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Pablo Herrán De Viu anteprima. Finché abbiamo potuto

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Autofiction. È quanto propone Finché abbiamo potuto, secondo romanzo del narratore iberico Pablo Herrán De Viu, in uscita oggi nelle librerie italiane per la Watson edizioni.

Tradotto da Tonia Navarra e Francesco Cerreto, il romanzo di De Viu racconta una storia abbastanza inusuale anche per il nostro mondo contemporaneo che si definisce “fluido”.

In una New York più suggerita che citata, mette in campo due personaggi estremamente letterari per costruzione quali Eve e Jorge, una drammaturga off Broadway e uno sceneggiatore alle prime armi.

E fin qui nulla di nuovo.

Solo che Eve ha ottantatre anni, mentre Jorge è un giovane uomo dichiaratamente, apertamentante omosessuale

Solo che fra i due si crea un rapporto che possiamo dire sentimentale, ma non conforme né a questo termine né a quanto indicano con timore altri personaggi del racconto, tipo Deborah, la nipote di Eve.

Solo che Eve è Evelyn Friedman, drammaturga ebrea off Broadway, veramente esistita. La sua notorietà non è di quelle che scavalcano agilmente l’oceano e forse nemmeno Broadway.

Tutto quello che sappiamo di lei sul piano della realtà (e riportato nel romanzo) è il suo aver adattato per il teatro Taibele e il suo diavolo insieme al premio Nobel Isaac Bashevis Singer. Per inciso questa drammaturgia è stata portata in Italia nel 1995 grazie a Moni Ovadia.

E Jorge? Beh, è lo stesso De Viu.

Questo il tratto biografico del romanzo, che condensa in uno i cinque anni di relazione umana e artistica fra i personaggi principali. 

Al centro della vicenda sta comunque Eve, con il suo decadimento senile, le prime avvisaglie del morbo di Alzheimer e la sua irredimibile volontà a essere indipendente, anche se con qualche scricchiolio della struttura.

«La mia vita ha senso “solo” nella solitudine. Sono quello che sono perché ho scelto di non condividere lo spazio dalla mia emancipazione con nessuno» fa dire a Eve l’autore, verso la fine del romanzo. Eppure l’attaccamento ricambiato verso Jorge racconta la necessità di essere con gli altri per potersi ancora percepire.

Uscito in Spagna sul finire del 2020, Finché abbiamo potuto non tratta perciò propriamente di un amore senile. Come De Viu fa dire a Eve, «È molto di più».

Nella frequentazione dei due si mette in scena uno scambio continuo, dove l’età è un fattore contingente e non preponderante. Qualcosa di simile a quanto accadeva in Harold e Maude, romanzo dei primi anni Settanta scritto da Colin Higgins. Il problema sta nel mondo attorno, che non comprende né vuole comprendere questo. Un mondo che, rifiutando un simile approccio al sentimento, mette in campo la paura: della senilità, della solitudine che spesso coglie nell’ultimo tratto di esistenza, del punto di arrivo finale. Tutti temi presenti in questo lavoro di De Viu, selezionato per questa sua opera dall’AECID (Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo) come uno fra i 10 autori più rappresentativi della nuova letteratura spagnola.

L’autore, in Finché abbiamo potuto, decide di non seguire la strada della commedia e del finale edificante quanto lieto per Jorge e Eve, bensì quella della verità, per quanto disagevole possa essere.

Sergio Rotino

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Non appena entrano nel vagone della metropolitana, Eve suggerisce di scegliere tra i posti rivolti nella direzione opposta al senso di marcia. Spiega a Jorge che nel caso ipotetico in cui il treno si scontrasse con un altro treno, le persone nei sedili di fronte morirebbero all’istante. L’argomento convince il ragazzo.

Una volta seduta, Eve individua un’ombra che si allunga sul mento del suo accompagnatore.

«Oh, no… Ti stai facendo crescere la barba?» chiede, incapace di nascondere il suo timore.

«No» risponde accarezzandosi le guance, «ma se mi rado ogni giorno mi vengono i brufoli.»

«Vuoi dire che hai intenzione di farla crescere?»

«Ne dubito. Non mi si addice.»

«Non sai quanto sono felice, tesoro» esulta con sollievo.

Da piccola non le piacevano i barbuti. Le ricordavano gli anni duri, quando il lavoro era poco e suo padre si chiudeva in camera da letto con la testa tra le mani e una barba che sembrava arrivargli fino ai piedi. Non mangiava, non beveva, non parlava, non faceva la doccia. Eve lo spiava attraverso la fessura della porta come fosse un estraneo, fino al giorno in cui finalmente si è alzato dal letto, incoraggiato da un nuovo lavoro, ed è tornato a essere se stesso. Ricorda il suono acuto e pulito del rasoio, l’odore fresco del sapone, il tonico con cui poi si tamponava il viso. Non vuole immaginare come reagirebbe se un giorno Jorge si presentasse a casa sua con metà del suo bel viso coperto da un ciuffo di peli irsuti. Probabilmente non lo farebbe entrare.

«Ho conosciuto qualcuno» confessa con un certo pudore.

Spiega che è successo circa dieci giorni fa nella coda al Metropolitan Museum per la mostra di Alexander McQueen. Si chiama Lester, è uno stilista che ha vestito anche Madonna e che ammette di non aver mai letto un libro in vita sua. Nella sua descrizione, Jorge include gli aggettivi basso, gracile e bruuutto, e aggiunge che i suoi denti sono storti e le labbra sono tirate verso l’interno come se stesse fischiando senza fare rumore. Il tipo di ragazzo pacchiano che veste solo di bianco e non si toglie mai gli occhiali da sole.

«Oh, quasi dimenticavo! Porta i capelli tinti di rosa brillante» conclude.

«Che cosa terribile.»

«Sì. È orribile. Davvero non capisco. Non abbiamo niente in comune. Non sappiamo mai di cosa parlare. Lui e i suoi amici sono ossessionati dagli extraterrestri. Mi ha invitato un paio di sere a casa sua e tutto quello che fanno è mangiare cibo spazzatura, fumare molta marijuana e guardare documentari che provano l’esistenza di marziani che pianificano d’invadere il nostro pianeta. Ma nonostante tutto questo, e non chiedermi perché, c’è qualcosa in lui che mi affascina.»

L’immagine che si è formata nella testa di Eve da quando Jorge glielo sta descrivendo è del tutto inquietante. Non assomiglia nemmeno a un essere umano. Scuote la testa per scacciare il mostro.

«Sai cosa? Capisco perché senti ciò che senti nei confronti di Lobster.»

Jorge scoppia in una risata che riecheggia lungo il vagone.

«Si chiama Lester. Anche se, ora che mi ci fai pensare, se lo incontrassi mentre si sta immergendo nel mare probabilmente lo scambierei per un’aragosta gigante.»

Lei sorride educatamente finché lui non riprende la calma.

«È chiaro che Lob… che Lester è una persona particolare. Questo molte volte impressiona, soprattutto a quelli come noi che sono a caccia di personaggi. Il mistero per noi risulta più allettante del sesso, della bellezza e persino della fedeltà. Lascia che ti dia un consiglio, Jorge…» fa una pausa. La sua espressione è diventata severa. Sa bene che le storie d’amore, per quanto assurde possano apparire dall’esterno, devono essere trattate con la massima serietà davanti alle persone coinvolte.

«Sforzati di analizzarlo per tutto il tempo in cui la storia continua. Prendi nota degli aspetti che ti attirano, altrimenti dimenticherai innumerevoli dettagli necessari per poter capire questa persona. Adesso, non aspettarti nulla da lui, perché quasi sicuramente non otterrai niente.»

Jorge minaccia di ribattere questo punto di vista schietto, ma abbassa lo sguardo sulle sue scarpe, riconcentrato e un po’ taciturno.

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