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Manlio Castagna, Paolo Domeniconi e Davide Lorenzon. La notte delle malombre

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C’è una magia più forte della magia,
ed è l’innocenza.
L’innocenza ci fa
vedere delle cose
E non ci fa avere paura.

EMR

Gli stivali del diavolo non fanno rumore, dice un vecchio proverbio. E invece la guerra fa un fragore assordante. Il silenzio è solo una pausa fragile tra lesplosione di una bomba e il crollo di un palazzo, tra le urla di una madre che ha perso un figlio e il tramestio di piedi che corrono verso un riparo”.

Accadde là sotto, in quella galleria a Balvano, a mezzanotte e cinquanta del 3 marzo 1944. I 47 vagoni del treno merci 8017 sfilarono lentamente nella galleria delle Armi e non ne uscirono mai più. Il fumo generato dal carbone bruciato dalle locomotive in testa al convoglio invase tutto. Investì i passeggeri e i “borsari” saliti abusivamente sul quel treno diretto a Potenza, per fare qualche commercio e reperire quei beni alimentari destinati al mercato nero di Napoli, alla loro sopravvivenza.

Quegli uomini, quelle donne, quei ragazzi e quelle ragazze, mossi dalla paura e dal desiderio volevano vivere. Combattere la fame, figlia della guerra. La fame solida, dura e violenta di quegli anni. E invece ogni viaggiatore sedette cadavere al suo posto. Trovarono nel sonno la morte e l’oblio della storia, “come il freddo di un pavimento alieno sotto i piedi nudi e il silenzio delle cose sconosciute”. La tragedia arrivò attenuata, soffocata anch’essa e subito spenta. Il silenzio irreale di quella notte divorò nuovamente le loro vite.

Vedere nelle foto d’epoca quei corpi allineati sul marciapiede della stazione, ad un centinaio di metri dalla galleria, da quel treno che non riusciva più ad avanzare, le cui ruote girando a vuoto non mordevano più i binari, è terrificante.

Quelle cinquecento persone sono la nostra storia, sono i nostri cari, il nostro sangue.

Sono tutti morti là dentro”, grida all’inizio del libro una sagoma da dentro quel maledetto tunnel, “sono tutti morti”, ma non lo saranno per sempre.

Riportare alla luce questa tragedia e farlo con un romanzo così ben scritto, un romanzo del sud, e come è gradevole questa espressione, è rendere testimonianza ad un popolo, al loro sacrificio, alla loro perseveranza ed attaccamento alla vita nonostante tutto, nonostante “i treni della fame”.

La fame è un mostro che rende l’uomo bugiardo e lo isola. Ma la fame può essere uno stimolo a reagire. Manlio Castagna ce lo descrive perfettamente. Nell’incrocio delle vite di tre ragazzi adolescenti, in un mondo sconvolto dalla II Guerra Mondiale, Brando, Nora e Rocco, troveremo quel desiderio di riscatto, quel desiderio di vita che ci accomuna tutti, anche oggi, nelle sicurezze delle nostre case, nelle paure di alcuni momenti, nella più banale delle giornate.

In questo libro, dove è ben inserito l’elemento fantastico delle malombre, “gli spiriti” in pena che tormentano gli altri perché la loro misera condizione li ha resi malvagi, è la storia a dominare. Sono le parole di Nora, le sue lettere al fratello Pietro, la sua genuina innocenza, il carattere ribelle di Brando, la determinazione e la scaltrezza di Rocco, il rimorso, lui che sa bene che “non c’è niente di male a essere un animale che sa approfittare del momento”, ad imprimere il ritmo della narrazione.

È la storia di questi ragazzi raccontata prima della tragedia, prima di quel treno “conficcato nel foro della montagna” ad essere anche la nostra. Le immagini sono vivide, le persone che parlano sono vere, sono ancora lì, in quei luoghi, in quella miseria, in quel fango. Nessuno le porterà via, nessuno le schiaccerà. Sono la storia, siamo anche noi, oggi.

Edoardo M. Rizzoli

Recensione a La notte delle malombre di Manlio Castagna, Illustr. Paolo Domeniconi e Davide Lorenzon, Mondadori, €17.

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