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Matteo Meschiari: Dispacci dall’Antropocene #7

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È un bugiardino di 450 pagine, Annientare di Michel Houellebecq, che prescrive al borghese europeo la posologia della fine dell’Occidente: come assumerla, in quali momenti del giorno, con chi, elencando le avvertenze e gli effetti collaterali.

Una fine lentissima, certo, come molti intellettuali si affannano a farci sapere, in bilico tra scetticismo e accelerazionismo, indecisi tra automatismi generazionali e dissidenza della domenica. Una fine che non smette mai di finire, come tutte le apocalissi calme, come un suicidio che dura decenni.

Allora perché perdere tempo a leggersi l’ultimo Houellebecq se non è altro che la sua monumentale, estenuante, estrema clonazione? Che cosa ci dice di nuovo, di diverso, di utile sul nostro adesso-qui che ci angoscia e al tempo stesso ci addormenta?

Assolutamente nulla. Perché il punto è un altro. Il punto non è nemmeno la proiezione in una Francia futura, l’esercizio di scenari, la forma del thriller del disincanto, o l’ennui che si propaga con eziologia pandemica. Il punto è che nel libro c’è un easter egg, cioè questo: “What the fuck with the fucking doves?”.

Che senso ha l’ultimo volo delle colombe nei versi di Apollinaire? Ormai letteralmente più nessuno: il simbolismo è diventato inintelligibile, il sistema simbolico dell’Occidente è collassato, l’arbitrarietà del segno è diventata nebbia del significante. Paul per Prudence “poteva essere contemporaneamente suo figlio, suo padre e il suo amante. Il simbolismo messo in gioco le era perfettamente indifferente”. Per cui il sesso è nebbia. La malattia è nebbia. L’apparato sociale è nebbia. Le relazioni umane sono nebbia. L’epistemologia è nebbia. La vita è nebbia. Restano solo corpi senza organi, l’annientare programmatico del libro è proprio questo: non la nuda vita del filosofo, ma il cadavere senza scopo.

Dopo Cormac McCarthy, e sul lato opposto di un ipotetico spettro antropologico, Michel Houellebeq è il più grande scrittore vivente, il che significa tre cose: parla al presente, parla al futuro, lo fa benissimo.

Matteo Meschiari

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