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Lo Shibari

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Legàmi

Introduzione emotiva. Intensità, la frapposizione tenue dello sfrigolio della carne, corde geometricamente introdotte nella chimica emotivo-cerebrale dall’assuefazione lasciva. “Se vuoi fermarti basta che tu dica stop”.

Cenni storici. Riavvolgiamo il nastro (o la corda). Lo shibari ha origini molto antiche, basti pensare alla concezione cerimoniale del legame tra umano e divino negli episodi religiosi tradizionali giapponesi (il divino). Ma è nel xv secolo che assume i connotati della punizione corporale. Al tempo abbondavano funi di canapa e nel contesto delle arti marziali i prigionieri venivano semplicemente immobilizzati in quattro mosse. Ancora oggi le forze di polizia sfruttano questa tramandata conoscenza come arma di scorta (la punizione). Nel ’600 nasce l’ukiyo-e (testualmente “immagine del mondo fluttuante”) ovvero stampa su carta incisa in blocchi di legno che ci proietta alla fine dell’800 quando autori come Seiu Ito portano in rappresentazione scene di costrizione dal teatro kabuki, via via fonte di ispirazione per le generazioni a seguire. Nei nostri ’50 appaiono le prime foto di nudo bondage e le “rivistacce” dell’epoca iniziano una nuova era di gioventù legata (l’erotismo). La pratica sessuale bdsm, così come l’arte del rilassamento psico-fisico, entrano di diritto nella mentalità giappo-universale, sublimando di fatto lo shibari e sdoganandolo (forse pure troppo) in contesti sociali stratificati (conoscere a fondo prima di sperimentare, mi raccomando!).

Saggio romanzato. Le braccia proteggono, le braccia rassicurano nella (s)quadratura di una ragnatela che si apre con un soffio. Il caldo respiro si insinua nei padiglioni auricolari, i lobi bollenti tatuano orecchini di giada incandescente. È il corpo a bollire l’anima e non viceversa. La penetrazione sottile in substrati elementari prolifica e amplifica lo scorrere scottante del sangue venoso, un flusso ripartito di battiti, materia organica e linfa in esplosione tra i vasi sanguigni. La fase dell’abbraccio è la fase della nascita, interrotta dall’amplificazione di innesti che partecipano alla danza della vita nel suo prosieguo sfarfallato. La guida, il maestro delle corde, è l’architetto che tutto può senza scalfire il nucleo fondante. L’anima del soggetto è, nella sua contorsione, in pieno amore orgiastico. Sublimato dalla manifestazione multiverso di quella fase creativa in estasi-soporifera, generata dalla predisposizione, dalla postura e dalla bilancia di sangue orientata nelle sue varie dinamiche sospese. Essere, nella magia di una sfasatura temporale. Dipendere, nell’apprensione bloccante di attimi dal sapore dolciastro e ferroso. Vedo la Creazione, l’assemblaggio di arti collo ossa e bulbo oculare. Fa freddo e non ho freddo, desidero ardere nel ghiaccio e morire nel collo di un serpente a sonagli. Fondermi nella mia stessa sabbia originaria e bere dal mio guscio. I piedi danzano, la vagina è il mio triangolo isoscele, lei respira con me, a volte abbocca alla corda e altre sfrigola emettendo i suoni dell’universo, la amo e vorrei che fosse qui con me lassù di fianco al mio viso, per parlarci. “Stai tranquilla, mio isoscele, ci ribaltiamo ma siamo sempre unica forza centrifuga, io e te”. Nei battiti dei miei tre cuori confondo la priorità di ciascuno di essi, allora li stacco uno a uno e li porto vicino alle mie guance come tre bei paffuti peluche da coccolare. L’ultima corda si sfila, ma io resto appesa, per sempre.

Una donna mi parla. Le serate Decadence bolognesi assumono sempre, per me, le sembianze di una medusa in acque sommerse, un elegante danza dei sensi dal sapore ferroso, il bilanciere appeso di una cantina dimenticata, illuminata dalla lampadina depechemodiana (In Your Room). La mia recente esperienza veronese (ogni tanto Decadence sconfina) m’ha portato in dono la sintomatica rivelazione intima di una ragazza appena tornata coi piedi per terra. Perché?, chiedo io. Subentra una consapevolezza quasi rivelatrice, dice lei, mi apre la mente mi divarica le vene ed è come se lasciassi scorrere il mio sangue dentro altre vene, quelle nuove, quelle che ho scoperto di avere in abbondanza e che il mio corpo tiene nascoste. La sensazione è che tu sia strafatta senza aver assunto alcuna sostanza, come un atto di meditazione insonorizzato. È così, giuro questa è la mia prima birra in assoluto, ride di una risata eterea, è molto importante il Maestro, deve saperci fare deve aver studiato deve conoscere le dinamiche dei corpi (celestiali, nda), deve entrarti e possederti e tu lasciarti possedere senza necessariamente farti penetrare da lui (penetrazione non fisica sia chiaro, nda). Non ti senti in qualche modo di essere stata violata?, insisto moderatamente. No perché sono consapevole, lui è un artista e io sono una sua scultura in movimento, lui mi dipinge e io sono la sua tela, questo è lo shibari, questo è l’approccio giusto. Che meraviglia, esalto io, soprattutto sentirlo dire da te. Quello che provo non è mai ripetibile, perché dipende da dove mi trovo, dal Maestro, dal mio stato d’animo e anche da come le corde mi abbracciano, ma non è solo il flusso sanguigno a modificare la tua percezione, è soprattutto la tua predisposizione ad accettare che esiste un mondo sospeso a cui si può accedere senza perdere la propria integrità, solo riempirla.

Samuel Chamey

Photo credit: Hikari Kesho 

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