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Matteo Meschiari: Dispacci dall’Antropocene #5

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Quando si dice che la Fine bacia le Origini, l’Apocalisse feconda la Genesi, il Dopo è anticipazione del Prima, non si sta parlando di semplice “circolarità” del Tempo ma di rinascita del Mito, che come un revenant, come un (non) morto, riappare nascondendosi nel presente. Questa apparizione oscura avviene sempre nello scontro tra ragione e magia, e il Mito, per sua natura inattingibile ma visibile, supera e si lascia indietro entrambe, perché il suo slancio è cosmogonico, non si accontenta di dire o di difendere una verità, ma vuole rifare il mondo. Le dialettiche realismo/fantastico, razionale/irrazionale, scienza/superstizione sono sempre delle trappole, utili per fare polemica o pensiero al ribasso. Il compito della buona scrittura, invece, quella che vuole intercettare l’adesso-qui dell’Antropocene, è fare mitopoiesi, cioè farsi carico di una reinvenzione del mondo, partendo da ingredienti semplici come un bicchiere di latte, un frammento di legno o di ferro, una torbiera, uno scheletro, un corpo nudo. In questo senso l’opera di Antoine Volodine è una enciclopedia di miti possibili, e Streghe fraterne (2019) è una specie di ars poetica per lo scrittore antropocenico. Libro composito, frammentario, buio, racconta la storia a più strati di attrici-girovaghe-streghe in una specie di Altaj post-apocalittico. Una storia di corpi estenuati, spinti all’annientamento sessuale, e una storia in cui la Parola, il parlare, il declamare evocando, lo snocciolare litanie e incantamenti, sono l’unica risposta al farsi tenebra e vuoto. Un dire performativo, quello delle streghe, degli sciamani, di scrittrici e scrittori, che produce ciò che Claude Lévi-Strauss ha chiamato “efficacia simbolica”, cioè una guarigione dell’anima, a volte del corpo. non è un romanzo, Streghe fraterne, è un’entrevoûte, quella che Anna D’Elia traduce con “intrarcana”. Una specie di nodo cardanico tra due racconti, due voci, un nesso che lega alcuni intimi in un cerchio misterico, che è assieme meta ed esilio. Non si potrebbe fare torto maggiore a Volodine chiamandolo “sciamano della letteratura francese”, trovata editoriale e formuletta da critica minore. Tuttavia Volodine, nel suo spell/speach di sopravvivenza, ci dà una dritta fondamentale per attraversare il Grande Collasso: solo chi dice si salva.

Matteo Meschiari

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