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Making of reality

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C’è il film, c’è la docu-serie, c’è un libro, ci sono loro.. i ragazzi di Making Of Love: Enrica, Isa, Feel e Clode (che ci raggiunge all’ultimo). Ma non solo, un vasto progetto nato nel 2019 nel tentativo di rivoluzionare il concetto di sessualità tra i giovani che poi è sfociato in una prova attoriale ed esperienziale sulla pelle degli stessi giovani, consapevoli (forse) di non essere del tutto preparati su certi argomenti e desiderosi di apprendere il più possibile (dagli adulti e dalle esperienze reali dei/tra i loro corpi) cosa significa libertà sessuale, cos’è il sesso oggi nel 2021. E quindi? Sesso sesso e sesso, solo per giovani? No anche per adulti che vogliono imparare dai giovani.

Il concept, la produzione, il casting, e poi? Workshop, il primo ciak e tantissime altre fasi che sono andate a comporre questo puzzle of love..

Enrica: Ti ringraziamo per averci invitati sulle pagine di Satisfiction. L’annuncio del casting è stata la prima cosa a colpirci e a conquistarci. Si ricercavano artisti tra i 18 e i 24 anni ed era evidente sin da subito che non sarebbe stato solo un ciclo formativo di nozioni. Avremmo dovuto sperimentare sul nostro corpo e metterci continuamente in discussione. “Obbligo o verità?” è stato sostanzialmente il primo passo di questo percorso, bye-bye monologhi o “parlatemi di voi”. Semmai “mettiti in gioco col tuo corpo”, “ascolta l’altro e cerca di capire fin da subito dove puoi arrivare”.

Ciascuno di voi aveva già mosso i primi passi nel mondo della recitazione?

E: Solo alcuni di noi hanno studiato recitazione, altri hanno studiato film making e sceneggiatura mentre altri ancora non hanno proprio studiato nulla e sono semplicemente rimasti affascinati dall’annuncio.

Per cui la proposta era rivolta ad una platea molto ampia di giovani avventurieri..

Isa: Ragazzi tra i 18 e i 24 anni che volessero dire la propria sul tema della sessualità per un film e/o documentario, questo era a grandi linee l’offerta di lavoro.

Da parte degli autori forse era fervida anche la volontà di sperimentare con giovani ragazzi che da zero esperienza potessero dire la loro e stupire (oltre che stupirsi in prima persona) e quindi dare ancora di più per la realizzazione del progetto..

E: Proprio per questo motivo la ricerca era focalizzata sugli artisti, l’obiettivo della produzione era darci carta e penna per la scrittura di quello che sarebbe dovuto essere un documentario. Workshop ed incontri in realtà hanno in seguito definito il percorso ideale poi sfociato nella realizzazione della fiction.

Feel: Inizialmente avevano iniziato ad intervistare vari giovani con l’invito a partecipare alla terza rivoluzione sessuale, poi si sono accorti che non suonava bene parlare di questo tema solo dal punto di vista degli adulti ed è avvenuto un cambio di passo naturale. I ragazzi avrebbero avuto un ruolo attivo e creativo nella storia.

Terminato il casting, eravate pronti al percorso formativo..

F: Esattamente. Varie figure adulte ed esperte ci hanno poi guidato passo-passo nell’apprendere e conoscere quelle che sono poi le tematiche affrontate nel film.

I: E’ stato fondamentale lavorare in presenza su di noi e sui nostri corpi. Se gli workshop fossero stati solo teoria e zero pratica ci avrebbero senz’altro arricchito, ma non avrebbero accelerato quel processo di cambiamento che si è messo in moto. Siamo cambiati, siamo cresciuti.

E: Nessuno di noi aveva mai sperimentato una cosa del genere. Siamo arrivati a Genova e bang! ci hanno proposto una serie di workshop importanti, una sorta di bagno nell’acqua ghiacciata. Non avevamo mai sperimentato certe cose. Ci si immagina tutti seduti a parlare e invece.. workshop di legamento, workshop di shibari, workshop di ditanel*ulo e così via. A livello emotivo è stato molto forte, come stare sulle montagne russe. L’immagine di noi gettati in una vasca di acqua fredda rende bene l’idea, perché una volta che ne esci sei come nuovo.

F: In seguito abbiamo cominciato ad imbastire la trama che inizialmente era molto scheletrica. Abbiamo cambiato di fatto quella che era la proposta iniziale, legata più ad un concept documentaristico, spostandoci sulla fiction. Fase workshop di circa una settimana, fase scrittura di due settimane e poi abbiamo iniziato a girare le prime scene del film per poi allestire i vari set.

In autonomia o in gruppo, a seconda delle relazioni instauratesi tra di voi, avete nel frattempo approfondito i vari temi toccati da questa esperienza, oppure vi siete lasciati trasportare un po’ dagli eventi di quello che è stato il percorso definito dagli autori?

I: Entrambe le cose. Con loro abbiamo esplorato tantissime tematiche che ci hanno acceso delle lampadine a cui abbiamo dato luce parlandone con altre persone che già ne sapevano. Personalmente, a quel tempo, non ho approfondito però mi sono confrontata ed è stata come una continua formazione.

Quanto è stato forte il desiderio di condividere questa esperienza con altre persone a voi care? Con tempi e modalità opportune (immagino) ma quanto è stato necessario parlarne ad altri coetanei?

E: Non nell’immediato, perchè durante la formazione non avevamo il tempo di pensare ad una condivisione, già stavamo facendo un duro lavoro su noi stessi e con le persone al nostro fianco che sarebbe stato impossibile ampliare il raggio d’azione. Per quanto mi riguarda tutto è partito dal momento che abbiamo ricevuto la sceneggiatura del documentario. Lì abbiamo capito che si sarebbe dovuto lavorare cambiando il punto di vista. Ci sembrava di interrogarci con una generazione troppo distante dalla nostra, ci sembrava un qualcosa di vecchio, come se i temi venissero trattati con un altro linguaggio. Così la sceneggiatura è stata modificata e appunto il documentario è diventato poi un film con noi in prima persona.

F: Al termine del percorso formativo abbiamo vissuto un po’ tutti la fase della metabolizzazione. In pratica tutte le esperienze sin lì vissute le abbiamo fatte nostre, smuovendoci mentalmente e singolarmente. Per me, ad esempio, venire a contatto con la realtà del poliamore è stato determinante nel farmi capire meglio cosa significhi vivere una relazione aperta. Ha avuto un impatto importante nella mia vita perché ho poi cercato di andare in quella direzione.

Voi uscite, massivamente nelle sale, oggi. Ma in realtà tutto viene concepito nel 2019. In soli due anni sono cambiate tante cose, anche solo nella percezione globale della sessualità. Il covid ha contribuito ad accelerare dei processi di cambiamento in atto e di fatto avete anticipato delle tematiche che stanno salendo sempre più in superficie..

F: Si, la sessualità ha molto a che fare con l’identità dell’invididuo. E’ un po’ l’affermazione del secolo ma è il riassunto esperienziale di un vissuto libero e senza inquadramenti specifici. Poi in questi anni ci sono state varie persone che ci hanno parlato dell’identità di genere, oppure gli stessi transgender che ci hanno aperto a delle nuove prospettive. Senza volere in effetti abbiamo anticipato un qualcosa che adesso è sempre più attuale, per fortuna.

I: Non so se siamo stati noi i precursori ma sicuramente c’è tanto bisogno di tutto questo, per noi ragazzi e non solo. Forse abbiamo acceso una miccia e le cose han cominciato a prendere fuoco, come se nel frattempo si fossero legittimate. Non credo di poterci considerare come i primi attivisti della sessualità, perchè ci sono anche vari profili Instagram famosissimi che esistono da più tempo. Il fatto di essere in tanti e di aver realizzato un progetto che ingloba tanti argomenti ci ha sicuramente esposto al punto da generare una risonanza maggiore.

Trattate anche il tema della sessualità nella disabilità, e inoltre l’intento è di fare divulgazione nelle scuole..

F: E’ giusto vedere tutto sotto una dimensione umana. Senza censure e ipocrisia. Ridimensionare in un’ottica normale, come dovrebbe essere sempre. Solo così possiamo parlare di aperture.

I: In realtà non abbiamo avuto ancora molte opportunità nelle scuole, anche a causa del covid e delle varie chiusure. Ad una proiezione, con il target 14-18, ci siamo resi conto del perchè ci sia realmente bisogno di fare educazione sessuale. Sono uscite fuori storie e racconti che ti fanno esclamare “ca**o! bisogna parlarne”, normalizziamo tutto questo.

E: Nel film ci sono tantissimi argomenti concentrati tutti insieme. Una delle critiche che abbiamo ricevuto è stata proprio questa “ma ca**o raga avete messo tutto assieme!” ed effettivamente è vero.. però è frutto del fatto che abbiamo vissuto talmente tante cose sulla nostra pelle e ne abbiamo viste talmente tante che sentivamo l’esigenza di metterle nella fiction. Oltretutto ci sono pezzi prelevati dal documentario originario, come ad esempio l’episodio della disabilità o quello sul transgender. Li abbiamo lasciati sotto forma di documentario perché non ci sentivamo di poter trattare alcuni temi lontani dalle nostre personali esperienze. Però volevamo parlarne. Tantissime cose sono rimaste fuori ma era impossibile incastrare tutto in un film da 65 minuti.

Ad una recente proiezione milanese ho sentito rivolgervi una critica sul fatto che non parlate mai della ‘categoria’ bisex. Come se il vostro lavoro volesse emarginare invece di includere. Vi sentireste di affermare che avete realizzato un film per definirci?

E: No per nulla. Abbiamo fatto un workshop che si chiamava ‘le etichette’ dove si è parlato delle varie sfumature dell’identità sessuale. Personalmente non mi ci ritrovo, in una etichetta, ma capisco bene che per alcune persone sia necessario definirsi in un certo modo per ritrovarsi, darsi un volto e anche proteggersi. Quindi sono assolutamente favorevole. Di certo in questo film non abbiamo creato dei personaggi con etichette precise, anzi li abbiamo creati su noi stessi o su persone che erano al nostro fianco e hanno provato sulla loro pelle delle cose specifiche. E’ frutto del caso, ad esempio, il fatto che ci sia un personaggio che da etero, con lo scorrere del tempo, si scopre non-etero. Si può parlare di fluidità naturale delle cose.

I: Alcuni di noi non si ritrovano nelle etichette oppure non sentono il bisogno di definirsi con una etichetta. Di conseguenza abbiamo cercato di creare dei personaggi slegati da questa cosa, ma che non fossero nemmeno delle macchiette: “ah quello è bisessuale”, “ah quello è gay”. Volevamo personaggi liberi. Poi abbiamo inserito quello che afferma di essere poliamoroso, ok.. ma generalmente non ci sono definizioni precise. Ad esempio Rachele e Tommy sono due personaggi non ben definiti. Volevamo basarci sulle nostre storie e così è stato.

F: Mi sento di dire che non mi ritrovo in una etichetta. Al di là del fatto che servano, intese come senso all’interno di una forma di comunicazione del linguaggio, giusto per capire a grandi linee un concetto. Poi però ci sono persone che ne fanno un simbolo e ci costruiscono un’identità per aggrapparsi a dei concetti stabili figli forse di una fragilità interna. Quindi in realtà non ci sentiamo di condannare nessuno anche se tendiamo alla fluidità perchè amiamo sperimentare. I personaggi sono un po’ caricati nel senso che con così poco tempo e tanti personaggi abbiamo avuto la necessità di spingere un po’ sull’acceleratore del carattere. Per cui forse si sente questo carico a lungo andare, ma non è assolutamente basato sul volerli etichettare. Semmai si è seguito un principio naturale di autodeterminazione.

Dopo l’etichetta, il giudizio. Cosa avete fatto per proteggervi dal giudizio delle persone a voi care?

I: C’è sempre un po’ di paura prima delle proiezioni. Quella sensazione di paura del giudizio che però poi spesso si trasforma in “Brava, brava!” consapevole di essermi messa in gioco. Voglio dire, “ca**o mi sono messa a nudo sia fisicamente che non” e questo mi fa un poco paura dopotutto. In questi due anni, dopo le ospitate in varie trasmissioni, mi sono sentita dire un po’ di tutto dai social. Mi sono fatta scivolare addosso tutto questo, però tengo particolarmente al giudizio delle persone care. Credo così tanto in quello che ho fatto, sono certa che ci sia bisogno di un’educazione sessuale e che ci sia bisogno di parlarne. Non ci sono altre possibilità e non c’è scampo. Per cui non me ne frega nulla di ciò che dice la gente. “Ah ma questi saranno senza genitori”. C’è bisogno di parlare di sessualità perchè non parlandone si generano milioni di problemi. Quindi parliamone e chissenefrega del giudizio della massa!

E: Ho avuto una crisi profonda subito dopo aver girato il film, della serie “oh mio Dio cosa ho fatto oh mio Dio..”. Ognuno di noi ce l’ha avuta, forte e duratura ma oggi è diventato tutto talmente normale che penso siano anormali le persone che non capiscono cosa abbiamo realizzato. Se una delle mie amiche oggi dovesse venirmi a dire “mi sono fatta frustare” non penserei mai “oh mio Dio che ca**o mi dici!?”. In ogni caso c’è da distinguere il film Edonè da quella che sarà la docu-serie, dove non saremo più i personaggi del film ma semplicemente noi stessi. Onestamente ho molto più timore della serie rispetto al film. Il mio personaggio in Edonè potrebbe non piacere, potrebbe far ca*are per come è stato definito, nella serie invece sarò io senza filtri.

I: Dentro Making of Love si vedrà quello che è successo durante i vari workshop. Ricordo che durante quella settimana abbiamo detto così tante volte la parola sesso che non era più la parola che non si può dire ma era diventata una parola qualunque del vocabolario. Lo stesso dicasi per pe*e, va*ina, s*uirting e varie altre pratiche. Alla fine basta parlarne e le cose si normalizzano.

F: Vale anche per me quanto detto. C’è sempre l’ansia della prestazione unita alla tematica a farci tenere un poco in tensione, in particolare nel documentario. Comunque quando si incontra una verità che parte dal corpo e ti fa dire “ho provato piacere in un determinato modo e ho provato una sensazione piacevole” non esiste più alcun problema. E se mi vengono a dire “hai sbagliato” è perchè non sanno o non ci sono ancora passati oppure sono incazzati perché magari hanno una griglia di valori che non mi riguarda. Si è creata una forte solidarietà tra di noi, una sorta di clima da zona di comfort per potersi esprimere liberamente e sostenerci nei momenti in cui ci confrontiamo col pubblico. Ci vogliamo bene, ci capiamo, ci conosciamo e quindi ci proteggiamo.

Clode: Mi ripeto, ma sicuramente c’è più ansia per il documentario, perchè racconta noi in quanto persone e mi sono sentito meno protetto del film. Nonostante nella fiction siano presenti scene decisamente più forti, dove appunto mostro anche i genitali, si tratta pur sempre di una dimensione di recitazione. Anche se chiaramente il fatto che a breve lo vedranno anche tutte le amiche sessantenni di mia madre non è che mi faccia proprio stare tranquillo! Un po’ d’ansia di farmi vedere col ca**o di fuori ce l’ho. Devo anche ammettere che voi vedrete il Clode di due anni fa, onestamente molto diverso dal Clode di oggi e mi fa un po’ strano pensare al modo in cui mi vedranno le persone. Oggi come oggi vorrei fare questo lavoro e investire del tempo e non vorrei essere diciamo etichettato a vita. Ma questo fa parte del gioco e tutta questa paura viene spazzata via grazie alla consapevolezza di aver fatto parte di un progetto importante, grande e necessario. Segna una rottura anche con la produzione dei film italiani, dato che si tratta di una produzione completamente inedita per l’Italia e sostanzialmente realizzata da 8 ragazzi con il sostegno di tutta la produzione. Grazie Satisfiction.

Larga e lunga vita ai giovani (e non solo) sessualmente emancipati.

https://www.makingoflove.it/

Samuel Chamey

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