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Paolo Scardanelli anteprima. L’accordo. I vivi e i morti

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Siamo specchi rotti, forme incostanti e siamo anche il museo della nostra stessa memoria come diceva Borges. Le chimeriche parole dello scrittore argentino riverberano nel nuovo romanzo-antro della caverna di Scardanelli. L’accordo. I vivi e i morti. edito da Carbonio Editore (tra le più uniche realtà editoriali italiane).

Scardanelli anche in questo romanzo si rivela essere un collezionista raffinato ed eterogeneo, forse maniacale fino ai limiti della nevrosi culturale, come quelle stanze-cavò usate dagli intellettuali per depositare i propri esotismi intellettuali. Questa indomabile collezione, che prende vita a partire da vocaboli scelti filologicamente, spazia da innumerevoli citazionismi letterari e musicali (ormai un vero leitmotiv scardanelliano) fino al sedimentarsi alla base dell’opera di un’architettura fatiscente e disillusa. Le macerie-frasi di Scardanelli decostruiscono un mondo kantiano, platonico e perennemente disincantato fino a diventare ossimorico perché se ne intravede un nucleo lirico ed evocativo, fantasmatico e mistico. Sicuramente L’accordo. I vivi e i morti si rivela essere il lavoro più compiuto dell’autore di Carbonio Editore, il più stratificato per infinite connessioni manifeste e taciute. Infatti, come spesso ho voluto sottolineare in precedenti contributi, i legami del romanzo con verità endogene ed esogene-extratestuali vanno a dispiegare un inedito tentativo della ricerca della “vera verità”, come per mettere in dubbio il migliore dei mondi possibili di Leibniz. Forse vi chiederete dove sia la trama, volete proprio sapere di cosa parla di questo libro ma io posso suggerire che L’accordo. I vivi e i morti è una anti-narrazione e tant’è dovrebbe bastarvi perché è un libro che parla di libri e chi scrive ha il fascino e il pathos primigenio di chi si rende conto che sono state tutte quelle letture ad averlo portato a un perenne e martellante senso di inadeguatezza con la contemporaneità; come se tutte quelle storie oltre ad accompagnarlo per tutta la vita siano state anche incurabili emorragie e fonti di dolore perpetuo. Una sanguinaria metafora per gli uomini di lettere maledetti a soffrire. La metafisica scardanelliana, disillusa, cinica, spesso insondabile, forse ci rammenta che i morti possono morire più volte finché non si innescano cortocircuiti epistemologici che ci conducono a scoprire in primis che cos’è la memoria.

Questo romanzo non è storytelling, ma un’eredità da iniettarsi nel sistema linfatico per risorgere. Catarsi letteraria.

Cristiano Saccoccia

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L’aquila compie un’ultima, ampia voluta e volteggia lontana, perdendosi tra le pieghe del manto. Allora capisco. Faccio appello a tutte le mie forze, tiro su i miei sessantanove chili, strofino, striscio, mi graffio sulle rocce e sugli arbusti affioranti, teso come una corda salgo, centimetro dopo centimetro, cerco appigli coi piedi, che inevitabilmente scivolano un paio di volte prima che il destro trovi una fenditura nella quale riesce a infilarsi. Faccio leva sulla gamba destra e mi sollevo di un bel palmo; il sinistro trova un altro appoggio, così tiro su la sinistra, e su ancora, questa volta di un palmo scarso, e via così, tagliato dai dolori muscolari e da sfregamento, sino a che riesco a trascinare, strisciando, il petto oltre lo spuntone e dietro il resto del corpo.

Mi lascio andare sulla piccola cengia, mi giro faccia al cielo, il manto azzurro su di me benigno, gli sorrido abbandonato, cerco dell’acqua che non ho, solo l’ultima mela mezza schiacciata, ne addento un morso profondo e rinfrescante, tiro fuori dal pacchetto una Gitanes papier maïs, aspiro forte, al punto di far dolere il petto già dolente, lascio andare la volontà e mi beo di quella salvezza profondamente vera. L’aquila è troppo lontana per nuocere, troppo lontana, piccolissima, scompare in quel manto che mi avvolge e porta con sé in un posto sicuro e confortevole, confortevole e sicuro. Tutto sommato se oggi, ventiquattro anni dopo, amo questa vita, allora la amavo ancora di più. Inconsciamente. La consapevolezza del dolore mi ha radicato in questo amore, ma allora ne ero incosciente, il fisico era al pieno della forma; sprezzante dei pericoli, ero in qualche misura invincibile. Invulnerabile come mai lo sarei più stato; e oggi, che contemplo quello stato di grazia attraverso la lente del tempo e della memoria, mi ritrovo predestinato: a vivere.

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