto una cosa che ritengo pesantissima da digerire: prima di morire una zia ha raccontato a mia madre che anni prima mia nonna le aveva detto di essersi accorta di qualcosa quando io ero ancora una bambina. Pare che avesse chiesto spiegazioni a mio padre e che lui l’avesse minacciata di tacere, altrimenti avrebbe ammazzato lei e mio nonno. Così, per paura, non ha detto niente … non so se lo disse al nonno, ma a mia madre non raccontò nulla. Per paura, ignoranza ed omertà mi hanno lasciata sola, in mano sua.

Il coraggio non è assenza di paura ma forse è l’acquisita consapevolezza che esiste qualcosa di più forte della paura. Se dovesse definire questo qualcosa, come lo esprimerebbe?

Rabbia sicuramente, quella che mi ha permesso di resistere e di non uccidermi. E che provo ancora oggi se penso al mio passato.

La sua voce è una voce che nessuno ha potuto più fermare, che si è alzata per raccontare tutto quello che pretendeva di essere liberato. Cosa vorrebbe dire a chi ancora non ha potuto trovare la voce per farsi ascoltare?

Vorrei dire a chi ha vissuto o sta vivendo un’esperienza simile alla mia che tacere è un modo per far vincere chi ci fa del male; tenersi dentro un dolore così grande è devastante. Queste cose sono scomode da sentire, spesso le persone si girano dall’altra parte. Dobbiamo invece parlare e denunciare per proteggere innanzitutto le vittime e poi per far crollare il muro dell’ipocrisia che vuole vedere le famiglie come nelle pubblicità, che non vuole sentir parlare di pedofilia e di altri orrori simili. So che si provano vergogna e paura a farlo ma in questo modo si può ricevere aiuto ed avere la possibilità di ricominciare a vivere.

L’amore e l’amicizia di due persone (non di famiglia) all’epoca dei fatti hanno avuto un ruolo determinante in questa vicenda di forza di ribellarsi, di fare uscire la rabbia repressa per troppo tempo. Ci vorrebbe brevemente parlare di queste due “luci” incontrate nella sua vita?

Una di queste “luci” è ancora oggi con me, insieme abbiamo passato momenti difficili e momenti bellissimi; mi è stato accanto fin da subito ed è stato per me un enorme sostegno. Nei momenti più bui, quando vedevo tutto nero ed avevo lo schifo di me stessa, lui mi ha fatto vedere che c’è sempre qualcosa di positivo per cui vale la pena resistere; mi ha fatto pian piano capire che non ero io quella sporca, quella che si doveva vergognare. Anche se la vita di una coppia non sempre è facile il nostro legame resiste da allora e di questo sono molto felice. L’altra “luce” purtroppo oggi non c’è più … l’amicizia nata tra noi per me è stata preziosa: lei era più grande di me, aveva più esperienza. Sentirla parlare della sua esperienza con suo padre mi ha aperto un mondo, sapere che se ne poteva parlare è stata una rivelazione. Ho iniziato a pensare che forse potevo dirlo a qualcuno, confidarmi; non era successo solo a me. Poi è stata lei a farmi conoscere suo fratello e in questo caso credo si possa parlare proprio di destino. Se penso al fatto che l’ho conosciuta per caso in biblioteca … proprio quel pomeriggio, essersi trovate lì nello stesso momento. E da lì la mia vita è cambiata.

Il suo libro è una testimonianza importante e necessaria come ha avuto modo di scrivere nella prefazione Patrizia Romito, docente di psicologia sociale presso l’università di Trieste e autrice di numerosi libri sulla violenza contro le donne. Ho trovato in questo testo un importante messaggio di speranza: liberarsi da un passato che parrebbe senza scampo è possibile, pur a caro prezzo, passando per la vergogna, la delusione, il senso di colpa e la solitudine. Cosa spera oggi Katia?

Innanzitutto che questo libro possa essere di aiuto a qualcuno, che la mia esperienza possa trasmettere un messaggio di incoraggiamento ad altre persone; dopodiché come tutti spero in un futuro sereno restando ben consapevole degli alti e bassi della vita. E di poter dare a mia figlia quell’aiuto a costruirsi il suo percorso di vita che a me è mancato.

Vorrei farle una domanda su sua madre che se ho ben compreso, lei continua a vedere. Nel libro sono riportati degli episodi difficili da digerire anche per chi legge a partire dal fatto che sua madre sostenne sempre suo padre durante il processo e dopo che a suo padre venne negata la grazia, tentò il suicidio, per l’uomo che le aveva “devastato” la vita. Uso la parola “devastato” riportata da lei stessa. Vorrei chiederle se lei è riuscita a perdonare sua madre, per non averla supportata sempre e per non essere riuscita a proteggerla quando ne aveva più bisogno.

Questa è una domanda che spesso mi faccio anche io; non so bene come descrivere il rapporto che ho con mia madre. Vedo in lei una vittima, anche se in modo minore, di quell’essere che è stato mio padre e suo marito. I meccanismi che si sono sviluppati all’interno della mia famiglia sono allucinanti. Mia madre è stata sminuita come donna e come madre dai suoi stessi genitori che non la ritenevano nemmeno in grado di occuparsi di me. Come donna da lui è stata trattata nel peggiore dei modi, a volte la picchiava. Nonostante quello che mi succedeva io provavo pena per lei, anche quando ero ragazzina e mi è sempre mancato avere un rapporto normale madre e figlia. Lui ha sporcato e rovinato tutto; fino al momento in cui mia madre lo ha saputo è stata anche lei una vittima. Poi mi ha dato un’enorme delusione, questo lo so bene e non posso dimenticarlo ma sono convinta che possa valere la pena salvare quel poco di salvabile che è rimasto dallo scempio della mia famiglia. Quando cerco di analizzare il nostro rapporto mi rendo conto che possa sembrare inspiegabile, ma è come se mi fosse rimasto dentro quel bisogno che avevo di lei quando ero una bambina, e piangevo tutte le sere fino ad addormentarmi perché lei mi mancava ed io non potevo vivere con lei.

Il dramma vero è che la vittima della violenza sessuale rischia di passare per colpevole ed essere lasciata sola. Lei accenna anche alle istituzioni nel suo libro dicendo che sono troppo poco presenti. Vorrebbe spiegarci meglio cosa intende, a chi si riferisce in particolare?

Quando sono andata a fare la denuncia inizialmente non mi hanno veramente creduto; lo capivo che sospettavano che mi fossi inventata tutto per qualche ragione, me lo hanno anche chiesto direttamente. L’atteggiamento è cambiato quando ho fornito delle prove, e poi quando mio padre ha confessato. Dopo sono rimasta sola, col mio compagno e gli amici, ma tutta la mia “famiglia” si è stretta intorno a lui; nessuno si è più preoccupato per me. Tanto per dire dovevo ancora finire il liceo, prendere la patente; teoricamente nel mio futuro avrebbe dovuto esserci l’università … Nessuno si è domandato se avessi i mezzi per sopravvivere, se ne sono fregati. E come i parenti queste domande non se le sono poste nemmeno le istituzioni, anche se avevo appena compiuto 18 anni non ero certo un’adulta autonoma ed autosufficiente. Se non ci avesse pensato il mio compagno come avrei fatto? Per finire devo dire che mio padre è stato aiutato dai parenti e persino dalla Chiesa. Numerosi preti si sono fatti avanti per aiutarlo, nello spirito e nel portafogli; mentre io non ho meritato tanto amore cristiano! Quindi il problema secondo me è alle radici stesse della nostra società, nel modo in cui vengono affrontate certe tematiche.

Si parla di Dio in questo libro; la nonna, una figura importante nella sua vita, era molto religiosa e la sera voleva dicesse le preghiere. Lei non confidava nemmeno a Dio il suo tormento, sapendo che lui sapeva. Così scrive. Lei oggi crede in Dio o forse dovrei chiederle in cosa e in chi crede dopo che la sua fiducia è stata ripetutamente tradita, dopo che ha dovuto mentire spesso come fanno i bambini vittime di violenza, per cercare di salvarsi?

Non mi definirei atea, resto convinta che ci sia un principio del bene come uno del male; nel corso degli anni ho letto e studiato molto di altre religioni e correnti di pensiero e mi sono convinta che nelle diverse società le religioni facciano un lavoro simile, cercando di gestire la paura della morte e dell’ignoto che accompagna gli uomini fin dalla preistoria. Quando ero bambina mi domandavo dove fossero Dio e Gesù mentre quel maiale si sfogava su di me; da ragazzina ho smesso di chiedermelo e chiedevo solo di morire; fortunatamente con l’età adulta ho raggiunto il giusto distacco ed una maggiore consapevolezza. Sicuramente resto incantata dalla meraviglia della natura ed è lì che vedo il sacro di questa nostra Terra.

(intervista a cura di Silvia Castellani)

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Il libro: Fai la brava. Se il mostro delle favole è mio padre (VandA edizioni) di Katia M., euro 15.90. Disponibile anche in e-book.

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