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H. G. Wells anteprima. Paura e mistero

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Grazie alla casa editrice Lorenzo de’ Medici Press, arriva in libreria questo Paura e mistero di H.G. Wells, con la traduzione di Eleonora Gasperini. I dodici introvabili racconti dell’autore de La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau e de La guerra dei mondi sono popolati in questo caso da fantasmi, efferati assassini, piante mortali, viaggi nell’aldilà e creature degli abissi. Una sinfonia noir in cui la mano di Wells “trionfa” laddove segue con straordinaria maestria la più pura strada del perturbante – per dirla con Caillois – ricamando incubi dell’animo e fatti inspiegabili legati ai fenomeni della natura, sapendo suscitare accanto al sentimento della paura anche una sorta di sottile e ancor più apprezzabile “divertimento”. I titoli dei racconti sono, in qualche modo, programmatici: I successi del tassidermista, Il bacillo rubato, La fioritura della strana orchidea, L’eccezionale caso degli occhi di Davidson.. In questa occasione proponiamo un estratto da La stanza rossa, il cui incipit prepara e lascia presagire in maniera perfetta: «Vi posso assicurare», dissi, «che ci vorrà un fantasma davvero realistico per potermi spaventare». E mi alzai in piedi davanti al fuoco con il bicchiere in mano.

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L’immagine non era proprio quella che mi aspettavo di vedere, perché la luce della luna che entrava dalla grande finestra della scala metteva in risalto ogni cosa con un’ombra nera e vivida o un’illuminazione argentea. Tutto era al suo posto: la casa sembrava essere stata appena abbandonata.

C’erano delle candele alle pareti negli appositi contenitori, e la polvere era distribuita in modo così uniforme sui tappeti o sul pavimento da essere invisibile alla luce della luna. Stavo per avanzare ma mi fermai bruscamente. Una statua di bronzo era sul pianerottolo, nascosta da un angolo del muro, ma la sua ombra cadeva meravigliosamente sul pannello bianco, e mi dava l’impressione che qualcuno fosse accovacciato e stesse per tendermi un agguato. Rimasi immobile per quasi un minuto. Poi, con la mano in tasca che afferrava il revolver, avanzai, solo per scoprire un Ganimede e un’Aquila luccicare alla luce della luna. Quell’incidente mi fece momentaneamente riprendere e, passando vicino a un cinese di porcellana sul tavolo da biliardo con la testa dondolante mi spaventai appena.

La porta della stanza rossa e i gradini per arrivarvi si trovavano in un angolo in ombra. Prima di aprire la porta, illuminai con la candela l’ambiente circostante per vedere chiaramente dove mi trovavo. Qui, pensai, era stato trovato il mio predecessore, e il ricordo di quella storia mi mise in agitazione. Diedi un’occhiata al Ganimede al chiaro di luna alle mie spalle, e aprii la porta della stanza rossa piuttosto velocemente, con il volto rivolto per metà al silenzioso pianerottolo.

KX2G8N Young H.G. Wells (1866-1946) posing with skull and gorilla skeleton. Photo circa mid 1880s, likely while studying biology at the Normal School of Science (later the Royal College of Science in South Kensington) in London under Thomas Henry Huxley.

Entrai, chiusi subito la porta alle mie spalle, girai la chiave che trovai nella serratura, e rimasi con la candela in mano, osservando il luogo della mia veglia, la grande stanza rossa del castello di Lorena, in cui il giovane duca era morto. O meglio, era caduto per le scale che avevo appena salito. Quella era stata la fine della sua veglia, del suo coraggioso tentativo di sconfiggere le credenze spettrali del luogo: pensai che mai colpo apoplettico fosse stato più utile a consolidare la superstizione. C’erano anche altre storie più antiche che riguardavano quella stanza, persino quella più credibile tra tutte di una moglie timida che inflisse una tragica fine al marito, il quale aveva cercato di spaventarla per puro scherzo. E guardando quella cupa stanza, con le sue finestre a golfo in ombra, le sue nicchie e pareti, si potevano comprendere le leggende che erano nate nei suoi angoli più bui, nelle sue fitte tenebre. La mia candela era solo una piccola luce nella vastità che mi circondava, non riusciva a raggiungere l’estremità opposta della stanza, e lasciava l’ambiente in un vago mistero e suggestione.

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