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Filologia fa rima con malattia?

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Ho appena terminato di leggere l’introduzione e alcuni degli apparati introduttivi di Poesia e Storia, coordinato da Niva Lorenzini e Stefano Colangelo uscito per la serie universitaria di Bruno Mondadori.

Ovviamente mi riservo di dedicare più tempo e attenzione al tutto, ma un’osservazione mi piace farla subito, poiché si è imposta alla mia attenzione con forza. Il testo si propone di analizzare e descrivere un lungo periodo della nostra storia letteraria, più o meno dall’inizio del Novecento ad oggi e lo fa dotandosi di un ricco apparato multimediale su Web.  Ottimo, ovviamente, com’è certamente vero che questo lavoro si presenta con una serie di altri pregi evidenti, primo fra tutti l’aver affidato a una serie di nuovi e giovani critici e poeti di stendere molti dei suoi capitoli, penso ad Annovi, e Carbognin, tra gli altri.

Ma ha anche un evidente, macroscopico difetto, che sembra quasi una rimozione freudiana, visto l’ambito strettamente ‘filologico’ in cui è nato. Alla faccia dell’apparato multimediale non una parola viene dedicata all’oralità in poesia, non una. Né a quella multimediale, ci mancherebbe. Si parla di Rete, di blog letterari, si accludono, (udite è il caso di dirlo, udite!) file audio di varie letture, ma il tutto sembra come un optional, un cotillon, messo lì, perché, oggi come oggi, come si fa a sembrare ‘attuali’ senza un po’ di file audio e video, messi qua e là. Oggi i testi vanno su Rete si sa, ma poi son quelli di sempre, i buoni, bravi testi letterari, da analizzare e ammaestrare con i soliti cari vecchi arnesi della critica testuale. Alla fine, così, MP3 o non MP3, la poesia a guardare come se ne parla e come la si analizza, pare solo questione di testo, anche se è evidente ormai a tutti che così non è. Il risultato?  Poco o nessuno spazio a Costa, Spatola, Vicinelli, Toti, Fontana, Villa, per far un esempio tra tanti.

Colpisce che bravi autori come Annovi, che hanno anche concrete esperienze ‘sonore’ abbiamo scelto di dirottare non sulla Voce, ma su un indeterminato Corpo la loro ricerca. Il risultato è un capitolo che fa il verso alle ‘larghe intese’, dove convivono più o meno a braccetto, Frasca e De Angelis, Cucchi e Lo Russo, Valduga e Giovenale. Un patch-work più che altro, e nemmeno troppo ben riuscito. Mentre la voce, l’oralità, la fa da Convitato di pietra, nonostante le reticenze dei curatori.

E’ un peccato, un’occasione sprecata, anche perché ricordo bene l’attenzione che per un certo  periodo aveva Lorenzini per la voce (un bel numero del Verri dedicato alla Phonetiké aveva la sua cura), ma ora mi pare che l’impronta accademica abbia preso tristemente il sopravvento.  La cosa preoccupa ancora di più, visto che si tratta di un testo universitario. Evidentemente nella nostra accademia Contini e Croce sono ancora più interessanti di Mc Luhan, Zumthor Jousse ed Ong. Che sia davvero la filologia la malattia senile della nostra odierna critica letteraria e poetica?

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