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La parabola dell’anguilla. Intervista a Luigi Irdi

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La parabola dell’anguilla. Una nuova inchiesta di Sara Malerba è il nuovo romanzo, il terzo di una serie, edito da Nutrimenti nel 2023, che vede il ritorno del pubblico ministero Sara Malerba. Il romanzo è nato casualmente dall’ascolto di una storia raccontata dalla conduttrice di un’emittente radiofonica e forse anche per questo Irdi riesce a mettere in scena personaggi che non sono macchiette, ma soggetti davvero desideranti, per quanto immaginari. Ma la trasparenza e la ‘realtà della finzione’ sono frutto di lavoro e pazienza, disciplina che riesce, a ogni modo, a donare un godimento quanto meno a chi, leggendo, può immergersi in un mondo noto e da esplorare, allo stesso tempo. La parabola dell’anguilla affronta anche momenti di meditazione esistenziale, sfiorando nuclei cruciali dello psichico. Sia come sia, il romanzo, per Luigi Irdi, è innanzitutto una storia, buona e ben congegnata, che utilizza lo strumento della scrittura, una scrittura che oscilla sempre in quell’area creativa tra regola e trasgressione, desiderio e norma: anche in questo senso La parabola dell’anguilla eccita la fantasia di chi legge, e incalza nella piacevole sensazione di trovarsi in una zona di gioco e storia, di cui non ci si sente, stranamente, semplici voyeur; il romanzo, infatti, non racconta solo una storia scritta bene, ma spinge verso più profonde riflessioni, attraverso personaggi, e i luoghi da essi abitati, che ci invitato a smascherare «le finzioni e gli stereotipi» delle nostre relazioni interpersonali, del nostro essere nel mondo sociale, a non dare per scontate regole e convenienti convenzioni…

Gianluca Garrapa

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Genesi e desiderio del tuo libro.

La parabola dell’anguilla” è il terzo di una serie di tre romanzi (i primi due sono “Operazione Athena” e “Il nero sta bene su tutto”) che vedono protagonista Sara Malerba, pubblico ministero della cittadina di Torre Piccola. Quindi stiamo parlando di una serie. Quest’ultimo romanzo nasce casualmente dall’ascolto distratto, durante un viaggio, di Radio Maria. Cercavo una stazione su cui sintonizzarmi e sono capitato su Radio Maria proprio nel momento in cui una conduttrice raccontava la storia dei fiori della Veronica, che pare siano i fiori preferiti dalla vergine Maria, e della leggenda che li accompagna. La cosa mi ha colpito e ho cominciato a fantasticare su questa leggenda (chi è curioso può facilmente trovarla in rete) costruendo una prima trama. Avevo molti chilometri davanti e quindi un bel po’ di tempo. Quando sono arrivato a destinazione avevo giù in mente almeno metà della storia.

Quando scrivi, godi?

Domanda bizzarra. Scrivere è faticoso, non è un divertimento, non più di quanto possa esserlo un qualunque lavoro fatto con impegno. Altro è dire che, alla fine di una giornata di scrittura, si può provare un senso di soddisfazione e pienezza, questo sì. È una bella sensazione che ripaga dello sforzo. Però ci tengo a precisare ancora una volta che la scrittura è stressante, faticosa, richiede pazienza e disciplina, tutto è meno che una passeggiata. Io almeno la vedo così.

Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché?

Durante il romanzo la protagonista chiacchiera di tanto in tanto con la madre di argomenti molto personali, problemi che tutti quanti affrontiamo nella vita, frustrazioni o entusiasmi, delusioni e gioie. Si tratta di colloqui immaginari perché si capisce che la mamma è morta anni prima e quindi Sara parla in realtà con i suoi ricordi. Sono momenti in cui il romanzo cerca di toccare i nervi più sensibili della protagonista e anche di affrontare questioni che ognuno di noi tende in genere a trascurare, forse dando per scontati alcuni codici di comportamento fissati dalle consuetudini. Un specie di “manuale della vita”, che ci ruba speso spontaneità e allegria.

Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

Io non credo che un libro sia “scrittura”. La scrittura è strumento. Sarebbe come dire che un intervento chirurgico è “il bisturi”. No. Un libro è la storia che racconti. Senza storia, una storia che si regga in piedi, un romanzo è solo un palloncino sgonfio. Quindi, ci vuole una storia. Molto meglio una storia buona scritta così così che una non storia scritta bene.

Che rapporto hai con la censura?

Con la censura, nessun rapporto. Con l’autocensura il discorso è più delicato. Tutti siamo un po’ soggetti a freni inibitori e anche gli scrittori lo sono quando lavorano su un romanzo. Bisogna sempre tenere a mente una bella frase di cui non ricordo l’autore, che recita: “La gente vuole leggere in un libro ciò che non si può dire”. Il romanzo deve essere zona franca, area di libertà e incoscienza, un luogo di trasgressione. Non è facile accedere alla trasgressione nella scrittura però bisogna tentare sempre di farlo o almeno di tenere a freno l’istinto dell’ovvio e della regola accreditata. Si corre su un filo tra razionalità compositiva e sentimento incerto. Insomma, è un gioco di equilibri che spesso diventa eccitante.

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?

Non so cosa tu intenda con “contestare lo status quo”. Se l’idea, come spiegavo prima, è quella di trovare strade inesplorate della vita, dei sentimenti, strade che non appartengono a una asfissiante e presunta “normalità”, allora sì, certo, questa normalità apparente va indagata e se necessario demolita. Bisogna chiedersi dove e perché nascono le regole della nostra convivenza, i canoni delle relazioni interpersonali, smascherarne le finzioni e gli stereotipi. Compito difficile ma che sicuramente appartiene in primo luogo ai poeti e in seconda battuta agli scrittori. Ma ci riescono davvero solo in pochissimi.

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