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Francesco Borrasso. Sott’acqua

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Diventare un pesce per elaborare il lutto. Un pesce, proprio così, con tanto di pinna caudale e branchie nel collo, ché mica solo di scarafaggi e faine è fatto il mondo letterario.

Può succedere, se il dolore è troppo grande, se la pressione nello stomaco è troppo forte, se le cose attorno iniziano a muoversi così lentamente che l’unica spiegazione possibile è quella di essere finiti di colpo nel fondo dell’oceano.

Sott’acqua, la nuova uscita di Francesco Borrasso per Giulio Perrone Editore, esplicativa già nel titolo, è un’indagine sulla mancanza. Il tentativo di raccontare la voragine che viene a crearsi quando la persona a noi più cara non è più al nostro fianco e a chi resta ben poco serve aggrapparsi alla definizione scientifica. Ecco allora che la singola parola (ictus) non è più sufficiente. Soprattutto se sei piccolo, se il significato di certe bizzarrie del corpo non le puoi ancora comprendere, se credi nel valore di una promessa («non moriremo, nessuno di noi morirà»), se il mondo che fino a qualche istante prima del fattaccio era un luogo sopportabile di colpo s’è fatto un palcoscenico di figure sbiadite.

Cambiare forma, diventare altro, forse l’unico modo per sopravvivere.

Luca adesso è un pesce e i pesci sott’acqua non possono parlare. Ci si muove lenti negli abissi e ogni gesto richiede uno sforzo che porta con sé il peso di una stanchezza più grande. Più volte, in questa storia dai contorni di fiaba, il piccolo Luca si arrende al sonno. Che siano i sedili di un treno, il marciapiede di un quartiere malfamato, il divano di un vicino premuroso, Luca chiude gli occhi con quel solo desiderio, poterli riaprire accanto a sua madre. Lei che si è accasciata in cucina mentre puliva delle foglie di insalata, lei che gli aveva promesso non l’avrebbe mai lasciato solo e invece ora l’ha abbandonato in balìa di un percorso di cui non conosce le tappe, solo la destinazione.

In questo viaggio tra chiaroscuri surreali e metaforiche comparse si compie il cammino di un eroe inconsapevole, mentre si destreggia tra nomadi predicatori, giovani delinquenti con qualche residuo di umanità e inaspettati confessori il cui unico pregio sembra essere quello di poter comprendere il silenzio di un bimbo-pesce che sceglie di non arrendersi allo squallore del mondo, rifugiandosi in un altro.

Borrasso, con uno stile lieve, intimo, spesso onirico, lavora di piccoli gesti sulle infinite rifrazioni che si possono creare all’interno di un fondale la cui luce va e viene e il senso di smarrimento nella corrente degli eventi è forse il modo dell’autore per tracciare le sue coordinate dell’alienazione.

Il punto di vista è rispettato: finalmente un ragazzino che ragiona e si muove come tale, senza perdersi in sproloqui inverosimili sul senso di vita e morte ma affidandosi ai piccoli gesti: lavandosi in un bagno pubblico, lottando per raccattare qualcosa da mangiare, imbottendosi di giornali per non morir dal freddo, intestardendosi, fino a perdere la sensibilità dei piedi, quasi a voler sbeffeggiare il senso di questa realtà, mai così deludente.

Forse il senso dell’epopea sta tutto qui: riuscire a tornare un po’ bambini per accettare la magia di una metamorfosi e al tempo stesso farsi un po’ adulti, per sopportare l’assurdità di un’assenza. Nel mentre, in questa sorta di equilibrio, tornare a respirare.

Stefano Bonazzi

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Sott’acqua

Francesco Borrasso

Giulio Perrone Editore

16,00 euro — 146 pagine

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