Dopo il lungo periodo di dominio della teoria keynesiana che ha seguito la crisi del 1929, Milton Friedman è stato il maggior artefice del ritorno in auge dell’idea che i mercati siano quasi sempre in grado di fare meglio della mano pubblica.
Francesco Saraceno sottolinea come, il ritorno sulla scena di Friedman, sia stato spettacolare e inarrestabile non appena l’inflazione si è riaffacciata nel 2021.
I prezzi hanno iniziato a impennarsi nel 2021 con la ripresa successiva alla pandemia e sono in seguito stati alimentati dalla crisi energetica e dall’invasione dell’Ucraina.
È sicuramente temporanea la necessità delle imprese di rimpolpare le scorte dopo il Covid. Come temporaneo è il disallineamento tra domanda e offerta per molti beni, a seguito della ricomposizione dei panieri di consumo delle famiglie.
Ma anche gli aumenti dei prezzi dell’energia apparivano temporanei, frutto di un eccesso di domanda dovuto alla ripartenza dell’economia e ad altri fattori contingenti, come le temperature estreme prima nell’estate e poi nell’inverno del 2021.
Saraceno evidenzia come questi fattori sono quasi completamente rientrati. Sia gli indicatori di tensione sulle catene del valore sia i prezzi dell’energia sono tornati a livelli che non si vedevano dalla pandemia. Cionostante, l’inflazione di fondo, quella depurata dai prezzi dei beni più volatili, scende con troppa lentezza.
Ragion per cui, oggi come già negli anni Settanta, economisti e policy maker dibattono animatamente su quali siano gli strumenti migliori per far fronte all’aumento dei prezzi.
Alcuni ritengono che gli strumenti per affrontare un’inflazione alimentata dai prezzi delle materie prime, da strozzature e da costi di produzione in aumento siano la politica di bilancio, la regolamentazione e, nel medio-lungo periodo, la politica industriale. A questi si contrappongono coloro – la maggioranza – i quali, ispirandosi alle idee monetariste, propugnano politiche monetarie restrittive, indipendentemente dalla natura temporanea dello shock, per convincere – «whatever it takes» – i mercati finanziari, le famiglie e le imprese che le banche centrali, uniche depositarie della lotta contro l’inflazione, siano serie nel loro sforzo di contrasto all’aumento dei prezzi.
È certamente vero, argomenta l’autore, che le banche centrali possono riportare l’inflazione sotto controllo, qualunque sia la natura della fiammata inflazionistica: contraendo l’offerta di moneta e aumentando i tassi di interesse possono rendere più difficile e costoso per imprese e famiglie prendere in prestito somme per investimenti o consumi, più oneroso pagare i debiti e più redditizio risparmiare.Tutto ciò riduce la domanda aggregata portando a una diminuzione del livello dei prezzi e a un aumento della disoccupazione. In altre parole, per Saraceno vi sono pochi dubbi sull’efficacia di una restrizione monetaria nel far fronte all’inflazione. Quello su cui infuria la discussione è se, nella contingenza attuale, questa sia davvero la migliore opzione per riportare i prezzi sotto controllo, o si possa fare ricorso ad altri strumenti senza infliggere all’economia un rallentamento o addirittura una recessione.
Dalla fine del Diciannovesimo secolo a oggi i picchi di inflazione si sono verificati in genere a seguito di distruzioni: dopo le guerre, in seguito agli shock petroliferi degli anni Settanta, oggi con la crisi energetica che segue alla ripresa post-Covid e purtroppo ancora una guerra.
Eppure l’autore ricorda che i tassi di inflazione di oggi ci sembrano eccezionali soprattutto perché seguono un lungo periodo di moderazione dei prezzi, ma non sono tali in una prospettiva storica. Fino all’inverno 2021, tutte le generazioni nate dopo il 1965 non hanno mai vissuto l’inflazione durante la loro età adulta.
Nonostante la sua confutazione in ambito accademico, la riproposizione del mantra per cui l’inflazione è un fenomeno monetario finisce per far apparire al pubblico come inevitabile l’uso di politiche monetarie restrittive per affrontare l’aumento dei prezzi.
Il procedimento è questo: inventiamo un linguaggio basato su una teoria immaginaria e ce ne serviamo per piegare la realtà ai nostri bisogni, per limitare la nostra comprensione al frammento più improbabile del reale.1
Lo scopo principale del lavoro di Francesco Saraceno in Oltre le banche centrali è in primo luogo uscire dalla neolingua e convincere il lettore che l’inflazione non è sempre e solo un fenomeno monetario. Tale viene considerata per l’incapacità dei policy maker di affrancarsi dall’influenza di vecchi schemi di pensiero.
Oltre cento anni dopo il primo conflitto mondiale i governi e i popoli dell’intero pianeta si pongono i medesimi interrogativi, di nuovo.
Come si accumulano rischi enormi, poco compresi e poco controllabili? In che modo i quadri di riferimento anacronistici e obsoleti ci impediscono di capire cosa sta succedendo intorno a noi? Il motore di ogni instabilità è forse lo sviluppo disomogeneo e combinato del capitalismo globale? Possiamo raggiungere una stabilità e una pace perpetue?
La crisi nell’eurozona è stata affrontata in maniera disomogenea, una confusione di visioni contrastanti che hanno portato alla messa in scena di un dramma sconfortante di occasioni mancate, fallimenti nella leadership e nelle azioni collettive. La crisi finanziaria ed economica del 2007-2013 si è trasformata, tra il 2013 e il 2017, in una crisi politica e geopolitica globale dell’ordine mondiale uscito dalla guerra fredda. Questa nuova politica del periodo successivo alla crisi è stata demonizzata come populismo, trattata alla stregua degli anni Trenta o addirittura attribuita alla malvagia influenza russa, invece va osservata, secondo Tooze, come un segno della vitalità delle democrazie europee davanti al deplorevole fallimento dei governi, riassumibile nelle parole di Jean-Claude Juncker: «quando le cose si fanno serie, bisogna mentire».2
Per Francesco Saraceno, ciò che emerge con chiarezza, della cronaca degli ultimi tre lustri, è che la fiducia indiscussa nelle capacità dei mercati di assorbire gli shock è venuta meno e che il ruolo dello Stato deve essere rivalutato.
La complessità delle crisi odierne richiede la mobilitazione di strumenti diversi e complementari. Torna, in una versione più complessa, il policy mix che aveva caratterizzato le Trente Glorieuses, il trentennio di crescita stabile e robusta dell’immediato dopoguerra.
Di fronte all’impennata dell’inflazione le banche centrali sono state caute, almeno inizialmente, mettendo l’accento sul fatto che le fonti dell’inflazione erano inusuali e temporanee. Ma nella primavera del 2022 è iniziata lo stesso la corsa alla restrizione monetaria, giustificata da un’inflazione troppo elevata e persistente.
Per meglio comprendere il continuo e perseverante ricorso alla ricetta della restrizione monetaria come strumento per combattere l’inflazione da parte delle banche centrali l’autore rimanda alla storia dell’ubriaco che cerca le chiavi sotto al lampione, pur sapendo di averle perdute altrove, perché solo lì la strada è illuminata.3
Per far fronte all’inflazione, i paesi avanzati hanno introdotto qualche forma di controllo dei prezzi, soprattutto nei mercati dell’energia.
Secondo la Bce, una transizione ecologica ben gestita minimizzerebbe l’impatto inflazionistico del riscaldamento climatico. Intanto perché ne ridurrebbe la portata, poi perché la frequenza degli eventi estremi diminuirebbe, riducendo i costi legati alla mitigazione. Tuttavia, sottolinea Saraceno, ci sono ragioni per credere che anche la transizione ecologica porterà a un aumento temporaneo dell’inflazione, attraverso più di un canale.
Intanto, l’aumentata tassazione sulle energie fossili e l’aumento dei prezzi delle emissioni annunciato dalla Commissione nel suo pacchetto Fit for 55 nel quadro dell’Emission Trading System saranno in parte trasferiti a consumatori e imprese, comportando un aumento dei prezzi alla produzione e al consumo.
Per cui, per l’autore, se si vogliono veramente proteggere i più poveri da shock che in un mondo sempre più instabile saranno inevitabilmente più frequenti, sembra ineludibile un serio programma di contrasto alla disuguaglianza che, negli ultimi quarant’anni, è aumentata quasi ovunque.
Le soluzioni per invertire la tendenza si dividono in due categorie.
Da un lato: riduzione della precarietà sui mercati del lavoro, salari minimi di importo significativo, sistemi di istruzione e formazione più accessibili ed efficaci, regolamentazione dei mercati volta a ridurre rendite ed eccessivo potere di mercato.
Dall’altro: misure volte a ridurre la disuguaglianza ex-post – utilizzando il sistema fiscale per redistribuire i redditi generati dai mercati. Queste spaziano da un recupero della progressività dei sistemi fiscali all’introduzione di strumenti universali di sostegno ai redditi o ancora al rafforzamento di imposte patrimoniali e di successione.
Il ritorno in auge della politica di bilancio ripropone la questione del coordinamento delle diverse politiche economiche, un tema che Saraceno ritiene particolarmente importante per i paesi europei. Il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità e crescita delimitano il campo d’azione della Bce – Banca centrale europea – al solo controllo dell’inflazione e quello dei governi al solo operare degli stabilizzatori automatici. Infine, l’Unione Europea ha per decenni identificato la politica industriale con la sola politica per la concorrenza. La lotta alle posizioni dominanti e alle intese anticoncorrenziali, il controllo sulle fusioni e la proibizione degli aiuti di Stato erano tutto quello che si chiedeva alla mano pubblica, che poi doveva lasciar fare ai mercati per selezionare nuovi mercati e imprese capaci di innovare e far crescere reddito e produttività.
Le modifiche inizialmente proposte per il nuovo Patto di Stabilità, in discussione da oltre un anno, contengono due miglioramenti significativi, come sottolinea l’autore: in primo luogo, il riconoscimento della specificità di ogni paese e dell’importanza che il piano sia predisposto dai paesi e non imposto dall’alto. In secondo luogo, l’adozione di una prospettiva di medio periodo, l’unica ragionevole quando si parla di sostenibilità delle finanze pubbliche.
Ora il testo deve passare al “trilogo” con Commissione e Parlamento europeo per raggiungere la versione finale, presumibilmente entro gennaio 2024. Tuttavia, rispetto alla proposta originaria della Commissione, l’accordo sul nuovo Patto di stabilità non semplifica le regole e prevede vincoli più rigidi e uniformi, con il rischio di generare una spinta deflattiva per l’intera area. L’accordo è stato in qualche modo subito dall’Italia, che non ha partecipato al rush finale della contrattazione tra i ministri delle Finanze francese e tedesco.4
Permane poi il problema del mandato della Bce perché, per Saraceno, in un’unione monetaria il compito delle autorità monetarie dovrebbe essere quello di reagire agli shock comuni, mentre gli shock idiosincratici, che colpiscono i singoli paesi, dovrebbero essere affrontati da governi nazionali. In assenza di un bilancio federale, vincolare la banca centrale a perseguire solo l’obiettivo di inflazione, di fatto lascia uno degli obiettivi, la risposta agli shock comuni, senza uno strumento per perseguirlo.
Le scelte delle banche centrali possono radicalmente cambiare l’esistenza di famiglie e imprese strette tra potere d’acquisto in crollo verticale, crisi geopolitiche e incertezza sul futuro.
Francesco Saraceno delinea politiche alternative che consentirebbero di riportare le economie verso una crescita più equa e sostenibile.
Irma Loredana Galgano
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Francesco Saraceno, Oltre le banche centrali. Inflazione, disuguaglianza e politiche economiche, Luiss University Press. Roma, 2023
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1Jean-Paul Fitoussi, La neolingua dell’economia. Ovvero come dire a un malato che è in buona salute (a cura di F. Pierantozzi), Einaudi, Torino, 2019.
2Adam Tooze, Lo schianto. 2008-2018 come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo, Mondadori, Milano, 2018.
3Jean-Paul Fitoussi, Il teorema del lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale, Einaudi, Torino, 2013.
4Massimo Bordignon, Nasce il nuovo Patto di stabilità e crescita, LaVoce.info, 22/12/2023