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Larry McMurtry. Il cammino del morto

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C’è stato un tempo in cui Gus McCrae e Call Woodrow erano due mocciosi che sognavano di andare a Ovest. La combriccola del maggiore Chevallie somiglia più a un’armata brancaleone di avvinazzati che a una compagnia di Texas Ranger: poche decine di vagabondi senza arte né parte, soprattutto senza mira. Ma tre dollari al mese per esplorare una possibile pista di diligenze fino a El Paso e trastullarsi di tanto in tanto con Matilda Roberts, “la grossa puttana” che per colazione mangia tartarughe azzannatrici e che farebbe carte false per aprirsi un bordello tutto suo in California, è sempre meglio che starsene a casa a girarsi i pollici.

Siamo alle prime battute de Il Cammino Del Morto, prequel di Lonesome Dove, il più bel romanzo western di sempre che valse a Larry McMurtry il premio Pulitzer. Il libro uscì negli Stati Uniti nel 1995 ma da noi è arrivato con trent’anni di ritardo, proprio sull’onda lunga del successo di Lonesome Dove, ormai opera di culto, tra le più citate nelle bolle social di libronauti, blogger, nerds et similia. L’epopea western di McMurtry si compone di altri due volumi (Comanche Moon, di prossima uscita in Italia, e Le Strade Di Laredo, già pubblicato) la cui cronologia editoriale evidentemente non combacia con la sequenza temporale della storia: fareste bene a tenerne conto se non avete ancora fatto la conoscenza di Gus e Call.

Dicevo prima dell’allegra brigata del maggiore Chevallie, sempre ammesso che quell’omino tarchiato e inconcludente sia un vero maggiore “Il Texas era uno di quei posti dove la gente poteva dichiararsi qualcosa e poi cominciare a essere quello che aveva dichiarato”. Ci vuole una buona dose di ottimismo per sperare che certe spedizioni – e quella del cosiddetto maggiore è stata messa su con molta approssimazione e da gente troppo sprovveduta, gente troppo sprovveduta ad esclusione di Bigfoot Wallace, lui sì che può dirsi un vero Ranger – non si riveli un fiasco al primo scontro con gli indiani, soprattutto se l’indiano in questione si chiama Buffalo Hump, il guerriero Comanche più cattivo di cui si fosse sentito mai parlare. Le scorribande di Gus e Call ci fanno tornare in mente le cavalcate di John Grady e Racey Lawlins, i due ragazzi che giocano a fare i cowboy nella Trilogia della frontiera di Cormac McCarthy. McMurtry e McCarthy per uno strano scherzo del destino sembrano l’uno l’anagramma dell’altro, due maestri che hanno declinato il western in modo diverso ma appassionando allo stesso modo milioni di lettori in tutto il mondo. Dai Cavalli Selvaggi al Meridiano Di Sangue, l’Ovest di McCarthy si riverbera in una dimensione più metafisica di quella pop o tradizionale di McMurtry. Le bisettrici però sono le stesse: il viaggio, il sogno, la scoperta, l’iniziazione, l’istinto di sopravvivenza. La Jornada Del Muerto, il cammino del morto, è un deserto di oltre duecento miglia nel sud del New Mexico. I nostri eroi, ormai stremati, affamati e feriti, lo percorreranno a piedi, prigionieri del capitano Salazar. Sono pagine indimenticabili, le pagine in cui la storia entra nel vivo. La traversata nel deserto, il momento più epico della narrazione, è preceduto da una flagellazione cruenta che evoca quella di Cristo. Il Cristo di McMurtry è Call Woodrow, il buon soldato, il ragazzo saggio e obbediente, l’amico premuroso del puttaniere Gus, dell’epicureo Gus, dell’opportunista Gus. Con loro, Bigfoot Wallace, miglior attore non protagonista, e Matilda Roberts, la Maria Maddalena di questa poderosa parabola biblica che viviseziona tutti i sentimenti umani.

Anegelo Cennamo

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