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James Ellroy. Gli incantatori

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Freddy Otash è veramente esistito. Nacque nel Massachusetts nel 1922. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta fu il re indiscusso degli investigatori privati di Hollywood, il “Cerbero” di Hollywood. Scrisse libri di memorie, articoli, recitò in film di insuccesso. Estorsore freelence, spalatore di fango per giornali scandalistici come “Confidential”, il nostro Freddy si dice abbia guadagnato molti dollari come intimidatore e pusher per conto di John Kennedy. Credeteci. Freddy Otash è tornato a vivere nei romanzi di James Ellroy, di più: Ellroy ne ha fatto il suo miglior personaggio, trasformandolo in una figura sinistra e leggendaria, in un supereroe del male. “Vivo nel passato, il presente non esiste”, non fa che ripetere lo scrittore di Los Angeles a chi lo intervista, e non è un caso che tutti i suoi libri siano fermi a quel decennio, anno più anno meno, lo stesso in cui sua madre venne strangolata da uno sconosciuto. L’inizio di tutto, lo shock che indirizzò il giovane James, il bambino, al genere Hard Boiled, prima come vorace lettore poi come autore di bestseller venduti in ogni angolo del mondo. Il calendario di Ellroy è fermo a quel giorno: 22 giugno 1958. Raccontando la scena dei delitti americani, Ellroy non fa altro che raccontare quella scena, con il corpo di sua madre riverso sul pavimento e la sagoma di gesso disegnata intorno. Chi è Dalia Nera se non la madre di Ellroy? Nel nuovo romanzo, la madre è Marilyn Monroe. La vita della più famosa attrice del mondo è stata stroncata da un’overdose di farmaci o per mano dei Kennedy? È questo l’interrogativo al quale Ellroy prova a rispondere nelle seicento e passa pagine de Gli incantatori, l’ultimo libro, pubblicato in Italia da Einaudi con la traduzione di Alfredo Colitto. La voce narrante è quella dello stesso Otash. Freddy gioca bene le sue carte: “finanzia un’operazione di raccolta fango sessuale da usare a scopi ricattatori”. Ha spiato Marilyn per conto di Jimmy Hoffa, il sindacalista in odore di mafia, ma adesso è la polizia a incaricarlo di indagare sulle ragioni della più clamorosa delle morti dello starsystem. Il romanzo è una full immersion di strategie, procedure, dettagli di una serratissima investigazione a doppio fondo, con Otash che non risparmia colpi bassi ma che di colpi ne riceve anche di più duri. 

“Pazza Marilyn. Iniezioni di collagene. Segni di morsi. Quarantamila dollari sotto il letto. Strane chiamate da telefoni pubblici. È tutto un gran troiaio”. 

Più delle parole, dei romanzi che ci piacciono ci restano le immagini. Quella di Freddy che tocca la gamba ancora calda di Marilyn, stesa nel letto e senza vita, è fortissima, non si dimentica. Ellroy è sulla sua scena ideale, Ellroy è nel posto giusto: la camera da letto di Marilyn in quella calda notte d’agosto del 1962 è il “suo luogo oscuro”. Leggere Ellroy toglie il fiato; la scrittura sincopata somiglia a una partitura Jazz: stacchi, controtempi, ripetizioni, sfuriate di semibrevi. Ogni frase è composta mediamente da cinque sei parole. Frase punto. Frase punto. Frase punto. Ta-ta-ta-ta-ta. Ta-ta-ta-ta-ta. Ta-ta-ta-ta-ta. Mitragliate di periodi a volte cortissimi ma inseriti in una narrazione espansa. Scrivere così richiede una scelta accurata delle parole. Leggere, molta concentrazione, anche perché il libro è pieno di sottotrame e di nomi talvolta difficili da ricordare o da abbinare ai rispettivi ruoli, nomi che entrano ed escono dalla storia rendendola in alcuni punti ingarbugliatissima. Gli incantatori è il più classico degli Hard Boiled; tra verità e finzione Ellroy ricostruisce in chiave crime e alla sua maniera uno dei grossi fatti di cronaca della storia recente degli Stati Uniti, una vicenda di chiaroscuri e di cliché, i cui protagonisti ancora una volta sono John e Bob Kennedy. Sesso, denaro, potere, bellezza, solitudine: l’America non è mai stata innocente. Non è così? 

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